Un nuovo disastro ambientale ignorato: l’innalzamento delle acque del lago Tanganica in Burundi
Colpa del cambiamento climatico che ha messo in ginocchio il piccolo e poverissimo Paese africano
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Negli ultimi due anni, in Burundi le piogge torrenziali, seguite da inondazioni, frane e forti venti, hanno fatto aumentare pericolosamente il livello delle acque del lago Tanganica, inghiottendo intere strade, mercati, cortili e corsi d’acqua, scuole e chiese. Inizialmente benvenute, le piogge hanno rapidamente iniziato a devastare vite e mezzi di sussistenza della gente del Burundi e di tutta la sub-regione.
Il secondo lago più profondo del mondo – e largo 600 km nei suoi punti più lunghi – è condiviso tra Burundi, Tanzania, Zambia e Repubblica democratica del Congo e nessun di questi Pesi è stato risparmiato dal cataclisma, ma il Burundi sembra il più colpito. Come spiega un reportage dell’International Orgaz nization for Migraton (IOM) in Burundi, «Dal marzo di quest’anno, nel solo Burundi, più di 52.000 persone sono state colpite da inondazioni, sebbene il numero effettivo sia probabilmente molto più alto. Quasi la metà è stata sfollata internamente e migliaia di case sono state allagate. Interi campi coltivati sono stati distrutti, una devastante perdita di almeno un anno di scorte alimentari per oltre il 90% dei burundesi che dipendono dall’agricoltura di sussistenza».
Se si paragona a quello che sta succedendo nel piccolo e poverissimo Burundi, il disastro climatico avvenuto nei giorni scorsi nella ricca e potente Germania sembra molto meno umanamente devastante. Il Burundi è uno dei 20 Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico e, a causa dell’eccezionale gravità dei rischi naturali, ed è anche uno dei meno preparati a combatterlo. Nel maggio 2021, il Paese contava 127.775 sfollati interni, dei quali il 54% erano donne. Circa l’85% di questi profughi sono stati causa di disastri naturali. E l’IOM sottolinea che «Non è affatto confortante che la risposta all’emergenza del paese soffra di un cronico sottofinanziamento». Secondo l’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs Onu,«E’ stato raccolto solo il 17% dei 194,7 milioni di dollari necessari per il Plan de réponse humanitaire du Burundi 2021» e pochi fondi aggiuntivi sono stati stanziati per il Burundi Crisis Response Plan 2021 recentemente pubblicato dall’IOM. Michael Asima, coordinatore della preparazione alle emergenze dell’IOM in Burundi, evidenzia che «Attualmente, le persone non hanno un posto dove tornare. Non sanno quando sarà il loro prossimo pasto, E’ essenziale ottenere più fondi per soddisfare i bisogni immediati dei più vulnerabili».
Intanto, il team di emergenza dell’IOM e i suoi partner umanitari si stanno mobilitando, insieme al governo del Burundi, per rispondere ai bisogni più urgenti delle persone più vulnerabili. In cima alla lista ci sono l’accesso a un rifugio sicuro, all’acqua pulita, ai servizi igienici di base e la protezione delle persone più vulnerabili.
L’inizio delle alluvioni ha aggiunto tragedia a tragedia: l’anno scorso, più o meno nello stesso periodo, circa 30.000 persone a hanno dovuto abbandonare case e campi a causa delle alluvioni causate dallo straripamento del fiume Rusizi. Molti non hanno potuto tornare a casa e continuano a vivere con amici e vicini, o in luoghi di accoglienza temporanea. Le nuove inondazioni hanno messo a dura prova le comunità ospitanti che stanno lottando per farvi fronte.
Lungo parti della costa del Burundi sul lago Tanganica, dove il terreno è particolarmente basso, interi villaggi e quartieri di città sono abbandonati, comprese molte case sono ancora in costruzione. Il reportage IOM racconta di «Martin pescatori che si tuffano e volano attraverso finestre in frantumi e rigogliose canne che ora colonizzano i salotti in acque profonde due metri. Piante invasive si snodano lungo le pareti e si insinuano tra i tetti incompiuti. Le forze della natura hanno provocatoriamente bonificata la terra e costretto migliaia di persone ad andarsene».
Secondo i dati dell’ Institut géographique du Burundi, «L’innalzamento del lago è un fenomeno ciclico che si verifica ogni 50-60 anni. Le attuali inondazioni sono in gran parte attribuite ai cambiamenti climatici. Gabriel Hazikimana, direttore ambiente per le Autorités du lac Tanganyika au Burundi, è convinto che «Se continuerà fino al 2022, la distruzione sarà enorme e sarà necessario un inventario dei costi economici e umani per progettare un piano di recupero. Negli anni precedenti, quando il lago si è alzato, la pioggia si è fermata e ha dato al lago il tempo di scendere. Abbiamo appena fatto uno studio che dimostra che è probabile che la temperatura nell’area continui ad aumentare e che ciò potrebbe causare più precipitazioni. Vedremo se assisteremo a un miracolo il prossimo anno».
Ma, come fanno notare all’IOM, «Anche se il livello del lago si abbassa, il suo fondo sabbioso rischia di essere contaminato dalle acque inquinate che hanno raccolto rifiuti e sedimenti contaminati (dalle latrine, per esempio). Per andare a scuola, i bambini sono costretti a guadare le acque alluvionali, esponendoli a malattie come il colera e la malaria. Per i proprietari di case, le case allagate rappresentano una perdita. Le loro fondamenta sono state allagate per così tanto tempo che alla fine crolleranno, ponendo un grave rischio per la sicurezza di chiunque osi tornare».
Una situazione disastrosa ha evidenziato la necessità di fare molto di più per rafforzare la resilienza dei burundesi di fronte a questi rischi naturali. La Plateforme nationale pour la prévention des risques et la gestion des catastrophes e il team dell’IOM Burundi responsabile della riduzione del rischio di catastrofi stanno guidando questi sforzi. In collaborazione con Oxfam e con finanziamenti dell’Unione europea, l’IOM in Burundi sta attuando il più completo progetto di riduzione del rischio di catastrofi (lanciato ufficialmente il 7 luglio 2020) realizzato finora e e che avrà come obiettivo l’intero Paese. Un progetto che punta a collegare in modo sostenibile la risposta umanitaria agli sforzi per lo sviluppo. «Si tratta in pratica – spiegano all’IOM – di mappare le aree a rischio di calamità naturali nelle 18 province del Paese. Cosa altrettanto importante, il progetto valuta il livello di vulnerabilità del Paese e la capacità di rispondere ai disastri e gli impatti sulla mobilità, aiutando le autorità nazionali a sviluppare piani di emergenza informati e aggiornati per provincia. La creazione di una risposta solida alla riduzione del rischio di catastrofi richiede anche il rafforzamento delle competenze tecniche delle autorità nazionali e locali, oltre ad aiutare le comunità vulnerabili ad accedere a tecniche e strumenti innovativi per prepararsi e rispondere ai disastri». Una di queste tecniche è la Vulnerability Risk Assessment, uno strumento esistente sul quale l’IOM in Burundi ha fatto affidamento per consentire alle comunità di affrontare meglio e ridurre le proprie vulnerabilità che identifichi tutti i fattori di rischio. Un altro strumento innovativo in cantiere è una piattaforma online che centralizzerà tutti i dataset, mappe e report in formati intuitivi. Le parti interessate potranno così accedere facilmente alle informazioni, ai risultati e alle raccomandazioni utilizzate e generate dal progetto.
Secondo Gral Anicet Nibaruta, responsabile della Plateforme nationale pour la gestion des risques de catastrophe du Burundi, «Con il nostro piano nazionale di sviluppo e riduzione dei rischi, dobbiamo allineare meglio le strategie di risposta agli sfollamenti e i piani di protezione civile».
Non meno importante è la consapevolezza della prevenzione dei disastri, della mitigazione e di come rispondere a un’emergenza. L’IOM e il governo del Burundi intendono collaborare con i media nazionali per contribuire all’attuazione di misure di prevenzione e risposta attraverso messaggi di allerta precoce e informazioni rivolte alla popolazione in senso ampio. Accanto a questi sforzi per prevenire future emergenze, l’IOM Burundi continua a fornire assistenza diretta, con ripari e beni non alimentari ad esempio, grazie ai finanziamenti della Germania, dell’United States agency for international development e dal Central emergency response fund dell’Onu. «Tuttavia – conclude l’IOM – sono ancora necessari maggiori finanziamenti per fornire una risposta più completa al numero crescente di persone colpite dalle inondazioni e per prevenire impatti ancora più disastrosi».