Le ondate di caldo marine potrebbero spazzare via il 6% della pesca globale
Perdita di milioni di posti di lavoro e carenza di cibo
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Secondo lo studio “Marine high temperature extremes amplify the impacts of climate change on fish and fisheries” pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori delle università della British Columbia (UBC), Berna e Stanford, «Oltre alle previste diminuzioni degli stock ittici dovute al cambiamento climatico a lungo termine, in questo secolo anni estremamente caldi spazzeranno via centinaia di migliaia di tonnellate di pesce disponibile per la cattura nelle acque di un singolo paese».
Per realizzare proiezioni legate all’impatto del clima su pesci, pesca e comunità umane che ne dipendono, i ricercatori dell’Institute for the Oceans and Fisheries (IOF) dell’UBC hanno utilizzato un modello complesso che incorpora le temperature oceaniche annuali estreme nelle zone economiche esclusive, dove si verifica la maggior parte delle catture globali di pesce. Modellando uno scenario del caso peggiore, nel quale non viene intrapresa alcuna azione per mitigare le emissioni di gas serra, hanno previsto «Un calo del 6% della quantità di catture potenziali all’anno» e prevedono che «Il 77% delle specie sfruttate diminuirà in biomassa o quantità di pesce in peso in una determinata area, a causa di annate estremamente calde». Si tratta delle massime diminuzioni previste a causa del cambiamento climatico su scala decennale a lungo termine.
Le cifre dello studio sono davvero preoccupanti: Nel Pacifico del Canada, le catture di salmone rosso diminuiranno del 26% in media durante un evento di alta temperatura tra il 2000 e il 2050, una perdita annuale di 260 – 520 tonnellate di pesce. Con le perdite dovute ai cambiamenti climatici, quando si verificherà una temperatura estrema negli anni 2050, la diminuzione totale delle catture annuali sarebbe superiore al 50%, o da 530 a 1.060 tonnellate di pesce. Si prevede che le catture di acciughe peruviane diminuiranno del 34% durante un evento di temperatura estremamente elevata tra il 2000 e il 2050, ovvero più di 900.000 tonnellate all’anno. Con il cambiamento climatico, una temperatura estrema costerà alla pesca dell’acciuga peruviana più di 5 milioni di tonnellate del loro pescato potenziale. Nel complesso, lo studio prevede che un evento estremo di alta temperatura provocherà un calo del 25% delle entrate annuali per la pesca dell’acciuga peruviana o una perdita di circa 600 milioni di dollari. Perduti. Quando si verificheranno temperature estreme nelle acque dell’Indonesia tra il 2000 e il 2050, verranno persi quasi 3 milioni di posti di lavoro nell’industria della pesca.
Lo studio fa però notare che «Alcuni stock aumenteranno a causa di questi eventi estremi e del cambiamento climatico, ma non abbastanza per mitigare le perdite»
Durante gli eventi estremi della temperatura oceanica e in aggiunta ai cambiamenti di temperatura previsti ogni decennio, i ricercatori hanno previsto che, a livello globale, le entrate della pesca saranno ridotte in media del 3% e l’occupazione del 2%, con una potenziale perdita di milioni di posti di lavoro.
Il principale autore dello studio, William Cheung, direttore dell’IOF dell’UBC, sottolinea che «Queste temperature annuali estreme saranno uno shock aggiuntivo per un sistema sovraccarico. Vediamo che nei Paesi in cui la pesca è già indebolita da cambiamenti a lungo termine, come il riscaldamento degli oceani e la deossigenazione, l’aggiunta dello shock delle temperature estreme aggraverà gli impatti a un punto che probabilmente supererà la capacità di adattamento di queste attività di pesca. Non è diverso dal modo in cui il Covid-19 stressa il sistema sanitario aggiungendo un onere aggiuntivo».
Un altro autore dello studio, Thomas Frölicher, del Physikalischen Instituts und Mitglied des Oeschger-Zentrums für Klimaforschung dell’Universität Bern, aggiunge: «Si prevede che in futuro gli eventi di temperatura estrema si verificheranno più frequentemente. Le odierne ondate di caldo marino e i loro gravi impatti sulla pesca sono precursori del futuro, poiché questi eventi stanno generando condizioni ambientali che il riscaldamento globale a lungo termine non creerà per decenni».
I ricercatori hanno scoperto che alcune aree saranno più colpite di altre, comprese le Zone economiche esclusive (Zee) nella regione indo-pacifica, in particolare le acque intorno al sud e sud-est asiatico e alle isole del Pacifico, il Pacifico tropicale orientale, l’area lungo la costa pacifica delle Americhe e alcuni Paesi dell’Africa Occidentale.
Lo studio prevede che in Bangladesh, dove la filiera della pesca impiega un terzo della forza lavoro del Paese, un evento di caldo marino estremo taglierà il 2% – circa un milione – dei posti di lavoro nel settore della pesca del Paese, oltre agli oltre 6 milioni di posti di lavoro che andranno persi entro il 2050 a causa dei cambiamenti climatici a lungo termine.
La situazione è altrettanto grave per l’Ecuador, dove si prevede che gli eventi di temperature estremamente elevate avranno un impatto negativo su un ulteriore 10%, o circa 100 milioni di dollari, delle entrate della Pesca del paese oltre alla riduzione del 25% prevista entro la metà del XXI secolo.
Per Cheung, «Questo studio evidenzia davvero la necessità di sviluppare modi per affrontare le temperature estreme marine, e presto. Queste temperature estreme sono spesso difficili da prevedere in termini di quando e dove si verificano, in particolare negli hot spot con capacità limitata di fornire previsioni scientifiche affidabili per le loro attività di pesca. Dobbiamo considerare questa imprevedibilità quando pianifichiamo gli adattamenti ai cambiamenti climatici a lungo termine. L gestione attiva della pesca è vitale. I potenziali adattamenti includono l’adeguamento delle quote di cattura negli anni in cui gli stock ittici sono soggetti a temperature estreme o, nei casi più gravi, la chiusura delle attività di pesca in modo che gli stock possano ricostituirsi. Dobbiamo disporre di meccanismi già in atto per poterlo affrontare».
Una autrice dello studio Colette Wabnitz dell’IOF e scienziata capo allo Stanford Center for Ocean Solutions, conclude; «Durante i loro sviluppo, sarà importante lavorare con le persone interessate da tali opzioni di adattamento, poiché alcune decisioni potrebbero esacerbare l’impatto sui mezzi di sussistenza delle comunità, nonché sulla sicurezza alimentare e nutrizionale. Gli stakeholders sono diversi e includono non solo l’industria, ma anche le comunità indigene, la pesca artigianale e altri. Dovrebbero essere coinvolti nelle discussioni sugli effetti dei cambiamenti climatici e delle ondate di caldo marine, nonché nella progettazione e implementazione di soluzioni».