MOA-2010-BLG-477L, il sistema dove un pianeta è sopravvissuto alla morte della sua stella

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MOA-2010-BLG-477L, il sistema dove un pianeta è sopravvissuto alla morte della sua stella

Un gigante gassoso, equivalente a Giove, può sopravvivere all’espansione e poi al collasso della stella che lo ospita, continuando a orbitarle attorno. Lo dimostra la prima osservazione di un sistema planetario del genere, a circa 6500 anni luce dalla Terra. E una sorte simile potrebbe riguardare il nostro sistema solare
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Al centro della Via Lattea, a 6500 anni luce di distanza da noi, si può osservare MOA-2010-BLG-477L, un sistema planetario fuori dall’ordinario, che rappresenta un modello di come potrebbe diventare il sistema solare tra cinque miliardi di anni. Descritto sulla rivista “Nature” da Joshua Blackman, dell’Università della Tasmania a Hobart, e colleghi è infatti formato da una nana bianca, dotata di metà della massa del Sole e da un pianeta gigante di tipo gioviano, 1,4 volte più massiccio di Giove, che gli orbita intorno a circa 2,8 unità astronomiche (o UA: una UA è pari alla distanza media della Terra dal Sole).

La rilevazione di questo tipo di sistemi planetari è piuttosto recente. Una teoria astrofisica ben consolidata spiega che una nana bianca è uno degli oggetti più massicci dell’universo: concentra una massa paragonabile a quella del Sole in un volume paragonabile a quello della Terra. È ciò che resta di una stella piccola o medio piccola – come la grande maggioranza delle stelle dell’universo –  che, giunta alla fine del suo ciclo vitale per l’esaurimento del combustibile nucleare, prima si gonfia a dismisura raggiungendo lo stadio di gigante rossa, poi collassa su se stessa per effetto della sua stessa attrazione gravitazionale.

Alcune simulazioni mostrano che i pianeti giganti su orbite distanti, come può essere Giove nel sistema solare, possono sopravvivere alla trasformazione della stella centrale in una nana bianca, purché si tratti di stelle di massa inferiore a circa otto masse solari. Finora però mancava un’osservazione sperimentale di questo tipo di sistemi residuali.

Le cose sono cambiate quando, nel mese di settembre scorso, sempre sulla rivista “Nature” è stato descritto un sistema analogo, battezzato WD 1856 a circa 80 anni luce da noi. Ma le sue caratteristiche sono del tutto peculiari: il pianeta gioviano si trova su un’orbita molto stretta, e compie una rivoluzione ogni 1,4 giorni. Ciò fa pensare che si sia formato in un altro sistema, per poi essere catturato dalla gravità della nana bianca con un meccanismo ancora sconosciuto.

Nel caso di MOA-2010-BLG-477L, invece, gli autori dello studio sono riusciti a stabilire che il pianeta gioviano, che pure mostra un’orbita stretta, era presente nella stesso sistema planetario fin dalle sue origini, e ha resistito prima all’espansione della stella fino alla fase di gigante e poi al suo collasso. L’ipotesi dei ricercatori è che questo tipo di sistemi possano essere abbastanza comuni nel cosmo: la metà circa delle nane bianche potrebbe avere un pianeta gigante intorno.

Non è escluso quindi che la stessa sorte toccherà anche al sistema solare: tra circa cinque miliardi di anni, anche la nostra stella avrà finito il combustibile nucleare e attraverserà prima la fase di gigante rossa, inghiottendo il pianeti più interni, compresa la Terra, per poi collassare inesorabilmente.

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