Il mondo sempre più stretto nella morsa della siccità e mancanza d’acqua

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Il mondo sempre più stretto nella morsa della siccità e mancanza d’acqua

Più di un miliardo di persone è stato già colpito da siccità e gravi carenze idriche. E queste crisi minacciano di diffondersi come una pandemia perché non c’è territorio che possa considerarsi immune al fenomeno, come sottolineato da un rapporto recente delle Nazioni Unite. Per evitare il peggio è importante procedere al ripristino e alla riqualificazione degli ecosistemi
di Rudi Bressa
www.lescienze.it

La prossima pandemia? Potrebbe essere la siccità. Un evento estremo che può manifestarsi e durare mesi, anni, se non decenni e che colpirà indistintamente ampie zone del pianeta, anche quelle considerate “immuni” dalla scarsità d’acqua. L’avvertimento arriva dall’agenzia delle Nazioni Unite responsabile della riduzione del rischio di disastri (United Nations Office for Disaster Risk Reduction, UNDRR), in occasione della pubblicazione del GAR Special Report on Drought 2021, che afferma come nell’ultimo secolo la crisi idrica abbia già colpito 1,5 miliardi di persone. Numeri che cresceranno drammaticamente a meno di un deciso miglioramento nella gestione del rischio.

Il rapporto ha esaminato molti dei dati e della letteratura scientifica oggi disponibili per redigere un quadro il più possibile completo sia per quanto riguarda le conoscenze odierne sulla siccità a livello globale, con gli impatti fisici e sociali, sia per le esperienze di riduzione del rischio: una sorta di panoramica che è servita a capire quali sono i settori maggiormente responsabili, i legami con i cambiamenti climatici, le politiche intraprese negli anni dai paesi maggiormente colpiti.

Siccità non è solo mancanza d’acqua

La siccità ha sempre fatto parte dell’esperienza umana, ma i danni e i costi che ne derivano sono seriamente sottovalutati. Ciò è dovuto a impatti diffusi che spesso non sono esplicitamente attribuiti agli effetti a catena della siccità. Secondo quanto riporta l’UNDRR, le stime dei costi derivanti da questo tipo di eventi, dal 1998 al 2017, mostrano perdite economiche di almeno 124 miliardi di dollari in tutto il mondo. Le stime di alcuni dei costi diretti includono perdite annuali di circa 6,4 miliardi di dollari negli Stati Uniti, e di oltre 9 miliardi di euro nell’Unione Europea. In India la perdita di prodotto interno lordo è stata stimata del 2-5 per cento, mentre a seguito della siccità del millennio australiana, la produttività agricola totale è diminuita del 18 per cento nel periodo 2002-2010.

“L’impatto della siccità si registra a livello globale. Il cambiamento climatico non fa differenze”, spiega a “Le Scienze” Pasquale Steduto, già vice direttore della divisione terre e acqua della FAO. “La differenza sta nella vulnerabilità e nella capacità di affrontare la siccità estrema. Il problema è che abbiamo ancora un approccio classico di risposta, compensazione e di limitazione del danno, invece di avere un atteggiamento proattivo di monitoraggio ed early warning.”

I fenomeni siccitosi non sono più esclusivi delle aree notoriamente aride del pianeta, ma stanno colpendo territori prima considerati protetti, vuoi per la presenza di bacini idrografici storicamente importanti, vuoi per la costanza nelle precipitazioni e nel ricambio idrico.

L’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), sottolinea invece come la siccità sia una caratteristica ricorrente del clima europeo, che colpisce ogni anno frazioni considerevoli della popolazione del continente, e mostra come gli studi disponibili prevedano un ulteriore aumento della frequenza, della durata e della gravità delle siccità meteorologiche e idrologiche per la maggior parte dell’Europa nel corso del XXI secolo, a eccezione di alcune regione dell’Europa centro-orientale e nord-orientale. Il maggiore aumento delle condizioni di siccità è infatti previsto per l’Europa meridionale, dove aumenterà la concorrenza tra i vari settori, come l’agricoltura, l’industria, il turismo e i cittadini.

Mappa dei cambiamenti nel deflusso dei fiumi nel corso del tempo. Le variazioni nel deflusso dei fiumi sono considerate un buon indicatore della tendenza del clima verso una maggiore o minore siccità poiché il deflusso è direttamente collegato al bilancio idrico terrestre e controlla un’ampia gamma di processi climatologici ed ecologici (© ESRI)

“La siccità è una manifestazione della variabilità climatica. Non esistono territori immuni”, spiega a “Le Scienze” Jaroslav Mysiak, direttore della divisione valutazione del rischio e strategie di adattamento del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici. “I cambiamenti climatici contribuiscono ad aumentarne la frequenza e intensità, in modo diverso in varie regioni del mondo”. Nella nuova epoca climatica “tante regioni vedranno periodi di prolungata mancanza o diminuzione delle piogge, altre invece subiranno eventi di precipitazione più intense”.

La difficoltà nelle previsioni

Nelle regioni particolarmente vulnerabili alla siccità e ai cambiamenti climatici, come le aree mediterranee, poter far affidamento su previsioni delle precipitazioni con mesi di anticipo è fondamentale per capire i possibili cambiamenti, per esempio, nella disponibilità delle risorse idriche. In campo climatico, i principali strumenti predittivi consistono in modelli numerici in grado di simulare il comportamento del sistema climatico.

“Questi modelli sono costruiti partendo dalle equazioni fondamentali che descrivono la fisica dei sistemi e delle loro interazioni, e la loro complessità è tale che spesso ci si riferisce a loro come a modelli del sistema Terra”, spiega a “Le Scienze” Silvio Gualdi, presidente della Società italiana di scienze del clima (SISC). Equazioni che sono così complesse da poter essere risolte solo scomponendole su una griglia tridimensionale e risolte con l’ausilio di potenti supercomputer. “Quando, in questo modo, risolviamo le equazioni per un determinato intervallo temporale, in pratica conduciamo una simulazione dell’evoluzione del clima nel corso di quell’intervallo di tempo. Questo ci permette di rappresentare l’evoluzione del clima e quindi di fare una previsione del suo comportamento”, continua Gualdi.

A questo punto è possibile avere una rappresentazione dell’evoluzione del clima nella scala temporale, eventi estremi come la siccità compresi, e poterne prevedere il comportamento. Le simulazioni riproducono tutti i fenomeni meteorologici che alla fine determinano il clima di una data regione o di un continente. “Quindi, i modelli sono in grado di simulare periodi anomali con una persistente mancanza di piogge che può eventualmente evolvere in condizioni di siccità.”

Il ruolo degli ecosistemi nella riduzione del rischio

Se i modelli ci possono aiutare a prevedere gli eventi estremi sul medio periodo, fondamentali sono le soluzioni che paesi e comunità dovrebbero adottare per ridurre il rischio. E in questo caso vengono in aiuto le cosiddette nature based solution (NBS), ovvero le soluzioni basate sulla natura, come il ripristino e la riqualificazione degli ecosistemi tramite la stabilizzazione e conservazione del suolo, la regolazione dei deflussi di acqua, la regolazione della temperatura.

“Gli impatti dei cambiamenti globali, legati in particolar modo all’urbanizzazione e al consumo di suolo crescente, degradano la qualità degli ecosistemi e riducono la loro capacità di fornire servizi ecosistemici agli esseri umani, creando un ambiente sempre più frammentato e sempre meno resiliente”, continua Mysiak. Ecco allora che sviluppare una rete di infrastrutture verdi, connesse e distribuite sul territorio “può essere una risposta a supporto del mantenimento della funzionalità ecologica e della produzione di servizi e co-benefici dell’ambiente naturale e che dipendono dalla struttura e distribuzione degli ecosistemi nel paesaggio e dal flusso di organismi, materiali ed energia attraverso di essi”.

Erica Gies Un esempio su tutti è il rapido declino delle falde acquifere a causa dell’eccessivo sfruttamento e dell’impatto delle attività agricole, che hanno portato alla scomparsa delle zone umide e dei fontanili. Il ripristino di queste aree può ridurre la frequenza e l’intensità dei periodi siccitosi. Implementando infatti le cosiddette “aree forestali di infiltrazione” (AFI), è possibile ricaricare le falde acquifere in modo controllato durante i periodi di maggiore disponibilità di risorsa idrica, tipicamente in autunno e primavera, per poi usare la risorsa durante il periodo irriguo.

“Le aree agricole vengono convertite a filari boschivi intervallati da piccoli canali per la raccolta d’acqua, combinando elementi ingegneristici, per esempio per il prelievo di acqua superficiale dal fiume, con la naturale capacità di infiltrazione del suolo, coadiuvata dall’apparato radicale del bosco”, spiega Andrea Staccione, dottoranda in scienza e gestione dei cambiamenti climatici all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Questo sistema permetterebbe dunque “la ricarica della falda acquifera in profondità”.

Come suggerito dallo stesso rapporto dell’UNDRR, è la prevenzione la chiave per ridurre gli effetti a lungo termine di eventi estremi come la siccità. Prevenzione che ha costi umani, finanziari e ambientali di gran lunga inferiori rispetto alla risposta “in emergenza”. Concetto confermato anche in un recente studio pubblicato su “Nature Sustainability”, in cui si dimostra l’efficacia, anche economica, degli interventi di riduzione del rischio di disastri che sfruttano i servizi ecosistemici.

“I servizi ecosistemici hanno un valore economico anche se non viene effettivamente pagato alcun prezzo per la loro fornitura o mantenimento”, continua Mysiak. “Il mancato riconoscimento del loro vero valore economico porta a un livello di tutela ambientale insufficiente e a danni duraturi, in alcuni casi irreversibili.” Si tratta di un ruolo vitale per la rigenerazione di quartieri urbani e periurbani, che porta notevoli benefici ai residenti e al benessere della comunità. “Tuttavia – conclude il ricercatore – nonostante l’evidenza crescente della loro efficacia tecnica, queste soluzioni incontrano ostacoli considerevoli.”

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