Corde e reti da pesca disperdono miliardi di frammenti di microplastiche in mare ogni anno

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Corde e reti da pesca disperdono miliardi di frammenti di microplastiche in mare ogni anno

Studio britannico lancia l’allarme per la dispersione di microplastiche nelle operazioni marittime
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Lo studio “Potential microplastic release from the maritime industry: abrasion of rope”, pubblicato su Science of the Total Environment da un team di ricercatori dell’International Marine Litter Research Unit dell’università di Plymouth è il primo a esplorare il potenziale delle funi (cime) utilizzate negli attrezzi da pesca o per ormeggiarsi di diventare una fonte di inquinamento da microplastiche nell’ambiente marino e i risultati non sono buoni: «Il trasporto di funi sulle navi potrebbe portare a miliardi di frammenti di microplastica che entrano nell’oceano ogni anno».

Per valutare la quantità e le caratteristiche delle microplastiche prodotte durante l’utilizzo di cime e cordame, lo studio ha confrontato una varietà di corde sintetiche comunemente utilizzate nell’industria marittima, ma diverse per età, superficie di usura e materiale e ,lo ha fatto simulando, sia in laboratorio che sul campo, l’attività di sollevamento delle funi che viene solitamente svolta a bordo di imbarcazioni marittime come i pescherecci. All’università di Plymouth dicono che «I risultati dimostrano che corde nuove e vecchie di un anno possono rilasciare circa 20 frammenti di microplastica nell’oceano per ogni metro trasportato. Tuttavia, man mano che la corda invecchia, può rilasciare molti più frammenti: le corde di due anni perdono in media circa 720 frammenti per metro, mentre una corda di 10 anni rilascia più di 760 frammenti per metro».

Su Science of the Total Environment, i ricercatori affermano che «Nelle attività di pesca la lunghezza della fune impiegata durante ogni retata potrebbe arrivare fino a 220 metri a seconda del tipo di imbarcazione e della profondità dell’oceano». Tuttavia, stimano che, con soli 50 metri di cima tirata da una barca, «Ogni volta che viene tirata una nuova corda, potrebbe rilasciare tra 700 e 2000 pezzi di microplastica. La corda usata potrebbe rilasciare ovunque fino a 40.000 frammenti».

Queste stime, se rapportate agli oltre 4.500 pescherecci attivi nel solo Regno Unito. «Potrebbe comportare tra 326 milioni e 17 miliardi di pezzi di microplastica che entrano nell’oceano ogni anno dalla sola flotta del Regno Unito».

La principale autrice dello studio Imogen Elen Napper, spiega che «Queste stime sono state calcolate dopo aver trasportato un peso di 2,5 kg. Tuttavia, la maggior parte delle attività marittime trasporterebbe carichi molto più pesanti, creando più attrito e potenzialmente più frammenti. Evidenzia la pressante necessità di norme sulla manutenzione, la sostituzione e il riciclaggio delle funi nell’industria marittima. Tuttavia, mostra anche l’importanza di una continua innovazione nella progettazione di corde sintetiche con l’obiettivo specifico di ridurre le emissioni di microplastiche».

Si tratta di risultati da prendere molto sul serio, visto che l’università di Plymouth è stata la prima a evidenziare il problema globale delle microplastiche marine, vincendo per questo anche il Queen’s Anniversary Prize for Higher and Further Education nel 2019.  Lo studio “An evaluation of the Fishing For Litter (FFL) scheme in the UK in terms of attitudes, behavior, barriers and opportunities”, pubblicato nel maggio 2019 sul Marine Pollution Bulletin  da un team di ricercatori delle università del Surrey e di Plymouth in colaborazione con l’iniziativa Fishing for Litter, hanno dimostrato che i pescatori professionali britannici sono fortemente consapevoli del fatto che i rifiuti marini possono causare danni permanenti al loro pescato e all’industria ittica  in generale.

L’università di  Plymouth partecipa anche al progetto Innovative fIshing Gear for Oceanan (INdIGo) che punta a sviluppare attrezzi da pesca biodegradabili che possono essere utilizzati da piccole e grandi imbarcazioni.

Lo studio pubblicato su Science of the Total Environment è stato finanziato dal Department for environment, food & rural affairs (Defra) del governo britannico come parte di un progetto più ampio che esamina l’impatto di pneumatici e tessuti sull’ambiente marino.

Uno degli autori dello studio,  Richard Thompson, a capo dell’International Marine Litter Research Unit, conclude: «Per secoli, la maggior parte degli oggetti di uso quotidiano, comprese le corde e le reti utilizzate nell’industria marittima, sono stati prodotti utilizzando risorse naturali. Tuttavia, l’aumento su larga scala della produzione di plastica dagli anni ’50 ha portato le materie plastiche a sostituire progressivamente le loro controparti naturali. La durabilità della plastica ha tuttavia comportato una grande sfida ambientale una volta che gli articoli raggiungono la fine del loro ciclo di vita o, come in questo studio, quando disperdono le microplastiche. Un maggiore apprezzamento dei problemi all’interno della società in generale, stanno iniziando a fare la differenza. Tuttavia, questo studio enfatizza una fonte di microplastiche precedentemente non quantificata ma sostanziale e rafforza la necessità di un maggior livello di collaborazione per ottenere un cambiamento duraturo e positivo».

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