I microrganismi estremofili potrebbero suggerire nuove possibilità per la vita extraterrestre

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I microrganismi estremofili potrebbero suggerire nuove possibilità per la vita extraterrestre

Lo studio di ecosistemi estremi qui sulla Terra potrebbe rivelare limiti fondamentali della biologia e guidare la ricerca di forme di vita su Marte
di Brianne Palmer/Scientific American
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“Sono sicura che lassù, da qualche parte nel nostro sistema solare, ci sia la vita”, dice Christine Moissl-Eichinger, microbiologa alla Medical University di Graz, in Austria. Come ogni scienziato, però, Moissl-Eichinger sa bene che per un’affermazione così sostanziale ci vogliono prove sostanziali, motivo per cui sta lavorando insieme ad altri per trovarle, sia qui sulla Terra sia su Marte.

La Grand Prismatic Spring del Parco nazionale di Yellowstone ospita varie popolazioni di microrganismi amanti del calore che vivono in acque ad alte temperature (© AGF) 

Sul Pianeta Rosso, il rover della NASA Perseverance è alla ricerca di fossili e tracce di biochimica aliena nel cratere Jezero, il letto di un antico lago che si pensa possa aver offerto un tempo condizioni abitabili per forme di vita microbica. Qui sulla Terra, i microbiologi stanno investigando ambienti poveri di ossigeno che possono essere simili all’habitat primordiale di Marte. Questo duplice approccio in cui si mettono insieme le estrapolazioni degli scienziati sulla vita extraterrestre e gli studi di analoghi terrestri potrebbe aiutare a chiarire i limiti posti per la vita dal substrato roccioso presente su pianeti simili al nostro, aiutando molto lo sviluppo e l’esecuzione di future missioni extraterrestri.

Il progetto Mars Analogues for Space Exploration (MASE), durato quattro anni, ha indagato la Terra per comprendere Marte, analizzando quattro tipi di ambienti terrestri ostili ma abitabili che possono somigliare a quelli che un tempo – o forse anche oggi – esistono sul pianeta nostro vicino. I finanziamenti sono terminati nel 2017, ma i ricercatori di MASE continuano a pubblicare risultati sull’abitabilità di Marte. I luoghi studiati includono una sorgente sulfurea, una miniera ad alta salinità, un lago e un fiume di acqua acida e il permafrost. A causa delle condizioni estreme rilevate in questi ambienti, gli organismi che vi abitano sono detti estremofili.

L’avvio alla ricerca sugli estremofili fu dato da Thomas Brock, microbiologo all’Università del Wisconsin a Madison. Brock scoprì che, contrariamente a ogni aspettativa, particolari microbi resistenti potevano prosperare in sorgenti geotermiche abbastanza calde da rassodare un uovo. La curiosità del microbiologo lo portò a isolare una molecola – da un batterio amante del calore – oggi usata nei laboratori di tutto il mondo per amplificare e sequenziare il DNA. Brock è scomparso nell’aprile 2021, ma la sua eredità continua a vivere.

Il microbiologo pubblicò le sue scoperte sugli estremofili nell’aprile 1969, appena qualche mese prima che i primi uomini mettessero piede sulla Luna. Questo aprì la strada all’astrobiologia, lo studio della vita in tutte le sue forme sul nostro pianeta e altrove nell’universo. Astrobiologia non significa fare soldi grazie ai viaggi spaziali, commenta Luke McKay, ricercatore alla Montana State University, non coinvolto in quello studio né nelle recenti ricerche di Moissl-Eichinger. È una disciplina che riguarda la scienza di base e la risposta a un’unica domanda senza tempo: c’è vita oltre la Terra?

È una domanda tanto profonda che, fino a oggi, gli scienziati sono riusciti solo a eroderne i confini; ogni rivelazione ottenuta a fatica di solito si accompagna a una moltitudine di misteri nuovi di zecca. Il contributo principale del gruppo di Moissl-Eichinger è stato il tentativo di far crescere in laboratorio estremofili prelevati dai cinque ambienti del progetto MASE, ma anche questo compito immediato è stato diabolicamente difficile. Di oltre 1000 specie diverse di estremofili raccolte da quei siti, il gruppo è riuscito a farne crescere appena 31.

Gli estremofili

Si tratta di una battaglia comune in microbiologia: dato che questi microbi vivono in luoghi estremi, è difficile per i ricercatori ricreare le esatte condizioni di cui hanno bisogno per prosperare. Per catturare una quantità maggiore di diversità, gli scienziati hanno usato il sequenziamento genico, che ha permesso di osservare tutto il DNA microbico dei campioni in loro possesso. Sono andati specificamente alla ricerca di geni che potessero aiutare i microbi a restare in vita in condizioni ostili, come temperature estreme o assenza di ossigeno.

“Le colture [microbiche]isolate non sono rappresentative dell’ambiente, e questo rende il lavoro di questo gruppo davvero fantastico. Usando l’isolamento e il sequenziamento, secondo me hanno davvero cercato di considerare tutte le possibilità”, commenta McKay.

I ricercatori, nonostante i problemi riscontrati nel coltivare questi campioni di estremofili, hanno scoperto un’ampia diversità di microrganismi in tutti i cinque siti. Sembra che la vita, anche negli ambienti terrestri più estremi, riesca comunque a farsi strada. Il dato più notevole è che il sequenziamento del DNA operato dal gruppo ha rivelato 34 singole sequenze microbiche conservate in tutti i siti del progetto MASE: questo dimostra l’esistenza di microbi che sopravvivono a una combinazione di ambienti estremi.

Secondo Moissl-Eichinger, mentre molti microbi sono adattati a vivere in certe condizioni come freddo intenso o scarsi livelli di ossigeno, è una novità scoprire un gruppo di microbi adattati a sopravvivere a una combinazione di questi fattori di stress così estremi. La capacità di sopravvivere in molti tipi di ambienti rafforza le dichiarazioni dei ricercatori per cui microbi simili potrebbero esistere su Marte, non solo in un passato lontano, ma addirittura oggi.

Gli Ojos de Mar, nella regione desertica di Puna de Atacama, in Argentina, sono un gruppo di corpi idrici fortemente salmastri in cui vivono microrganismi estremofil (© AGF)

“I microbi sono ovunque. Possono vivere in posti dove ci aspetteremmo che non riescano a prosperare, ma in qualche modo lo fanno”, spiega Moissl-Eichinger. “Ovviamente, su Marte non sappiamo se questi [estremofili]sono i tipi di organismi che ci aspettiamo di vedere. Potrebbero essersi semplicemente adattati molto bene alla vita sulla Terra”.

Questi microbi potrebbero essere adattati alla vita sul nostro pianeta grazie alla loro dipendenza da composti basati sul carbonio, la materia organica. Si tratta degli elementi costitutivi molecolari della vita sulla Terra e potrebbero essere rari in altri ambienti extraterrestri per il resto abitabili. Alcuni microbi, in ambienti con scarsità di composti organici, possono ottenere i nutrienti da sostanze inorganiche, come l’ammoniaca e certi composti dello zolfo. Eppure tutti i microbi fatti crescere in laboratorio, nell’ambito degli studi sui siti del MASE, per sopravvivere si basavano sul carbonio organico, addirittura quelli che potevano sopravvivere in assenza di ossigeno.

Secondo Moissl-Eichinger, potrebbe essere perché i microbi che consumano materia organica crescono più velocemente. Con più tempo a disposizione, la ricercatrice e il suo gruppo potrebbero riuscire a far crescere microbi che ottengono i nutrienti da altre fonti chimiche, scoprendo potenzialmente nuovi percorsi biochimici e nuove nicchie ecologiche da prendere in considerazione nella ricerca di vita su Marte.

“Siamo lontani da capire che aspetto potrebbero avere microbi marziani e come possiamo trovarli. Ma la ricerca rivela un tassello alla volta finché, a un certo punto, il quadro è più completo”, conclude Moissl-Eichinger.

Capire come comporre questi pezzi così diversi potrebbe cambiare la nostra definizione di quello che significa la vita. Secondo McKay, gli ambienti extraterrestri adatti alla vita potrebbero essere come quelli che troviamo sulla Terra, ma anche essere radicalmente diversi. A oggi, dato che il nostro campione è costituito di un solo mondo su cui la presenza della vita è confermata, entrambe le possibilità sembrano ugualmente plausibili.

“Se [la vita extraterrestre]è troppo [simile]alla vita sulla Terra, le persone diranno che si tratta di qualcosa che ci siamo portati dietro noi. Ma se è troppo diversa, saremo capaci di vederla?”, conclude Moissl-Eichinger. “Questa è la domanda che ci fa andare avanti.”

L’autrice
Brianne Palmer è una studentessa di dottorato presso la San Diego University e l’Università della California a Davis. Studia le reazioni al fuoco dei microbi del suolo e scrive sui rapporti tra tecnologia e ambiente.
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(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 21 luglio 2021. Traduzione di Eva Filoramo, editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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