Gli alieni potrebbero essere là fuori che ci osservano

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Gli alieni potrebbero essere là fuori che ci osservano

Negli ultimi 5000 anni sono state quasi 2000 le stelle nella giusta posizione celeste per vedere la Terra in transito sul Sole, e oltre 300 entreranno in questo punto favorevole nei prossimi 5000 anni, come mostra una nuova mappa stellare basata sui dati raccolti dalla missione Gaia dell’ESA. “Loro” potrebbero allora averci già avvistato
di Tesse Joosse/Scientific American
www.lescienze.it

Il 25 giugno scorso il Pentagono e l’Office of the Director of National Intelligence hanno pubblicato il loro tanto annunciato rapporto sui fenomeni aerei non identificati, o UAP. Gli appassionati di alieni spaziali e gli scettici lo attendevano con il fiato sospeso. E anche se non ha escluso un’origine extraterrestre per la maggior parte degli UAP documentati, il rapporto non conteneva dettagli o notizie sconvolgenti.

Ma sappiamo già che il nostro pianeta è facilmente rilevabile da osservatori extrasolari. Un articolo pubblicato su “Nature” mostra che, negli ultimi 5000 anni, 1715 stelle sono state nella giusta posizione celeste per vedere la Terra popolata in transito sul Sole, mentre altre 319 entreranno in questo punto favorevole nei prossimi 5000 anni. E sette di queste stelle lontane hanno esopianeti in orbita che potrebbero supportare la vita.

“Invece di chiederci continuamente, ‘Che cosa possiamo rilevare di altri pianeti?’ e ‘Dove sono gli altri pianeti che possiamo rilevare?’ pensiamola al contrario”, spiega Jackie Faherty, astronoma dell’American Museum of Natural History di New York e coautrice del nuovo studio. “Quali pianeti potrebbero trovarci? Quanti sono e per quanto tempo?”.

Lisa Kaltenegger, astronoma della Cornell University, si è rivolta a Faherty con l’idea di realizzare una mappa che mostrasse quali stelle vicine potessero vedere la Terra nel passato e quali potranno farlo nel futuro. “Avrei voluto considerare un miliardo di anni!” dice Kaltenegger riferendosi all’arco temporale proposto. “E io ho risposto: ‘No, c’è un limite per andare indietro nel tempo’”, spiega Faherty.

L’insieme di dati che le due ricercatrici hanno utilizzato proviene dalla missione Gaia, una sonda lanciata dall’Agenzia spaziale europea nel 2013 per contare e tracciare più di un miliardo di stelle in tutta la Via Lattea. Gaia impiega una tecnica di misurazione della distanza chiamata parallasse, che può essere compresa semplicemente strizzando un occhio, poi l’altro e notando come gli oggetti nel nostro campo visivo si spostano in proporzione alla loro vicinanza a noi.

“I nostri occhi sono separati da una piccola distanza, e questa distanza tra gli occhi è ciò che ci permette di misurare la profondità”, spiega Faherty. Proprio come fa la missione Gaia, anche se la sua linea di base è più o meno l’arco dell’orbita terrestre intorno al Sole invece che lo spazio tra gli occhi di una persona. Questa linea di base più lunga permette alla sonda spaziale di misurare più precisamente le distanze e i movimenti celesti. Ma proprio come per i nostri occhi, c’è ancora qualche incertezza nello stabilire l’esatta cinetica di questi oggetti ultradistanti, afferma Faherty.

Così la coppia di ricercatrici ha optato per una finestra di 10.000 anni, che va da 5000 anni fa a 5000 anni da oggi. Questo arco temporale è conservativo, chiarisce Faherty, considerando che la Terra ha 4,55 miliardi di anni. Ma la componente temporale è ancora particolarmente significativa perché tutto nello spazio si muove nel tempo, sottolinea René Heller, astrofisico al Max-Planck-Institut per la ricerca sui sistemi solari a Göttingen, in Germania, non coinvolto nello studio. “Quello che succede nello spazio è dinamico, non è un’immagine statica”, dice.

Dalla serie di dati di Gaia, Faherty e Kaltenegger hanno individuato le stelle entro circa 300 anni luce dal Sole, cioè quelle “nel nostro vicinato”, spiega Faherty. Grazie a Gaia e ad altre misurazioni, i ricercatori sapevano già quanto velocemente si muove ogni stella, così hanno spostato le traiettorie delle stelle avanti e indietro nel tempo su una grande mappa virtuale. Questo approccio ha permesso loro di determinare quando e dove queste stelle del vicinato sono entrate, o entreranno, nella cosiddetta zona di transito terrestre, o quello che Faherty chiama “il bersaglio nel cielo”: l’area in cui una stella può essere allineata esattamente in modo tale da ottenere la visione del nostro pianeta che attraversa la superficie del Sole.

È lo stesso metodo che gli astronomi qui sulla Terra hanno usato con grande successo per trovare e studiare migliaia di pianeti intorno ad altre stelle. Monitorando continuamente una stella, gli osservatori possono cercare un modello regolare di “oscuramenti e reilluminazioni” prodotti da pianeti in ombra che transitano sul lato della stella visto dal sistema solare. Questo metodo straordinario non solo ci dice se ci sono pianeti che orbitano attorno a una stella, ma permette anche agli osservatori di scrutare la composizione chimica di fondo dell’aria del pianeta analizzando la luce della stella che brilla attraverso la sua atmosfera superiore. “Quando il pianeta passa davanti alla stella, lascia una firma spettrale, come la chiamiamo noi: informazioni sulla sua atmosfera nella luce delle stelle”, spiega Heller.

Lo studio di Kaltenegger e Faherty non è, a quanto pare, il primo a cercare altri sistemi planetari che potrebbero osservare la Terra in transito. Heller e uno dei suoi colleghi hanno creato una mappa simile nel 2016, anche se quel lavoro ha contato solo 82 stelle che si sarebbero allineate nella giusta posizione e non ha implementato la componente temporale che il set di dati di Gaia ha permesso a Kaltenegger e Faherty di includere nel loro nuovo lavoro. “Ci siamo chieste se altri potessero cercare pianeti in transito come facciamo noi, ma da una prospettiva extrasolare”, dice Heller, commentando il suo lavoro precedente. “E alcuni di loro potrebbero essere fortunati nel vedere noi terrestri in transito davanti al Sole.”

Osservare la Terra e il sistema solare da questa prospettiva capovolta è estremamente prezioso, dice Kaltenegger. “L’immagine più impressionante di sempre, credo, è quella del pallido punto blu che Carl Sagan ha contribuito a realizzare.” In quella famosa fotografia, catturata dalla sonda Voyager 1 che supera l’orbita di Plutone, un minuscolo puntino luminoso (la Terra) si staglia debolmente in un raggio di Sole diagonale contro il vuoto scuro dello spazio; il suo colore che dà sul ciano accenna alla presenza di oceani e nuvole acquose.

La famosa immagine del “piccolo punto blu” della Terra ripresa dalla sonda Voyager 1 (© NASA/JPL-Caltech)

L’immagine è una rappresentazione visceralmente visiva della spesso citata riflessione di William Blake sull’intravedere “un mondo in un granello di sabbia”, mostrando come anche un singolo pixel di luce planetaria che cade su un rivelatore lontano possa mostrare sorprendenti quantità di informazioni astrobiologicamente rilevanti. La vista di Voyager 1 è una testimonianza del fatto agghiacciante ed esaltante che, proprio come noi possiamo vedere noi stessi dalle profondità interstellari, anche gli altri possono farlo.

Sette delle stelle mappate da Kaltenegger e Faherty ospitano esopianeti possibilmente rocciosi ritenuti candidati in grado di ospitare acqua allo stato liquido, e quindi la vita come la conosciamo noi, sulla loro superficie. Uno di questi, il pianeta chiamato Ross 128 b, è stato nella zona di transito della Terra per circa 2000 anni. Ha “visto” il nostro pianeta tra il X secolo a.C. e il X secolo d.C., un periodo che comprende il regno di Alessandro Magno, la caduta di Roma e lo splendore della civiltà Maya. Ma la vista migliore conosciuta deve ancora venire ed è intorno a un’altra stella, chiamata TRAPPIST-1, circondata da sette pianeti delle dimensioni circa della Terra. Quattro sono alla giusta distanza da TRAPPIST-1 per supportare plausibilmente la vita, dice Kaltenegger. La stella e il suo seguito di pianeti entreranno nella zona di transito della Terra tra circa 1600 anni.

Queste stelle e i sistemi correlati dovrebbero essere l’assoluta priorità per i progetti attuali e futuri per cercare esopianeti che possano supportare non solo la vita ma forse anche civiltà tecnologiche aliene, sostengono alcuni astronomi. “Metterei gli obiettivi menzionati in cima alla lista”, afferma Jill Tarter, presidente emerito per la ricerca sulla vita extraterrestre (SETI) al SETI Institute, che non era coinvolto nel nuovo studio.

Tornando alla Terra, come potremmo prepararci per quando TRAPPIST-1 entrerà nella nostra visuale tra 1600 anni o per quando lo farà qualsiasi altro esopianeta? Heller dice che è un esercizio piuttosto futile fare piani per il XXXVII secolo con la tecnologia del XXI secolo. E l’umanità potrebbe anche non esistere più così lontano nel futuro, un’opzione che Heller ha giocosamente considerato per amore dell’immaginazione. Potremmo installare una sorta di segno gigante co-orbitante o un apparato che imprimerebbe la sua ombra sulla luce prodotta dal Sole accanto al nostro pianeta, ma rimarrebbe nascosto se qualcuno premesse un pulsante una volta all’anno, dice. L’insegna si illuminerebbe così una volta che ce ne fossimo andati (o ci fossimo dimenticati) per mostrare il messaggio “Piacere di non conoscervi” a tutti gli esseri che lo incontrassero in nostra assenza, scherza.

Faherty spera che questa nuova mappa stellare ispiri e apra le menti, oltre a orientare le ricerche di vita extraterrestre. Il progetto ha ampliato il suo modo di pensare alle nostre possibilità di incontrare altri mondi, dice. “Impegnandomi in questo lavoro, ho avuto una sensazione inquietante di navi che transitavano nella notte”, aggiunge Faherty. Heller afferma che anche lui ha una strana sensazione di essere contattato. “Pensate di vivere in una stanza in cui tutte le finestre sono aperte, e fate tutte le vostre cose senza sapere che tutte le finestre sono aperte”, dice. “Vi comportereste diversamente se sapeste di essere osservati per tutta la vita?”

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 1° luglio 2021. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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