Il CRISPR cercherà di riportare in vita i mammut
Il genetista George Church ha finalmente i fondi necessari per creare degli ibridi mammut-elefante, inserendo i tratti genetici della specie estinta nel genoma dei parenti più prossimi. Resta però da capire quanto l’impresa sia realistica, utile ed eticamente difendibile
di Anna Meldolesi
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L’idea era già stata esposta nel 2017 al meeting annuale dell’Associazione americana per l’avanzamento della scienza, quando il genetista di Harvard George Church aveva annunciato la creazione entro due anni dei primi embrioni di “mammufante”, ovvero di elefante riprogrammato geneticamente per assomigliare il più possibile a un mammut. Poi non se n’è più saputo nulla, fino alla scorsa settimana, quando una start-up lanciata per operare nell’avveniristico campo della de-estinzione, la Colossal, ha comunicato di aver raccolto 15 milioni di dollari.
Finora, con appena 10.000 dollari l’anno a disposizione, il progetto aveva potuto a malapena scaldare i motori. Adesso, con il sostegno del produttore cinematografico Thomas Tull e di alcuni visionari finanziatori della Silicon Valley, è finalmente pronto a partire. Ma non aspettatevi di vedere resuscitati a breve dei bestioni pelosi e proboscidati. Secondo le stime pubblicate su “STAT”, 15 milioni basteranno per creare il primo embrione. Per far nascere il primo cucciolo serviranno altri fondi.
Colossal insomma non prevede di appendere fiocchi alla porta del suo quartier generale di Dallas prima del 2027, e sarà solo l’inizio. Ci vorrà almeno un altro decennio perché il primo esemplare arrivi alla maturità. E non si potrà continuare a procedere con un animale per volta se l’obiettivo è davvero quello dichiarato: liberare un intero branco nel circolo artico, riportando i quasi-mammut a calpestare la tundra migliaia di anni dopo la scomparsa della specie originale.
Colossale di nome ma non di fatto, la società fondata da Church insieme al bio-imprenditore Ben Lamm per ora ha solo 19 impiegati, ma è pronta ad assumere. Per chi si chiede che tipo di business si possa fare con dei mammufanti, la risposta è che probabilmente non sarà il turismo in stile Jurassic Park a ripagare le spese. Piuttosto, ci si aspetta che saranno le tecnologie sviluppate nel corso del progetto ad avere un valore economico, perché potranno essere usate anche in campi diversi dalla de-estinzione.
Magari nuove piattaforme per la biologia di sintesi, capaci di generare contemporaneamente molte mutazioni mirate differenti, o prototipi di uteri artificiali dove far crescere gli embrioni ingegnerizzati. Per riuscire in quest’ultima sfida, in particolare, i ricercatori dovranno far fare alle attuali tecniche un bel balzo in avanti.
Il punto di partenza potrebbe essere una collezione di fattori di trascrizione che è stata l’oggetto di una recente pubblicazione del laboratorio di Church. Con questi cocktail molecolari le cellule staminali possono essere indirizzate verso destini diversi, diventando anche cellule endometriali ed endoteliali. Con questi biomateriali viventi si potrebbero costruire dei “cuscini” vascolarizzati adatti ad accogliere gli embrioni durante lo sviluppo.
La gestazione di un elefante dura la bellezza di 22 mesi, e il compito sarebbe stato più facile scegliendo di partire con altri animali estinti più piccoli del mammut, ma l’effetto spettacolare sarebbe andato perduto e con esso, probabilmente, anche una parte dell’entusiasmo. In definitiva, nessuno dei finanziatori si aspetta di diventare ricco con dodo, alca impenne, piccione migratore e via resuscitando, ma nemmeno con animali più iconici. Ad attirarli è l’idea di provare a trasformare in scienza la fantascienza, seminando e raccogliendo innovazioni lungo il cammino, un po’ come accade con la ricerca aerospaziale, che prima o poi trova applicazioni utili anche per chi resta con i piedi per terra.
Dunque si comincerà proprio con il mammut, il cui genoma lungo oltre quattro miliardi di basi differisce per circa 1,4 milioni di lettere dal DNA del suo parente più prossimo ancora in vita, l’elefante asiatico. Questo comporta differenze in oltre 1600 geni che codificano per proteine, ma non sarà necessario editarli tutti. Per ottenere un animale adatto a vivere sotto zero per lunghi periodi di tempo, secondo Church, potrebbe essere sufficiente intervenire su una cinquantina di geni, anche se il numero esatto si scoprirà strada facendo. Dunque non si tratta di riportare in vita il mammut ma alcuni suoi tratti, come la peluria, le orecchie piccole, l’abbondante grasso corporeo.
La speranza dei russi Sergey e Nikita Zimov è che questa futuribile megafauna possa tornare a calcare i terreni ghiacciati della Siberia sortendo un effetto positivo per il contrasto ai cambiamenti climatici. Lo scioglimento del permafrost è destinato a causare il rilascio di grandi volumi di metano in atmosfera. La presenza di erbivori imponenti come i mammut però potrebbe rallentare il processo, favorendo il ritorno di una vegetazione che rifletta maggiormente la luce, e dunque riportando la steppa dove ora vediamo principalmente tundra e taiga. Il famigerato Parco del Pleistocene creato dagli Zimov ambisce a essere un vasto laboratorio a cielo aperto per testare questa e altre teorie di ingegneria ambientale.
L’idea di riportare in vita i mammut, in realtà, precede l’invenzione di CRISPR e la discesa in campo di Church. Prima si pensava che lo stratagemma potesse essere la clonazione di cellule prelevate da esemplari mummificati, ma gli ostacoli tecnici e la morte del principale paladino del progetto (il paleontologo russo Semyon Grigoriyev, i cui sforzi sono raccontati nel film Genesi 2.0) hanno determinato il tramonto dell’ipotesi. Colossal, comunque, si dice interessata a usare l’editing genomico per de-estinguere anche altre specie, a cominciare dal rinoceronte lanoso, così come per conferire maggiore diversità genetica a specie che ancora ci sono ma corrono il rischio di estinguersi.
Le critiche mosse alla strategia della resurrezione biotecnologica sono numerose. Nel 2017, per esempio, un gruppo di biologi ha pubblicato su “Nature Ecology & Evolution” un’analisi in cui si sostiene che, anche se la de-estinzione potrebbe avere qualche effetto positivo, non rappresenta un buon impiego di fondi che sarebbero investiti più utilmente nella protezione delle specie a rischio. Prevenire è meglio che de-estinguere, potremmo dire.
La possibile controreplica è che i due approcci non sono in competizione diretta e attingono a fondi diversi. Un conto sono i capitali di rischio che scommettono sul biotech di frontiera, un altro sono i finanziamenti pubblici e privati per la tutela dell’ambiente. Non è un caso, probabilmente, che l’ultimo tweet di Church risalga al 12 agosto, e sia un invito a donare per la conservazione degli elefanti in occasione del World Elephant Day. Ma una bella dose di cautela si ritrova anche tra i consulenti di Colossal, come la rispettata bioeticista Alta Charo.
Il sito satirico “The Onion” ha salutato l’annuncio della compagnia con una “guida a CRISPR” in due domande e risposte: Che cos’è CRISPR? “Una delusione per gli americani che pensavano fosse il nome di una nuova catena fast-food di fritti”. Perché CRISPR è così popolare? “Perché per i ricercatori riduce fortemente il costo di esperimenti abominevoli e immorali”. Sorridiamo e dissentiamo, ovviamente, ma è evidente che la de-estinzione pone problemi spinosi (per un ripasso critico aggiornato si veda l’approfondimento pubblicato sul “California Magazine”).
Gli elefanti sono animali intelligenti, con emozioni e tratti culturali che iniziamo appena a capire, è lecito sottoporli a esperimenti che non siano nel loro interesse? La profonda manipolazione genetica comporterà effetti negativi per la salute degli animali? Come faranno i quasi-mammut a crescere senza una madre e senza adeguate interazioni sociali con co-specifici? Come vivrebbero in un ecosistema in cui nel frattempo è cambiato tanto se non tutto? Di questi e altri aspetti dovranno occuparsi i comitati etici, le autorità regolatorie nazionali e le agenzie internazionali competenti. Se poi davvero si dovesse procedere a portare i quasi-mammut dagli Stati Uniti in Siberia, la questione interesserebbe anche le diplomazie.
Alla fine di una presentazione su CRISPR a cui ha partecipato chi scrive, è stato interpellato il pubblico: quanti farebbero la fila per vedere un mammut redivivo se mai ne arrivasse qualcuno al Pleistocene Park? La maggioranza delle persone non ha potuto fare a meno di alzare la mano.
Ma il senso di meraviglia per la possibilità aperte dalle nuove tecnologie genomiche, e l’entusiasmo all’idea di poter ammirare maestose creature che sembravano perdute per sempre, si mescola inevitabilmente all’inquietudine ben raccontata da Massimo Sandal nel bel libro La malinconia del mammut. Specie estinte e come riportarle in vita (un piccolo assaggio dei suoi argomenti lo trovate in questo saggio pubblicato su “Il Tascabile”). Siamo soliti commuoverci per gli ultimi esemplari delle specie che si vanno estinguendo, ma come nota Sandal, il primo cucciolo resuscitato nel XXI secolo sarebbe più solo dell’ultimo esemplare della sua specie estinta millenni fa.