Il rallentamento della rotazione terrestre ha favorito l’ossigenazione dell’atmosfera
Sarebbe stato il progressivo rallentamento della velocità di rotazione della Terra, andato di pari passo con la formazione della Luna, ad aver favorito l’incremento di ossigeno nell’atmosfera prodotto tramite fotosintesi dai cianobatteri
di Julia Rosen/Scientific American
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Quando Judith Klatt ha iniziato a studiare i tappeti colorati di microbi primitivi che vivono in una dolina [una depressione del terreno causata dal collasso della superficie, NdT]sul fondo del lago Huron, tra Canada e Stati Uniti, pensava di poter imparare qualcosa sui primi ecosistemi della Terra. Invece Klatt, biogeochimica del Max-Planck-Institut per la microbiologia marina a Brema, in Germania, si è trovata ad affrontare uno dei più grandi misteri irrisolti della geologia: in che modo, esattamente, la Terra è diventata l’unico pianeta conosciuto ad avere un’atmosfera ricca di ossigeno?
Gli indizi geologici suggeriscono che i microbi potrebbero aver iniziato a rilasciare ossigeno con la fotosintesi già tre miliardi di anni fa o anche prima. Ma per qualche ragione, è servito circa mezzo miliardo di anni affinché quell’ossigeno si accumulasse nell’atmosfera e poi un altro miliardo affinché raggiungesse i livelli attuali e ponesse le basi per la vita complessa. Questi ritardi hanno sempre lasciato perplessi gli scienziati. Alcuni hanno proposto che le reazioni chimiche possano aver consumato gran parte del gas o che una mancanza di nutrienti essenziali abbia limitato la sua produzione.
Ora, ispirati dal lavoro sulla dolina, Klatt e i suoi colleghi hanno identificato un’altra possibile spiegazione, che descrivono su “Nature Geoscience”: i primi giorni della Terra erano semplicemente troppo brevi.
Poco dopo la formazione del sistema solare, un oggetto delle dimensioni di Marte si è schiantato sulla Terra e ha proiettato nello spazio uno spruzzo di detriti che è diventato la Luna. Da allora, il trascinamento del nostro satellite naturale ha gradualmente rallentato la rotazione del pianeta, aumentando la lunghezza del giorno dalle circa sei ore nell’infanzia della Terra alle 24 ore attuali. Gli scienziati sanno da decenni di questo rallentamento e continuano a perfezionare i dettagli. Ma pochi lo hanno collegato ai livelli di ossigeno, fino a quando l’oceanografo dell’Università del Michigan Brian Arbic ha sentito un discorso sul lavoro di Klatt su una dolina del lago Huron. Arbic, co-autore del nuovo articolo, si è chiesto se il cambiamento della lunghezza del giorno potrebbe aver influito sulla fotosintesi nel corso del tempo geologico.
Poiché è alimentata da acque sotterranee povere di ossigeno e ricche di zolfo, la dolina si avvicina alle condizioni della Terra primitiva, ospitando comunità di batteri microscopici che coprono il fondo del lago in tappeti viola e bianchi. Klatt e i suoi colleghi hanno esaminato in che modo i cianobatteri fotosintetici, che producono ossigeno, si nascondono sotto i loro competitori che consumano zolfo durante la notte e come i due si scambiano letteralmente le posizioni all’alba e al tramonto. I ricercatori hanno scoperto che il tempo che impiegano per scambiarsi di posto crea un ritardo tra quando sorge il Sole e quando inizia la fotosintesi, limitando la quantità di ossigeno che i tappeti possono generare nei giorni brevi. Infatti, Klatt ha dimostrato in laboratorio che i tappeti non producevano affatto ossigeno nei “giorni” artificiali di 12 ore e che la produzione di ossigeno aumentava quando la lunghezza del giorno superava le 16 ore.
Klatt inizialmente aveva dubitato che i risultati sulla dolina potessero aiutare a spiegare il mistero dell’ossigeno. “È un tipo molto speciale di comunità che potrebbe non essere esistita in una Terra antica”, spiega. E senza una simile
competizione, i cambiamenti nella lunghezza del giorno non dovrebbero avere importanza, perché i microbi riceverebbero la stessa quantità totale di luce solare, solo con incrementi diversi. Ma alla fine (dopo averci pensato per quello che lei chiama un tempo “imbarazzante”), Klatt si è resa conto dell’esistenza di un legame ancora più profondo che si applicava a qualsiasi tipo di tappeto batterico, compresi quelli presenti sulla Terra antica: anche se la produzione di ossigeno rimaneva invariata, giorni più lunghi avrebbero permesso a più gas di diffondersi nell’acqua e infine entrare nell’atmosfera.
Questo perché la quantità di ossigeno che lascia un tappeto è limitata da quanto velocemente le molecole di gas possono diffondersi al fuori di esso e da quanto ne viene consumato da altri tipi di batteri nel tappeto. I giorni più lunghi hanno un picco di luce solare prolungato, lasciando accumulare più ossigeno nel tappeto, il che ne aumenta la diffusione. Inoltre, i giorni più lunghi danno anche al gas più tempo per sfuggire prima della notte, quando i microbi che assorbono l’ossigeno consumano il resto. Questi meccanismi potrebbero aver avuto un forte impatto sui livelli di ossigeno atmosferico nella storia della Terra, come suggeriscono i risultati dello studio.
È “un’idea semplice ma elegante”, afferma Timothy Lyons, biogeochimico dell’Università della California a Riverside, non coinvolto nello studio. Lyons spiega che rimangono aperte questioni importanti, per esempio se i primi batteri fotosintetici vivessero principalmente sul fondo del mare o fluttuassero liberi nell’acqua, dove avrebbero potuto rilasciare ossigeno più facilmente e senza molta dipendenza dalla diffusione. Lyons sospetta che molti processi abbiano contribuito a riempire l’atmosfera di ossigeno – e che la lunghezza del giorno potrebbe certamente aver contribuito.
Altri possibili meccanismi includono il cambiamento delle emissioni di gas dai vulcani che consumano ossigeno, come idrogeno e metano, e disponibilità limitata di fosforo, un nutriente necessario per la fotosintesi. Benjamin Mills, un modellista dell’evoluzione della Terra all’Università di Leeds, in Regno Unito, non coinvolto nello studio, dichiara di essere sorpreso che gli scienziati abbiano per lo più trascurato il ruolo della lunghezza del giorno. La sfida ora, dice, è valutare “l’importanza relativa di questo processo rispetto alle altre cose che sappiamo sul ciclo globale dell’ossigeno”.
Sia Mills sia Stephanie Olson, astrobiologa della Purdue University, non coinvolta nello studio, sono rimasti colpiti da quanto siano in accordo i nuovi risultati con la storia dell’ossigenazione atmosferica, compreso il famoso aumento in due fasi e i “noiosi miliardi” di anni intermedi – quando i livelli di ossigeno sono andati scemando e anche la lunghezza del giorno si è fermata a 21 ore. “È intrigante che il modello di accumulo di ossigeno e il tempo del rallentamento della velocità di rotazione della Terra sembrino essere avvenuti di pari passo”, afferma Olson.
Olson è uno dei pochi altri ad aver proposto una connessione tra la lunghezza del giorno e i livelli di ossigeno. In un articolo del 2020 che si concentrava principalmente sugli esopianeti, ha descritto in che modo i cambiamenti nel tempo nella rotazione della Terra potrebbero aver influito sulla circolazione oceanica e quindi sul trasporto di sostanze nutritive, come il fosforo, che alimentano la fotosintesi. Olson e i suoi studenti stanno ora esplorando l’idea con modelli al computer. Questo meccanismo e quello di Klatt potrebbero aver lavorato in sinergia, dice Olson: “Li vedo come idee fortemente complementari, non concorrenti.”