Ecco come (e quando) il Sole morirà
Cosa diventerà il nostro Sole dopo la sua morte? Un gruppo di scienziati ha formulato nuove previsioni sull’epilogo del nostro Sistema Solare (e su quando accadrà). E gli esseri umani non saranno in giro a “godersi” questo strabiliante finale
di Stefano Pisani
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Cosa diventerà il nostro Sole dopo la sua morte? Un gruppo di scienziati ha formulato nuove previsioni sull’epilogo del nostro Sistema Solare (e su quando accadrà). E gli esseri umani non saranno in giro a “godersi” questo strabiliante finale.
In precedenza, gli astronomi ritenevano che il Sole si sarebbe trasformato in una nebulosa planetaria, una sorta di “bolla” luminosa di gas e polvere. Poi, altri studi hanno suggerito che la nostra stella avrebbe dovuto invece diventare qualcosa di un po’ più massiccio. Adesso, come si legge su Nature Astronomy, si è tornati all’opzione della nebulosa planetaria come più probabile “cadavere” solare.
Il Sole ha circa 4,6 miliardi di anni, una stima della sua età a cui si è arrivati sulla base di quella di altri oggetti del Sistema Solare che si sono formati all’incirca nello stesso periodo. Osservazioni condotte su altre stelle hanno fatto poi ritenere che il Sole raggiungerà la fine della sua vita nell’arco di circa 10 miliardi di anni.
Ovviamente, prima di questa conclusione accadranno altre cose: in circa 5 miliardi di anni si trasformerà in una stella gigante rossa, poi il nucleo della stella si restringerà ma i suoi strati esterni si espanderanno verso l’orbita di Marte, inghiottendo in questo processo il nostro Pianeta (sempre che sia ancora lì…).
Quello che è certo, però, è che noi non saremo presenti sulla Terra in quel momento. L’umanità ha infatti solo circa un miliardo di anni per trovare il modo di lasciare questo pianeta, dato che la luminosità del Sole aumenta di circa il 10% ogni miliardo di anni e, a un certo punto, diventerà insostenibile per l’uomo.
E non solo. Anche se non sembra molto, questo aumento di luminosità sarà in grado di porre fine alla vita stessa sul nostro pianeta: gli oceani infatti evaporeranno e la superficie diventerà troppo calda perché si formi l’acqua.
Quello che accadrà dopo la trasformazione in gigante rossa, è difficile da prevedere con certezza. Diversi studi precedenti, per esempio, hanno suggerito che, per evolversi in una nebulosa planetaria brillante, una stella deve possedere una certa massa iniziale che corrisponde a circa due volte quella del Sole.
Tuttavia, secondo un modello computazionale elaborato da un gruppo internazionale di astronomi, si è riusciti a stabilire che, come per il 90% delle altre stelle simili, per il nostro Sole la probabilità maggiore è il passaggio da una gigante rossa a una nana bianca e, infine, la trasformazione in una nebulosa planetaria.
“Quando una stella muore, espelle nello spazio una quantità tale di gas e polveri che può arrivare a dimezzare la sua massa: in questo processo, espone il suo nucleo, che a questo punto nella vita della stella continua la sua attività ma senza carburante e quindi, alla fine, si spegne e muore” ha spiegato l’astrofisico Albert Zijlstra dell’Università di Manchester nel Regno Unito, uno degli autori del nuovo studio. “Il nucleo, con la sua energia residua, fa brillare la massa di gas e polveri espulsa per circa 10 mila anni.
Si tratta di periodo breve, in astronomia, durante il quale è visibile la nebulosa planetaria; in alcuni casi le nebulose sono così luminose da essere viste da distanze molto grandi che misurano anche decine di milioni di anni luce, distanze alle quali la stella stessa non sarebbe stata vista”.
Le nebulose planetarie sono relativamente comuni in tutto l’Universo osservabile, tra le più famose c’è la Nebulosa Elica, la Nebulosa Occhio di Gatto, la Nebulosa Anello e la Nebulosa Bolla. Si chiamano nebulose planetarie non perché in realtà abbiano qualcosa a che fare con i pianeti ma perché le prime osservate da William Herschel attraverso i telescopi del tardo XVIII secolo sembravano simili nell’aspetto ai pianeti.
Circa 25 anni fa, gli astronomi hanno notato qualcosa di particolare: le nebulose planetarie più luminose di altre galassie hanno tutte lo stesso livello di luminosità. Ciò significa che, almeno in teoria, osservando le nebulose planetarie in altre galassie, gli astronomi riescono a calcolare quanto siano lontane. I dati hanno dimostrato che questo era un ragionamento corretto, tuttavia i modelli elaborati sino ad allora contraddicevano questo risultato.
“I dati dicevano che era possibile ottenere luminosissime nebulose planetarie da stelle di massa piccola, come il Sole, ma i modelli invece dicevano che non era possibile: ogni stella che avesse meno del doppio della massa del Sole avrebbe prodotto una nebulosa planetaria troppo debole da vedere” continua Zijlstra. Ora, però, i nuovi modelli hanno risolto questo problema dimostrando che il Sole ha una massa che corrisponde al limite inferiore, per una stella, che garantisce la produzione di una nebulosa visibile. Per la precisione, una stella con massa inferiore a 1,1 volte quella del Sole non produrrà nebulose visibili. Tuttavia, le stelle fino a 3 volte più massicce del Sole restano quelle che produrranno le nebulose più luminose. “Questo è un ottimo risultato”, ha concluso Zijlstra, “non solo ora abbiamo un modo per misurare la presenza di stelle di qualche miliardo di anni di età nelle galassie lontane, un intervallo che è notevolmente difficile da apprezzare, ma abbiamo persino scoperto cosa farà il Sole quando morirà”.