Trovato nei diamanti un nuovo minerale, la davemaoite, un’opportunità rara per conoscere le profondità della Terra
Un’impurità in un diamante del Botswana si è rivelata un minerale mai trovato prima in natura, la davemaoite, formatasi molte centinaia di chilometri sotto la superficie terrestre e poi risalita, che può aiutarci a capire meglio le profondità del mantello e i movimenti tettonici
di Stephanie Pappas/Scientific American
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Un diamante che si è formato nelle profondità del mantello terrestre contiene un minerale mai visto prima in natura. La scoperta è un raro spiraglio che consente di guardare nel mantello profondo e ottenere così nuove informazioni sulla struttura del pianeta a più di 660 chilometri di profondità. Ciò, a sua volta, può aiutare i geologi a capire meglio in che modo il mantello controlla la tettonica delle placche del pianeta.
Il minerale, una perovskite di silicato di calcio, si forma solo in condizioni di pressione incredibilmente elevate come quelle presenti nelle profondità della Terra. Il campione appena identificato si è probabilmente formato tra 660 e 900 chilometri sotto la superficie del pianeta, spiega il mineralogista Oliver Tschauner dell’Università del Nevada a Las Vegas. Anche se il minerale era stato già sintetizzato in laboratorio, utilizzando 20 gigapascal di pressione (quasi 200.000 volte la pressione atmosferica), si era immediatamente trasformato in una forma diversa una volta rimosso da quell’ambiente artificiale ad alta pressione. Perciò i ricercatori avevano supposto che sarebbe stato impossibile recuperare il minerale naturale formato nel mantello. “Pensavamo che le possibilità di trovarlo fossero così basse che non l’abbiamo mai cercato attivamente”, sottolinea Tschauner.
Così è stata una sorpresa quando lui e i suoi colleghi, analizzando le imperfezioni in un diamante estratto a Orapa, in Botswana, hanno trovato tre minuscole macchie di perovskite di silicato di calcio. Il silicato di calcio si trova in altre forme, tra cui la wollastonite nella crosta e la breyite nelle regioni centrali e inferiori del mantello. Ma questa versione aveva una struttura cristallina cubica che la distingueva dalle altre forme. Tschauner e i suoi colleghi hanno chiamato il nuovo minerale “davemaoite”, dal nome del geologo Ho-Kwang “Dave” Mao, che ha effettuato alcuni esperimenti pionieristici sull’uso di diamanti come presse per generare sperimentalmente pressioni simili al mantello sulla superficie terrestre. Il gruppo ha annunciato la scoperta su “Science”.
I geologi possono farsi un’idea adeguata della composizione del mantello terrestre basandosi su ciò che è presente nella crosta, perché le rocce del mantello e della crosta sono collegate: la tettonica sposta rocce e minerali su e giù tra gli strati nel corso di milioni di anni. I minerali però di norma si trasformano e cambiano quando lasciano l’alta pressione e le temperature elevatissime del mantello inferiore; i diamanti sono l’unica finestra diretta su questa regione, perché non si trasformano. Si formano ad almeno 150 chilometri sotto la superficie, e alcuni hanno origine anche a 1000 chilometri di profondità. La loro struttura cristallina è costituita da carbonio puro, ma spesso mentre si formano raccolgono piccoli frammenti dei materiali circostanti. Poiché i diamanti sono incredibilmente duri, possono sigillare queste microscopiche inclusioni in condizioni di pressione molto elevata, che permangono anche quando il diamante sale sulla crosta ed è raccolto da un minatore. “Il diamante non lascia entrare né uscire nulla”, spiega Oded Navon, geologo che studia i diamanti e il mantello profondo alla Hebrew University di Gerusalemme, ma che non ha partecipato all’identificazione della davemaoite. “È davvero una scatola perfettamente sigillata”.
La quantità di davemaoite nel diamante del Botswana era estremamente piccola: ciascuna delle tre macchie misurava solo da 5 a 10 micrometri di diametro. Tschauner e i suoi colleghi hanno usato i raggi X per analizzare le inclusioni e poi ne hanno bersagliate due con un laser, vaporizzando il materiale e analizzandolo con un dispositivo chiamato spettrometro di massa per determinare di quali elementi era composto. Hanno così scoperto che la davemaoite conteneva una quantità sorprendentemente alta di potassio; questo può aver contribuito a stabilizzare il minerale del mantello profondo durante la sua permanenza sulla superficie terrestre, aggiunge Tschauner. L’alto livello di potassio suggerisce anche l’esistenza di un “nastro trasportatore” globale che fa circolare gli elementi tra la crosta e il mantello profondo, spiega Yingwei Fei, geochimico della Carnegie Institution for Science statunitense, che firma un commento che accompagna il nuovo studio su “Science” ma non coinvolto nella ricerca. Il potassio non è una presenza importante nel mantello profondo, ma probabilmente finisce lì trasportato da strati di crosta nelle zone di subduzione, dove una placca tettonica viene spinta sotto un’altra.
Una forma di potassio è radioattiva, spiega Tschauner, e la davemaoite contiene anche piccole quantità di elementi radioattivi come torio e uranio, che non vengono incorporati facilmente negli altri minerali che compongono il mantello inferiore. Questo è importante perché il decadimento di questi elementi è responsabile di circa un terzo del calore generato all’interno della Terra, dice Tschauner. Studiando le concentrazioni di minerali più vicini alla superficie terrestre, i geologi ritengono che la davemaoite possa costituire circa il 5-7 per cento del mantello inferiore. Ma il minerale potrebbe non essere distribuito uniformemente, aggiunge Tschauner. A causa di ciò, le sacche di davemaoite ricca di uranio e torio possono essere predominanti in alcuni luoghi, spiegando forse perché alcune parti del mantello sono più calde di altre.
Queste zone calde contribuiscono ad alimentare la circolazione nel mantello, che muove la tettonica a placche, quindi piccole variazioni nelle concentrazioni di questi minerali potrebbero avere un grande impatto sulla superficie del nostro pianeta. Tali variazioni possono anche rivelare qualcosa di più sulle connessioni tra la crosta terrestre e il mantello inferiore, forse aiutando a spiegare come si spostano gli elementi tra i due strati. Questa è un ambito di studi agli albori, afferma Tschauner. “Avere a disposizione i veri minerali del mantello inferiore è una direzione abbastanza nuova per questo tipo di ricerca”, conclude.