“Fra qualche anno i ghiacciai italiani non esisteranno più”

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“Fra qualche anno i ghiacciai italiani non esisteranno più”

Tra il 1850 e il 1975 i ghiacciai delle Alpi hanno perso circa la metà del loro volume, il 25% della restante quantità si è perso tra il 1975 e il 2000 e il 10-15% nei primi 5 anni del nostro secolo
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In Italia la crisi climatica sta correndo a velocità doppia rispetto alla media globale, un ritmo che sta già sciogliendo a vista d’occhio i ghiacciai sparsi su Alpi e Appennini, che «fra qualche anno non esisteranno più», come spiegano da Legambiente presentando oggi i dati – raccolti insieme al Comitato glaciologico italiano – contenuti nel report finale della Carovana dei ghiacciai.

«Il report raccoglie i frutti di un lavoro comune svolto dal Comitato glaciologico italiano – spiega il suo segretario, Marco Giardino – e da Legambiente e condiviso con ricercatori, amministratori, tecnici, cittadini e turisti dei territori montani italiani».

Si tratta di dati impietosi, che mostrano Alpi sempre più fragili, vulnerabili e instabili a causa della crisi climatica, con l’aumento ad un ritmo sempre più accelerato della fusione dei ghiacciai che stanno perdendo superficie e spessore, frammentandosi e disgregandosi in corpi glaciali più piccoli. E l’aumento di frane, valanghe di roccia e di ghiaccio e colate detritiche da aree deglaciate.

«Le Alpi, e più in generale gli habitat di montagna – argomenta Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – subiscono molto prima e maggiormente rispetto ad altri luoghi, gli effetti della crisi climatica, diventando un ambiente sempre più esposto alle sue conseguenze e più fragile. Per questo è fondamentale che si definiscano al più presto adeguate strategie e piani di adattamento al clima su scala regionale e locale, perché non si può perdere più altro tempo».

I numeri del resto parlano chiaro: tra il 1850 e il 1975 i ghiacciai delle Alpi europee hanno perso circa la metà del loro volume, il 25% della restante quantità si è perso tra il 1975 e il 2000 e il 10-15% nei primi 5 anni del nostro secolo.

Nel report, attraverso una serie di schede e grafici, si entra nel dettaglio dei diversi settori alpini (occidentale, centrale e orientale) e in particolare sui tredici ghiacciai alpini italiani.

Nel settore occidentale, ad esempio, l’area coperta dai ghiacciai è ancora ragguardevole (circa 160 kmq), ma la loro distribuzione è alquanto disomogenea e i ghiacciai si stanno fortemente contraendo. Anche nelle Alpi centrali i ghiacciai monitorati dal Cgi sono in ritiro e oltre la metà ha subito un arretramento della fronte di oltre 10 metri in un anno; non mancano i picchi come quello relativo al Ghiacciaio dei Forni, ubicato in alta Valfurva, la cui fronte è arretrata di oltre 48 metri. Lo stesso accade nel settore alpino orientale, dove i ghiacciai hanno registrato un marcato regresso del settore frontale e il massimo ritiro frontale (83,5 m) si è registrato nel Ghiacciaio di Saldura Meridionale.

Tutti dati noti, affidabili, che permettono di avere una situazione molto chiara in merito agli effetti della crisi climatica sui ghiacciai italiani, ma che non stanno sortendo effetti rilevanti nei decisori politici. È questo il gap decisivo che adesso manca da colmare.

«La riduzione dei ghiacciai, insieme alla degradazione del permafrost e all’aumento della frequenza delle frane descrivono una crisi già in atto – conclude nel merito Vanda Bonardo, responsabile Alpi Legambiente – Si tratta di fenomeni studiati e conosciuti per i quali oggi siamo in possesso di una solida base di dati. Al contempo non mancano le proposte di policy di adattamento di cui siamo promotori su diversi tavoli nazionali. La Strategia nazionale delle aree interne, ad esempio, anche attraverso i fondi europei in arrivo, potrebbe costituire un’occasione imperdibile per costruire soluzioni comuni a problemi ricorrenti, favorendo al contempo paradigmi condivisi».

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