Il mare di sangue delle Fær Øer e i diritti della biosfera
Donatella Bianchi: le immagini dei tanti cetacei barbaramente uccisi hanno sconvolto il mondo. Nel 2021 non è più tollerabile che queste “tradizioni” vengano perpetrate
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Le immagini del mare di sangue che ha invaso lo specchio d’acqua adiacente alla spiaggia di Skálabontnur sull’isola di Eysrturoy hanno ormai fatto il giro del mondo generando un’onda di rabbia, indignazione rispetto a quella che è senza mezzi termini un crimine di natura.
Una strage (la più numerosa della storia recente visto che sono stati superati i 1200 uccisi animali nel 1940) in cui stata cancellata la vita di 1500 globicefali sacrificati sull’altare di una tradizione, il Grindadráp, che sembra essere diventato un colossale monumento alla crudeltà.
Mattanze simili, anche di pochi esemplari, avvengono anche più volte l’anno e, denunciano i ricercatori, mettono seriamente a rischio la popolazione atlantica di globicefali per la sua ridotta capacità riproduttiva (partoriscono ogni 4-5 anni). Eppure parliamo di isole evolute, di piccole comunità che non hanno bisogno di uccidere cetacei per sopravvivere. Nella tradizione vichinga uccidere un globicefalo era il rito di passaggio dalla pubertà all’era adulta ma anche una facile occasione di procacciarsi cibo.
Perché i globicefali? Perché questi animali, tra i cetacei più gregari, sono talmente sociali da chiamarsi balene pilota e perché se uno dei leader spiaggia o si trova in difficoltà il gruppo non lo abbandona mai. Ancora più barbaro, sfruttare quella solidarietà familiare per uccidere. Gli animali, prima, accerchiati dalle imbarcazioni, sono stati spinti verso la costa e uccisi con arpioni, coltelli e in alcuni casi anche trapani elettrici in un mare di sangue.
Una barbarie che non ha più alcuna ragione di continuare
Il perpetuarsi di una mattanza che ogni anno chiude il cuore apre la strada a due interrogativi a cui è necessario dare una risposta. In primo luogo una tradizione,per quanto antica, può giustificare una strage di animali? E poi, il genere umano è l’unica specie della biosfera ad avere diritti?
Alla prima domanda è facile rispondere. Ricordo bene la brutalità delle mattanze in tonnara, la camera della morte e i riti dei tonnaroti, perché fino a qualche anno fa, anche nel nostro Paese si uccidevano i tonni con gli arpioni, pratiche simili a quelle delle Isole Faroe, giustificate da antichi riti popolari. Dobbiamo alla mobilitazione del mondo ambientalista e alla crescente sensibilità dell’opinione pubblica, l’abolizione di tanta crudeltà.
Per risponde al secondo interrogativo serve un’assunzione di responsabilità collettiva che condanni e bandisca per sempre la “caccia della vergogna”. Una risposta urgente. Negli ultimi 50 anni, secondo i dati del Living Planet Report, abbiamo assistito ad un crack biologico, perdendo circa due terzi delle popolazioni di vertebrati a livello globale. Un vero e proprio tracollo che impone una rivoluzione culturale. Il genere umano non può continuare a immaginare il proprio rapporto con la natura che lo circonda e che gli permette di vivere, senza un limite. E, soprattutto, non può continuare a pensare a sé stesso come l’unico soggetto di diritti sul pianeta.
La crisi di biodiversità che accompagna il progresso dell’umanità impone un cambio di paradigma nel nostro modo di stare sulla Terra.
Dobbiamo cominciare a immaginare la biodiversità come un patrimonio comune. Un patrimonio che tutti abbiamo il dovere di rispettare e difendere. Un patrimonio che appartiene alla nostra esistenza e dal quale dipende il nostro benessere, la nostra salute, la nostra vita.
Ecco perché pratiche come quella del “Grind” non sono semplicemente tollerabili. Il mare di sangue che ha scosso le nostre coscienze non può restare confinato nella baia dell’indignazione ma deve incanalarsi in qualcosa di più, nella richiesta di porre fine, una volta per tutte, alla crudeltà gratuita che, sotto la maschera degli usi, fa strage di animali. È necessario un intervento della comunità internazionale (ma sarebbe opportuno che anche l’Europa, terra dei diritti, in quest’occasione dicesse la sua) per riconoscere i diritti della biosfera.
Dalle foreste ai cetacei dalle specie in via di estinzione agli impollinatori è nostro dovere difendere la vita che ci circonda ed evitare che la nostra specie resti intrappolata nella gabbia della crudeltà che insieme al sangue ha violentato le acque della spiaggia di Skalabotnur.
di Donatella Bianchi
Presidente Wwf Italia