Un buco nello strato di ozono avrebbe attraversato i cieli europei
Arpa Valle d’Aosta e CNR: aumenti della radiazione UV potrebbero avere conseguenze per la salute pubblica
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Nella primavera 2020 i ricercatori di Agenzia regionale protezione ambien te della Valle d’Aosta hanno rilevato sulla più piccola Regione italiana «valori di radiazione solare ultravioletta più alti della media». Ne è nato lo studio “The 2020 Arctic ozone depletion and signs of its effect on the ozone column at lower latitudes” pubblicato sul Bulletin of Atmospheric Science and Technology) da un team di ricercatori dell’Arpat Valle d’Aosta e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) che attribuisce questo aumento a «Un buco dell’ozono formatosi sull’Artico e poi disceso sull’Europa. Un evento raro, ma che potrebbe diventare sempre più probabile col riscaldamento globale».
All’ARPAT Valle d’Aosta sottolineano: «Diciamolo subito: la radiazione ultravioletta (UV) sulla Valle d’Aosta è fortunatamente tornata ai suoi valori tipici in poche settimane e le variazioni osservate nei mesi di aprile e maggio 2020 (un aumento di circa il 20%) non devono destare eccessiva preoccupazione, sia per la durata limitata del fenomeno sia perché oggi disponiamo di tutta l’informazione necessaria per proteggerci. Sul sito web di ARPA, per esempio, è possibile seguire il bollettino della radiazione UV elaborato quotidianamente, e valutare quale protezione adottare prima di un’escursione in montagna o di una giornata all’aperto».
Ma, dal punto di vista scientifico l’evento è significativo e Arpat e CNR hanno cercato di capire perché, artendo da una domanda che contiene già in sé la risosta: «Ozono: problema risolto? Sì… anzi, no».
Di che cosa stiamo parlando esattamente? I ricercatori valdostani spiegano che «In questo contesto, non ci riferiamo all’ozono disperso nell’aria che respiriamo alla superficie terrestre, un tipico inquinante estivo dagli effetti irritanti, ma allo stesso gas presente, in concentrazioni molto maggiori, a 20-30 km di quota e in grado di ripararci, come un ombrello, dalla radiazione UV solare. Meno ozono in stratosfera, dunque, più UV a terra».
Alcune sostanze di origine antropica oggi vietate, come i CFC che ancora circolano nell’atmosfera, sono in grado di danneggiare lo strato di ozono globale. I ricercatori evidenziano che «Il punto più nevralgico dell’intero pianeta è il polo sud, dove, a causa di condizioni ambientali estreme, al ritorno del sole dopo l’inverno polare lo strato di ozono subisce un drastico assottigliamento, definito appunto “buco dell’ozono”. In seguito al Protocollo di Montreal firmato alla fine degli anni ’80, tuttavia, alcuni timidi segni di guarigione (healing) dello strato di ozono antartico iniziano oggi a essere visibili. Al polo nord, però, il fenomeno è decisamente più raro che al polo sud. A causa della diversa distribuzione degli oceani, infatti, all’inverno artico manca un ingrediente fondamentale: il freddo molto intenso e prolungato caratteristico del polo sud. Solo se le temperature negli strati più alti dell’atmosfera si abbassano al di sotto dei -80° C circa è possibile assistere alla formazione di nubi stratosferiche polari, sulle quali avvengono le reazioni chimiche più temibili per l’ozono. In alcuni anni particolari, tuttavia, anche l’Artico ha ospitato un “fratello minore” del buco dell’ozono antartico: nel 1997, 2011 e 2020 (in quest’ultimo anno battendo tutti i record. Quando poi, nel corso della primavera, il buco dell’ozono artico si sfilaccia, alcune masse d’aria povere di questo gas sono libere di scivolare a latitudini minori, ad esempio verso l’Europa».
CNR e Arpa Valle d’Aosta hanno esaminato le serie delle misure di ozono stratosferico ottenute in 6 stazioni europee a latitudini diverse, dal circolo polare artico (Ny-Ålesund, isole Svalbard) fino a Roma, e tra queste c’è anche Saint-Christophe in Valle d’Aosta, che dal 2007 è uno dei nodi della rete mondiale per il monitoraggio dell’ozono. Inoltre, questo sito di Arpa Valle d’Aosta riveste un ruolo centrale dello studio, perché detiene una delle serie di misure di radiazione UV solare a terra più accurate al mondo.
I ricercatori hanno, così, ricostruito la discesa delle masse d’aria povere di ozono dal polo nord all’Europa meridionale: «Sia la direzione dei venti nell’alta atmosfera, sia gli andamenti nel tempo nei diversi siti dimostrano in modo inequivocabile che l’origine delle variazioni osservate è proprio la riduzione di ozono avvenuta nella regione artica».
Ma all’Arpat Valle d’Aosta avvertono che non è tutto così semplice: «Infatti, considerando esclusivamente le variazioni di ozono,i conti della radiazione UV nella nostra regione non tornano perfettamente», aspetto che ha incuriosito ulteriormente i ricercatori e che rende bene l’idea della complessità dei fattori in gioco».
A complicare le cose sono state altre circostanze che hanno rivestito un ruolo importante nelle stesse settimane: «Il lockdown, innanzi tutto, ha causato una parziale riduzione negli strati più bassi dell’atmosfera delle polveri fini, in grado anch’esse di assorbire la radiazione solare. Contemporaneamente, i venti da est hanno favorito il trasporto di masse d’aria inquinate dalla Pianura Padana alla Valle d’Aosta, compensando così la riduzione delle emissioni locali di PM. Dunque – paradossalmente – in Valle d’Aosta l’aria è stata meno trasparente durante il periodo di lockdown 2020 rispetto alla media degli anni precedenti. Tuttavia, una serie di giornate serene e secche su tutta l’Europa occidentale e anche sulla nostra regione hanno favorito, nella primavera 2020, un aumento della radiazione solare complessiva a terra. Infine, alcuni studi evidenziano un possibile ruolo delle emissioni da traffico aereo sull’ozono a quote intermedie (libera troposfera). Solo tenendo conto di questa incredibile molteplicità di fattori, dei quali la diminuzione di ozono è il più importante, è stato possibile ricostruire gli aumenti di radiazione UV osservati in Valle d’Aosta.
Come ha evidenziato il recente studio “Climate change favours large seasonal loss of Arctic ozone”, pubblicato su Nature Communications da un team di ricercatori tedeschi, finlandesi e statunitensi, «Il cambiamento climatico in atto potrebbe contribuire alla formazione più frequente del buco dell’ozono al polo nord». L’innalzamento delle temperature nella parte bassa dell’atmosfera, dovuto all’effetto serra, genera come contraccolpo un raffreddamento negli strati atmosferici superiori, favorendo così la formazione di nubi stratosferiche polari.
I ricercatori italiani avvertono che «Da semplice curiosità scientifica, la diminuzione dell’ozono artico potrebbe perciò diventare un fenomeno da osservare con maggiore regolarità e attenzione. Infatti, le medie latitudini sono fasce geografiche densamente popolate ed eventuali aumenti della radiazione UV nella tarda primavera, se persistenti, potrebbero avere conseguenze relativamente importanti per la salute pubblica. Insomma, ozono e UV sono tutt’altro che capitoli chiusi definitivamente, anche dopo il Protocollo di Montreal».
Per questo, da 17 anni Arpa Valle d’Aosta monitora la radiazione UV solare con competenze specialistiche di alto livello e strumentazione avanzata, in grado di rilevare piccole variazioni che possano, tuttavia, rappresentare un campanello d’allarme di fenomeni globali complessi: un laboratorio prezioso nel contesto europeo e mondiale, che fa della Valle d’Aosta un punto di osservazione privilegiato.