Uno studio italiano rivela l’origine di uno dei più grandi giacimenti di fossili di cetacei al mondo in Perù

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Uno studio italiano rivela l’origine di uno dei più grandi giacimenti di fossili di cetacei al mondo in Perù

Molteplici condizioni ambientali all’origine di una grande concentrazione di fossili di balene, delfini, foche e squali nel deserto di Ica
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Le condizioni che avrebbero dato origine a uno dei più grandi giacimenti di fossili di vertebrati marini del mondo sarebbero «La bassa concentrazione di ossigeno al fondo, il rapido seppellimento delle carcasse e la precipitazione di minerali come l’apatite e la dolomite subito dopo il seppellimento delle ossa, insieme alla ricchezza biologica originaria». A dirlo è lo studio “Taphonomy of marine vertebrates of the Pisco Formation (Miocene, Peru): Insights into the origin of an outstanding Fossil-Lagerstätte”, appena pubblicato su PLOS ONE da un team delle università di Milano-Bicocca (Giulia Bosio ed Elisa Malinverno), di Camerino (Claudio Di Celma) e di Pisa (Giovanni Bianucci, Alberto Collareta, Anna Gioncada e Karen Gariboldi) in collaborazione con l’Institut Royal des Sciences Naturelles de Belgique (Bruxelles, Belgio), il Museum of New Zealand Te Papa Tongarewa (Wellington, Nuova Zelanda), l’University of Otago (Dunedin, Nuova Zelanda), il Muséum national d’Histoire naturelle (Parigi, Francia) e il Museo de Historia Natural (Lima, Perù).

La zone dove p<è stata effettuata la ricerca si trova in una delle aree più aride del pianeta: il deserto di Ica del Perù meridionale,  «Un giacimento così eccezionale – spiegano all’università Milano-Bicocca – perché ospita migliaia di reperti fossili di balene, delfini, foche, squali ed altri pesci, uccelli e rettili risalenti ad un intervallo di tempo compreso tra 14 e 6 milioni di anni fa (un’epoca che i geologi chiamano “Miocene”)».
Lo studio ha svelato le cause dell’origine di questo straordinario sito paleontologico grazie all’analisi di quasi 900 reperti, spesso eccezionalmente conservati, e Di Celma ricorda che «Dove oggi c’è un deserto che si estende per centinaia di chilometri lungo la costa del Perù  in passato si trovava un grande bacino marino, il Bacino di Pisco, caratterizzato da una grande abbondanza di nutrienti e una ricca biodiversità». La Maliverno aggiunge che «Gli abitanti di questa antica baia si sono conservati per milioni di anni e sono oggi esposti nei dintorni di Ica grazie al sollevamento tettonico e all’erosione nell’ambiente desertico attuale. L’assenza di vegetazione che caratterizza l’area facilita inoltre enormemente la scoperta dei reperti».

Collareta evidenzia che «Lo studio della distribuzione dei reperti, della fauna associata e delle tracce lasciate dai morsi di squalo sulle ossa, unitamente a quello delle rocce in cui i fossili sono contenuti, hanno permesso di ricostruire la storia tafonomica di questi straordinari reperti, ovvero ciò che ne ha permesso la conservazione come fossili dal momento della loro morte sino ai giorni nostri».

come spiega la paleontologa Bosio, principale autrice dello studio, la straordinaria concentrazione di fossili di Ica è quindi dovuta a «Una concomitanza di diverse condizioni favorevoli alla fossilizzazione che gli ha dato origine a questo straordinario giacimento. La bassa concentrazione di ossigeno al fondo, il rapido seppellimento delle carcasse e la precipitazione di minerali come l’apatite e la dolomite subito dopo il seppellimento delle ossa, insieme alla ricchezza biologica originaria hanno permesso la formazione di questo importante giacimento, portando alla fossilizzazione di migliaia di esemplari».

Gli scienziati evidenziano che «Particolarmente interessante risulta il riconoscimento di alcuni scheletri di balene la cui disposizione e le cui relazioni con le rocce incassanti suggeriscono che la carcassa sia andata incontro ad un meccanismo di “autoseppellimento“. Ciò accade quando oggetti relativamente pesanti si adagiano su di un fondale solcato da correnti; queste erodono rapidamente il sedimento su cui appoggia l’ostacolo (nel nostro caso, la carcassa), causandone così lo sprofondamento in una cavità che viene poi altrettanto presto riempita da nuovo sedimento. Il risultato di questo processo – molto studiato per quanto riguarda le mine sottomarine ma mai riconosciuto in contesti paleontologici – è la veloce fagocitazione da parte del sedimento di una carcassa che viene così messa al riparo dall’azione degli organismi “spazzini” e da molti altri fattori di “disturbo”».

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