C’è una cometa gigante che mette in fibrillazione gli astronomi
Proveniente dalla remotissima nube di Oort, la cometa più grande mai avvistata, qualche centinaio di chilometri di diametro, dovrebbe raggiungere il punto di massima vicinanza al Sole nel 2031, giusto il tempo per studiarne l’evoluzione e scoprirne tutti i segreti
di Jonathan O’Callaghan/Scientific American
www.lescienze.it
Molto al di là delle orbite di Nettuno e Plutone, un’oscura e misteriosa distesa di spazio attrae da sempre gli astronomi. Vi brulicano trilioni (migliaia di miliardi) di comete, scagliate miliardi di anni fa nella loro posizione attuale da Giove o da altri pianeti. Formano una gigantesca sfera nota come nube di Oort, che avvolge il sistema solare e forse si estende fino a due anni luce di distanza dal Sole. Nessuno conosce il numero esatto di comete presenti nella nube di Oort, né la sua vera ampiezza, perché è una regione talmente remota che pochissima luce solare la raggiunge e illumina.
Ma di tanto in tanto, una stella di passaggio o le maree galattiche smuovono uno dei suoi oggetti ghiacciati, residui dell’alba del sistema solare, e lo spingono lontano, verso il Sole e nel campo visivo dei nostri telescopi. Queste “comete di lungo periodo”, con orbite di migliaia o milioni di anni, sono per lo più piccole, con diametri di appena qualche chilometro.
Eppure gli astronomi hanno annunciato la scoperta di una cometa di proporzioni davvero ciclopiche: potrebbe misurare centinaia di chilometri da un capo all’altro. “È stato piuttosto scioccante”, afferma Pedro Bernardinelli, ricercatore all’Università della Pennsylvania e uno degli scopritori. Ora ci si adopera per allineare altri telescopi in quella direzione e svelare i segreti del suo regno lontano.
Inizialmente definita 2014 UN271, la cometa è stata ufficialmente battezzata C/2014 UN271 (Bernardinelli-Bernstein), dai nomi dei suoi scopritori: Bernardinelli, e il suo collega all’Università della Pennsylvania Gary Bernstein. Il primo avvistamento risale al 2014, nel corso del progetto Dark Energy Survey (DES), ma Bernardinelli e Bernstein hanno identificato la cometa solo di recente, quando è spuntata dall’analisi delle circa 80.000 foto scattate negli ultimi anni per il progetto.
Queste immagini la mostrano appostata a circa 30 unità astronomiche (UA), cioè 30 volte la distanza della Terra dal Sole. Ora, dopo sette anni, l’oggetto è a 20 UA e continua ad avvicinarsi. Nel gennaio 2031 raggiungerà il suo punto di minima distanza dal Sole, 10,9 UA, non troppo lontano dall’orbita di Saturno, tanto che qualcuno ha perfino proposto di mandarci una sonda per una breve visita. Secondo le stime attuali, impiegherà tre milioni di anni per completare l’orbita attorno al Sole, quando ritornerà nel bel mezzo della nube di Oort – una distanza di quasi 0,9 anni luce – prima di lanciarsi di nuovo nel sistema solare.
La dimensione dell’oggetto e la sua prossimità incombente hanno catturato l’attenzione degli astronomi. “È davvero eccitante”, ammette David Jewitt dell’Università della California a Los Angeles. Benché nella sua attuale posizione riceva 400 volte meno luce della superficie della Terra, ha una luminosità sufficiente per i nostri telescopi, segno che le sue dimensioni sono comprese tra 100 e 370 chilometri.
L’incertezza dipende dal fatto che non ne conosciamo riflettività e forma. Ma, fosse anche nel limite inferiore di questo intervallo, è comunque la cometa più grande tra quelle finora note. Hale-Bopp, che lasciò a bocca aperta gli appassionati di astronomia ed era finora considerata la maggiore in termini dimensioni del nucleo, aveva un diametro di appena 60 chilometri, insignificante al confronto. La cometa di Bernardinelli-Bernstein è “senz’altro la più grande cometa mai avvistata nell’epoca astronomica moderna”, conferma Alan Fitzsimmons della Queen’s University Belfast. “Storicamente sono documentate comete luminosissime, ma solo prima dell’invenzione del telescopio [nel XVII secolo].”
Le iniziative per studiarla non si sono fatte attendere. Un gruppo di astronomi è già riuscito a rilevare segni di attività, molto probabilmente ghiacci in scioglimento che formano un’atmosfera (la chioma) attorno al nucleo solido, a conferma del fatto che si tratta di una cometa. “La sua luminosità è molto aumentata, segno che è attiva”, sostiene Rosita Kokotanekova dello European Southern Observatory, che ha condotto le osservazioni usando una rete di telescopi nell’emisfero australe. Ottenere osservazioni rapide e continuative sarà fondamentale per conoscerla meglio. “Speriamo di riuscire a rilevare presto un segnale rotazionale dal nucleo”, prosegue Kokotanekova. “Quando l’attività diventerà più intensa, sarà completamente oscurato.”
Studiare l’attività di questo oggetto sarà anche istruttivo, “perché non abbiamo mai osservato una cometa che diventa attiva a una distanza così grande [dal Sole]”. Ciò permetterà ai ricercatori di sondare le regioni del sistema solare dove ha origine l’attività cometaria. Dal 2014, anno della sua prima comparsa nell’ambito del progetto DES, fino al 2018, non sembra esserci stata attività, quindi secondo Fitzsimmons la cometa si è “accesa” negli ultimi tre anni. “Sarà un ottimo punto di partenza per studiare che cosa avviene nella regione di transizione: da palla di ghiaccio nella nube di Oort a cometa in piena attività nel sistema solare.”
Alla sua attuale distanza, le temperature sono troppo basse per permettere lo scioglimento del ghiaccio d’acqua, quindi la cometa di Bernardinelli-Bernstein – che potrebbe essere alla sua prima incursione nel sistema solare – deve avere qualche altro tipo di ghiaccio in scioglimento. Secondo Jewitt, “L’ipotesi più probabile è che si tratti di monossido di carbonio: sappiamo che è presente nelle comete, e anche che è molto volatile.”
Ma per ora la natura della cometa resta ignota, in parte perché gli astronomi la conoscono ancora troppo poco e non avevano mai visto nulla di simile. Siamo sicuri che sia proprio una cometa gigante, e non qualcosa di diverso? “Qualcuno ipotizza che sia tonda, quasi in equilibrio idrostatico, e quindi tendente piuttosto a un pianeta nano”, dichiara Kokotanekova. Sembra improbabile, perché la maggior parte dei modelli suggerisce che un oggetto ghiacciato debba avvicinarsi agli 800 chilometri di diametro prima che la sua gravità cominci a scolpirlo a forma di sfera.
Secondo Jewitt, al momento l’Hubble Space Telescope è l’unica struttura che abbia potere sufficiente a scrutare fin nella sua chioma e stabilire la dimensione reale del nucleo. Ma per ora la richiesta formale di studiare la cometa usando il prezioso osservatorio in orbita non è stata approvata. Per fortuna altri telescopi possono sondare già alcune caratteristiche, per esempio la composizione. “È talmente diversa da qualsiasi altra nostra osservazione, che faremo senz’altro scoperte imprevedibili”, sostiene Kokotanekova.
Ci aspetta un decennio di studi fino al momento in cui la cometa raggiungerà la minima distanza dal Sole, e sarà un lasso di tempo incredibilmente utile. Gli astronomi riusciranno a osservarne l’evoluzione, i possibili mutamenti nei livelli di attività, e magari perfino una frantumazione. “Poterla seguire per i prossimi dieci anni significa avere parecchie opportunità di scoprire altri dettagli”, conferma Colin Snodgrass dell’Università di Edimburgo.
Ma per il momento, ciò che potremmo osservare resta nello stuzzicante ambito dell’ignoto: “È rimasta in fondo al congelatore per eoni – almeno qualche centinaio di migliaio di anni”, dichiara Michele Bannister dell’Università di Canterbury, in Nuova Zelanda. “E adesso il Sole la sta riscaldando. Che cosa succederà? Quanto sarà attiva? Ancora non lo sappiamo. Scoprirlo sarà davvero interessante.”
La cometa permette anche di avere un primo assaggio dell’astronomia del sistema solare nel futuro prossimo. Nell’ottobre 2023 un nuovo telescopio in Cile, il Vera Rubin C. Observatory, avvierà la cosiddetta Legacy Survey of Space and Time (LSST), un’indagine dell’intera volta celeste della durata di dieci anni. Grazie anche a uno specchio del diametro di otto metri, l’osservatorio Rubin sarà in grado di distinguere oggetti molto più fiochi di qualsiasi suo predecessore, tra i quali molte altre comete di grandezza simile. “I telescopi tipici rilevano oggetti a 50 o 60 UA” riferisce Mario Juri, membro della LSST all’University of Washington a Seattle. “Con LSST potremo vedere senza problemi fino a 150 UA. Forse scopriremo oggetti come la cometa di Bernardinelli-Bernestein ogni mese.”
Per il momento, C/2014 UN271 (Bernardinelli-Bernestein) resta la più grande cometa in avvicinamento mai osservata, e permette di intravedere i segreti delle sponde più estreme del sistema solare. Sarà emozionante studiarne il comportamento via via che si avvicina all’orbita di Saturno. Una cosa è certa: sentiremo parlare ancora della Bernardinelli-Bernstein. “La studieremo per anni e anni”, dice Kokotanekova. “Diventerà sempre più interessante. Impareremo a conoscerla a fondo.”
————————-
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 30 giugno 2021. Traduzione di Antonio Casto, editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)