Il campo di sforzo (stress) in Italia: la banca dati IPSI
A cura di Maria Teresa Mariucci e Paola Montone (INGV-Roma1),
ingvterremoti
Il campo di sforzo
Il campo di sforzo, o campo di stress, è una grandezza fisica che rappresenta gli sforzi che agiscono in una certa zona ad un certo tempo. Tale grandezza, che dal punto di vista matematico è un tensore, si può rappresentare con un ellissoide tramite i tre assi principali, perpendicolari tra loro, denominati σ1, σ2 e σ3, rispettivamente quello massimo, intermedio e minimo. Si suppone che uno di essi sia verticale (Sv) e quindi gli altri agiscano sul piano orizzontale (SHmax e Shmin). Le diverse combinazioni dei tre assi nello spazio ci indicano il tipo di regime tettonico (figura 1).
Gli sforzi che agiscono nella crosta dipendono da varie cause che possono essere distinte in sorgenti regionali e sorgenti locali. Le prime coinvolgono zone molto ampie e comprendono tutti i processi a grande scala quali: movimenti delle placche, subduzione attiva e collisioni, anomalie di densità nella litosfera e nell’astenosfera dovute a residui di subduzione o radici litosferiche. Le sorgenti locali di stress sono legate a quei processi che influenzano zone più piccole, quali ad esempio: locali differenze di densità all’interno della crosta, zone di faglia, aree a diversa resistenza. La conoscenza dettagliata del campo di stress che agisce attualmente in una determinata regione è importante per capire le forze e i processi deformativi in atto e prevedere il comportamento delle strutture sismogenetiche presenti nell’area.
Gli studi per conoscere il campo di stress
Vari sono gli studi che si possono effettuare per conoscere il campo di stress, sia dal punto di vista della sua orientazione che della grandezza, come per esempio misure di stress in situ, analisi di faglie attive e determinazioni di meccanismi focali dei terremoti. Le misure in situ comprendono le analisi di breakout che forniscono le orientazioni delle componenti principali del campo di stress e altre misure (ad esempio i test di leak-off) che danno invece indicazione anche della grandezza delle varie componenti. Se in una regione sono state identificate delle faglie attive, per esempio da indagini geologiche, geomorfologiche, sismologiche o geodetiche, la conoscenza dell’orientazione del campo di stress permetterà di determinare quali sono le faglie orientate più favorevolmente rispetto agli sforzi, cioè quelle che hanno più probabilità di muoversi e attivarsi. Inoltre, la distribuzione uniforme di misure di stress su una data area è rilevante per la costruzione di modelli geofisici e geologici crostali o come punto di partenza in molti studi applicativi quali ad esempio quelli rivolti all’esplorazione petrolifera.
I dati italiani contribuiscono al progetto denominato World Stress Map (WSM) in corso da vari anni per definire lo stato di sforzo che caratterizza la crosta nelle varie zone della Terra. Nel database del WSM compaiono tutti i possibili indicatori di stress (meccanismi focali dei terremoti, breakout nelle perforazioni, faglie attive ed altri) suddivisi per categorie e per qualità. Le regole sull’analisi dei dati e sui risultati ottenuti stabilite nell’ambito di tale progetto permettono di confrontare i dati analizzati da gruppi di ricerca diversi.
Il database IPSI
Il database IPSI (Italian Present-day Stress Indicators; indicatori di stress attivo italiani), descritto in dettaglio nell’articolo pubblicato su Scientific Data, è il frutto di ricerche avviate più di venti anni fa e che proseguono tuttora (Figura 2).
La banca dati contiene informazioni riguardanti lo sforzo che agisce attualmente nella parte superiore della crosta in Italia. Consiste di orientazioni di stress sul piano orizzontale che sono state analizzate seguendo regole standardizzate e classificate per qualità, ottenute dalle seguenti categorie di indicatori di stress: breakouts nei pozzi profondi, meccanismi focali di terremoti, sequenze sismiche e dati di faglie attive.
La versione attuale (v. 1.4), contiene 928 elementi aggiornati a dicembre 2019, con un incremento rispetto alla prima versione e con una serie di informazioni sui metadati aggiornate e migliorate (Figura 3).
L’importanza di utilizzare diversi indicatori di stress risiede nel fatto che questi, investigando profondità differenti, aiutano a definire lo stato di sforzo in intervalli crostali diversi (Figura 4).
L’analisi di breakout nelle perforazioni profonde è una metodologia che consente di definire la direzione delle componenti sul piano orizzontale del campo degli sforzi che agiscono attualmente nella crosta terrestre, sfruttando la naturale concentrazione di stress che si genera intorno ad un pozzo, dopo che questo viene perforato. Ciò accade perché, lungo la direzione in cui agisce lo sforzo orizzontale minimo (Shmin), si formano delle fratture che causano il franamento (breakout) di porzioni opposte della parete del foro. Così la sezione, inizialmente circolare, “cambia” forma e risulta allungata secondo la direzione di Shmin (Figura 5).
La misura in continuo della geometria del foro di perforazione permette di ricavare, tenendo in considerazione chiaramente tutti i parametri che possono influenzare la misura, tale direzione. Dall’analisi statistica dei breakout rilevati si ricava un’orientazione media dello sforzo orizzontale minimo (Shmin) per ciascun pozzo. Per queste indagini si utilizzano dati provenienti da perforazioni profonde effettuate per ricerche geotermiche o petrolifere. L’intervallo di crosta indagata con tale metodo va dalle prime centinaia di metri sotto la superficie fino a circa 7 km (profondità massima delle perforazioni in Italia contenenti le misure necessarie).
I dati di breakout da soli non permettono la valutazione del regime di stress.
L’analisi dei meccanismi focali di terremoti con magnitudo maggiore o uguale a 4 permette di ricavare la grandezza relativa delle tre componenti dello sforzo, quindi oltre all’orientazione di Shmin e SHmax si è in grado di definire anche il regime tettonico (Figura 1). Quando avvengono numerosi terremoti in aree relativamente piccole, come durante una sequenza sismica, oppure quando si effettuano studi dettagliati della sismicità minore in aree dove si suppone esista un campi di stress omogeneo, è possibile effettuare l’inversione dei dati dei meccanismi focali di alcuni eventi e ricavare informazioni più attendibili sul campo di sforzi che li ha generati.
Infine, le faglie attive rilevate in superficie delle quali sono noti orientazione e senso di spostamento ci forniscono informazioni sul regime tettonico e l’orientazione del campo di stress.
La mappa di stress
Osservando la mappa di stress (Figura 6) si nota che la distribuzione degli indicatori di stress non è uniforme sul territorio, per permettere valutazioni sullo stato di sforzo anche nelle aree con pochi dati, si può ricorrere a metodi di analisi statistica dei dati (Figura 7). I metodi di interpolazione sono particolarmente utili per evidenziare l’andamento a grande scala rimuovendo le fluttuazioni locali del campo di sforzi.
Le Alpi orientali sono caratterizzate da direzioni dello sforzo massimo orizzontale (SHmax) da circa N-S a NNW-SSE, perpendicolari ai principali fronti di thrust, che indicano una compressione attiva orientata circa N-S, come testimoniano anche i meccanismi focali di tipo inverso. La Pianura Padana è una zona complessa a causa della presenza di archi strutturali e di due catene con vergenza opposta al di sotto della spessa coltre di depositi terrigeni più recenti. Le orientazioni di SHmax perpendicolari ai thrust indicano che i fronti più’ esterni degli Appennini siano ancora in compressione. L’interno della catena Appenninica presenta un regime di stress di tipo distensivo, come suggerito dai vari indicatori di stress con direzioni di SHmax parallele all’asse della catena, circa NW-SE.
Più articolata è la situazione nella zona di avanfossa dove a nord del 43° parallelo le direzioni di SHmax sono più variabili fino a disporsi perpendicolarmente ai thrust esterni, circa NE-SW, presumibilmente indicativi di un regime di compressione ancora in atto.
Nell’Appennino meridionale le direzioni di SHmax sono consistenti fra loro e mostrano un generale andamento circa NW-SE, parallelo alla catena, coerente con un regime distensivo generalizzato per tutta l’area, evidenziato anche dai forti terremoti con soluzioni focali di tipo normale e dalle faglie attive presenti.
In Sicilia, nella zona dell’avampaese ibleo e nella fascia costiera settentrionale, le orientazioni di SHmax sono consistenti con la compressione derivante dal moto con direzione da NW-SE a NS della placca africana rispetto a quella euroasiatica.