In montagna le valange partono da sempre più in alto, per via dei cambiamenti climatici

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In montagna le valange partono da sempre più in alto, per via dei cambiamenti climatici

Nei Vosgi diminuito di 7 volte il numero delle valanghe e accorciata la stagione valanghiva
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Le zone montane sono particolarmente colpite dal riscaldamento globale, ma gli impatti sulle valanghe sono ancora poco conosciuti. Lo studioUpslope migration of snow avalanches in a warming climate”, pubblicato su PNAS da un team di ricercatori francesi di INRAE, Météo France, CNRS e delle un iversità di Grenoble Alpes, Genève e Haute-Alsace si è occupato dell’evoluzione dell’attività valanghiva  risalendo per quasi due secoli e mezzo nelle montagne dei Vosgi e mettendo insieme analisi delle fonti storiche e modellistica statistica e climatologia. I risultati dello studio dimostrano «Un aumento di quota delle valanghe che ora si verificano principalmente alle quote più elevate del massiccio». Questo aumento ha comportato una diminuzione di 7 volte del numero di valanghe, un accorciamento della stagione delle valanghe e una riduzione delle loro dimensioni rispetto alla fine della “Piccola Era Glaciale”.

I ricercatori francesi sottolineano che «E’ ormai assodato che il cambiamento climatico colpisce soprattutto le zone di montagna. Gli impatti sulla criosfera (neve, ghiaccio, permafrost) sono molto importanti e ben descritti per l’evoluzione dei ghiacciai e del manto nevoso. Tuttavia, le evoluzioni dell’attività valanghiva in risposta ai cambiamenti climatici sono ancora poco conosciute, a causa della mancanza di serie di osservazioni valanghive di durata sufficientemente lunga e di tecniche statistiche in grado di tenere conto dei numerosi bias insiti nelle poche serie esistenti. Questo è stato ricordato in particolare di recente nel rapporto speciale dell’IPCC sull’oceano e la criosfera, che include un capitolo specificamente dedicato alle aree montane. Il tema del rischio è cruciale data la pericolosità delle valanghe per l’uomo e le infrastrutture (edifici, reti di trasporto e comunicazione, ecc.)».

Per colmare queste lacune nella conoscenza,  il team di ricerca ha studiato l’evoluzione dell’attività valanghiva tra la fine del XVIII secolo e il 2014 nelle montagne dei Vosgi. Gli scienziati hanno utilizzato un approccio multidisciplinare innovativo che combina l’analisi del corpus delle fonti storiche (archivi scritti, documenti iconografici, testimonianze, ecc.), modelli statistici e climatologia e, grazie a questo lavoro, hanno potuto dimostrare che «L’aumento della temperatura di + 1,5° C nelle montagne dei Vosgi tra la metà del XIX secolo e l’inizio del XX secolo (fine di quella che viene chiamata la “Piccola Era Glaciale”) ha portato a una riduzione di 7 volte del numero medio di valanghe per inverno a livello del massiccio. La dimensione media delle valanghe è stata notevolmente ridotta – l’ultima valanga di dimensioni eccezionali è avvenuta nel 1952 – così come la durata della stagione durante la quale si sono verificate le valanghe (riduzione di 23 giorni in media)». L’analisi dell’evoluzione del manto nevoso ha dimostrato che  «Questi cambiamenti sono legati ad una netta riduzione, al termine della “Piccola Era Glaciale”, del manto nevoso alle basse e medie quote del massiccio. Di conseguenza, le valanghe sono ormai quasi scomparse da queste altitudini nelle montagne dei Vosgi. Oggi si verificano principalmente alle quote più elevate (zone di attivazione con quota minima intorno ai 1.200 m), anche se l’attività valanghiva è ancora un potenziale rischio in questo massiccio».

I ricercatori francesi concludono: «Questo studio suggerisce che nel tempo, in molte catene montuose, l’attività valanghiva sarà gradualmente limitata a quote sempre più elevate e che questo movimento sarà probabilmente accompagnato da una riduzione media della loro dimensione e durata della stagione in cui si verificano come futuri il riscaldamento riduce il manto nevoso. Più in generale, questi risultati mostrano che i massicci di media montagna possono fungere da sentinelle degli impatti del riscaldamento globale e quindi aiutare a progettare strategie di adattamento efficaci per tutte le aree montane».
 

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