In Italia il surriscaldamento corre veloce: +2,4 °C dal 1880
Si tratta di un dato più che doppio rispetto alla media globale, che si ferma a +1 °C. Eppure nel nostro Paese rinnovabili e decarbonizzazione sono al palo.Forte incremento anche per gli eventi meteo estremi, cresciuti di 8 volte dal 2008
di Luca Aterini
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Chi pensa che il cambiamento del clima in corso sia un problema che riguarda altri popoli, o tempi remoti, ha sbagliato i conti: «L’Italia fa registrare un primato negativo – spiegano da Italy for climate, un’iniziativa della Fondazione dello sviluppo sostenibile – rispetto al 1880 la temperatura media è aumentata di quasi 2,4°C, molto più velocemente della media mondiale intorno a +1°C».
E con la crisi climatica stanno sensibilmente aumentando anche gli eventi meteo estremi. «Nel 2020 lo European severe weather database ha censito per l’Italia quasi 1.300 tra i principali eventi meteorologici estremi connessi al cambiamento climatico, il valore più alto mai registrato dopo l’anno record 2019. Dal 2008 si sono moltiplicati otto volte e sono cresciute tutte le tipologie di eventi estremi: +480% i tornado, +580% le piogge intense e le bombe d’acqua, +1.100% le grandinate e +1.200% le raffiche di vento».
Tutti elementi, insieme agli incendi, che stanno purtroppo occupando le cronache – non solo italiane – anche in queste settimane: «Gli eventi generati dalla crisi climatica sono sempre più drammatici. In Italia, solo nell’ ultimo mese, la Sardegna sta bruciando, Milano e la Lombardia sono andate sott’ acqua e hanno sperimentato grandinate eccezionali, l’Europa è stata colpita da quella che è stata definita l’alluvione del secolo», osserva Edo Ronchi, presidente della Fondazione e già ministro dell’Ambiente.
Eppure l’Italia non sta svolgendo affatto il proprio ruolo per limitare i danni della crisi climatica globale in corso. Come documenta il focus 10 trend chiave sul clima 2020: cosa è accaduto in Italia nell’anno della pandemia di Italy for climate (in allegato, ndr), dal 1990 si è registrato appena metà del taglio delle emissioni di gas serra necessario al 2030, -27% vs -55%; e questo solo grazie al fatto che nel 2020 – a causa della pandemia – le emissioni italiane sono diminuite del 9,8% rispetto all’anno precedente, altrimenti il dato sarebbe ancora peggiore (-19,4%).
Nel 2020 in Italia anche il Consumo finale lordo (Cfl) coperto da fonti rinnovabili, termiche elettriche e per i trasporti, è nuovamente diminuito: secondo le stime preliminari del Gse siamo passati da 21,9 a 21,5 milioni di Tep (tonnellate equivalenti di petrolio). Di fatto oscilliamo attorno ai 20 Mtep oramai dal 2012. Solo grazie alla riduzione dei consumi, nel 2020 la quota del Cfl soddisfatto dalle rinnovabili è arrivata al 20% (era il 18,2% nel 2019), una percentuale che è però circa la metà di quello che secondo la Commissione europea dovremmo arrivare a coprire in meno di un decennio.
Guardando infatti al di là del temporaneo crollo delle emissioni nel 2020, a fine 2019 le emissioni nazionali di CO2 italiane erano pressoché paragonabili a quelle registrate nel 2014: di fatto, cinque anni di stallo. Lo stesso vale per le rinnovabili, le cui installazioni sempre dal 2014 crescono col contagocce.
Anche nel 2020 le nuove installazioni di impianti alimentati da fonti rinnovabili sono nuovamente scese vicino alla soglia di 1 GW – mentre l’Europa ne installava 30, il mondo 260 –, un dato molto lontano dagli almeno 7 GW che dovremmo realizzare ogni anno per rispettare gli obiettivi Ue al 2030.
«L’attenzione dei cittadini e dei media è fortemente cresciuta – commenta Ronchi –, manca invece un’adeguata accelerazione delle misure, concrete e impegnative, di riduzione dei gas serra. Se aspettiamo che partano tutti per aumentare il nostro passo, saremo travolti dalla crisi climatica. Insieme all’Europa dobbiamo incalzare i ritardatari – a partire dalla Cina che sta rinviando misure incisive per il clima – dimostrando che siamo in grado di realizzare rapidamente un’economia climaticamente neutrale, con maggior benessere e più occupazione e tassando adeguatamente le importazioni di prodotti ad alte emissioni provenienti da Paesi che non si impegnano per il clima».