Che tipo di spazzatura c’è in mare? Soprattutto contenitori di plastica per cibo e bevande da asporto
Il quadro più completo dell’origine e della composizione dei rifiuti negli oceani
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Il nuovo studio “An inshore-offshore sorting system revealed from global classification of ocean litter”, pubblicato su Nature Sustainability da un team di ricercatori di 15 istituzioni scientifiche di 10 Paesi e guidato da Andrés Cózar e Carmen Morales de la Universidad de Cádiz (UCA), studio fornisce la prima diagnosi globale dell’origine e della composizione dei rifiuti scaricati nell’oceano: «In media, l’80% degli oggetti trovati sono di plastica. E’ di gran lunga il materiale dominante, seguito da metallo, vetro, abbigliamento e tessuti, gomma, carta e legno lavorato».
La percentuale più alta di plastica si trova nelle acque superficiali (95%), seguono le coste (83%), mentre i letti dei fiumi mostrano la percentuale di plastica più bassa (49%). I ricercatori sottolineano che «Gli oggetti legati all’attività domestica e industriale hanno particolare rilevanza sui fondali e sulle sponde dei fiumi, mentre i residui legati al consumo di tabacco (pacchetti di sigarette, involucri di plastica e accendini) sono particolarmente abbondanti sulle spiagge».
Sebbene lo studio abbia utilizzato solo dati antecedenti alla pandemia di Covid-19, gli articoli di origine medica e igienica, essendo correlati agli scarichi dei servizi igienici, di solito compaiono sui fondali vicino alla costa.
Ma quello che ha colpito di più i ricercatori è che «Delle 112 categorie di rifiuti utilizzate nell’analisi, solo 10 prodotti in plastica rappresentano i tre quarti di tutti gli articoli trovati nel mondo. I rifiuti delle attività di consumo all’aperto, principalmente per cibi e bevande pronti da asporto, dominano in gran parte nella spazzatura globale.Sacchetti, bottiglie, contenitori per alimenti e involucri monouso sono i 4 prodotti più inquinanti, rappresentando quasi la metà di tutti gli oggetti trovati».
Lo studio conferma che «La produzione irresponsabile di articoli in plastica monouso, il comportamento inappropriato di alcuni utenti e i problemi nei sistemi di recupero portano a una continua dispersione di plastica nella natura. Questo ingresso, insieme alla persistenza della plastica, spiega la presenza esagerata di questo materiale nell’oceano».
L’Unione europea e il Regno Unito hanno già approvato leggi e piani d’azione per la plastica, ma il rapporto fa notare che «Tuttavia le restrizioni di mercato di questi piani sono limitate a articoli monouso superflui o facilmente sostituibili». E Cózar, coordinatore dello studio, aggiunge: «Qui dimostriamo che le restrizioni sull’uso di oggetti in plastica, come cannucce, cotton fioc e agitatori per bevanda, anche se sono corrette, ancora non affrontano il problema principale».
Basandosi sul fatto che evitare di produrre rifiuti è il modo più efficace per ridurre al minimo l’inquinamento da rifiuti, gli autori dello studio sostengono «Il divieto di prodotti in plastica di consumo nelle attività di consumo all’esterno come misura di gestione prioritaria».
Per i prodotti di consumo all’aperto ritenuti essenziali, lo studio suggerisce un’applicazione speciale della “responsabilità estesa del produttore”, insieme a una tassa di deposito rimborsabile al consumatore di prodotti da asporto, entrambe misure giustificate dal rischio aggiuntivo di dispersione nell’ambiente di questo tipo di prodotti. Inoltre, «Le sostituzioni di articoli in plastica con alternative realizzate con materiali più facilmente degradabili dovrebbero considerare gli impatti durante l’intero ciclo di vita del prodotto, compresa la sua produzione, trasporto e smaltimento».
La Morales spiega: «Abbiamo riscontrato che gli articoli di carta e cartone, ad esempio, mostrano una presenza molto bassa in natura [1% in media], ma anche la loro produzione richiede un approvvigionamento sostenibile di materia prima. La nostra idea iniziale era semplice, stilare una classifica dei prodotti che contribuiscono maggiormente ai rifiuti marini che fosse di riferimento per le politiche di prevenzione. Ci siamo resi conto presto che non era un compito così facile. Siamo stati fortunati ad avere il supporto di ricercatori e ONG di tutto il mondo, ma le informazioni esistenti si basano su metodi di campionamento e criteri di classificazione molto diversi».
La limitata comparabilità dei dati ha reso difficile tracciare un quadro completo della situazione. Il team di ricercatori ha applicato un protocollo di armonizzazione sistematica per integrare ciascuno dei grandi database disponibili nel mondo. Questo processo, con oltre 12 milioni di dati di rifiuti standardizzati, ha permesso di unire e confrontare modelli diversi per ecosistemi e regioni del mondo.
Ne è venuta fuori la conferma che «Le plastiche usa e getta derivate dal consumo a terra sono i prodotti più frequenti nei rifiuti marini su scala globale. Tuttavia, la percentuale di rifiuti legati all’attività marittima aumenta nelle aree scarsamente abitate, fino a diventare la tipologia di rifiuti predominante in alto mare e alle alte latitudini (>50º). E’ interessante notare che la composizione dei rifiuti sulla superficie dell’oceano cambia dagli oggetti usa e getta vicino alla riva a una predominanza di oggetti legati alla pesca d’altura». La spiegazione fornita dallo studio ha a che fare con l’effetto del vento e delle onde, che portano ripetutamente gli oggetti galleggianti verso la costa dove finiscono per accumularsi nei fondali vicini o entrano in un processo accelerato di usura sulla costa, fino a ridursi a minuscoli frammenti, le microplastiche. «E’allora, sotto forma di microplastiche, che possono più facilmente superare le onde, essere rilasciate in mare aperto ed entrare nei circuiti di trasporto delle correnti oceaniche».
Nel 2014, Cózar e il suo team avevano presentato la prima mappa globale della plastica nell’oceano, rivelando l’esistenza di 5 grandi aree di accumulo di plastica galleggiante, una al centro di ciascuno dei bacini oceanici. Tuttavia, il 99% della plastica raccolta nei grandi vortici oceanici era costituita da frammenti più piccoli di 2 centimetri.
Cózar ricorda che «Una grande domanda rimasta senza risposta era: dove erano le bottiglie, le borse e tutti quei grandi oggetti che entrano in mare?». Questa volta, il team internazionale ha cercato i rifiuti marini di grandi dimensioni, i macrorifiuti (>2 cm) e li ha trovati nelle zone costiere. Cózar precisa che «Le concentrazioni di macrorifiuti sulle coste e nei fondali costieri sono dell’ordine di 10.000 volte superiori alle concentrazioni nei fondali profondi e 100.000 volte superiori a quelli delle acque oceaniche. La costa si presenta come una fascia chiave per intercettare i rifiuti prima che diventino microplastiche e si diffondano in modo incontrollato attraverso l’oceano».
Lo studio stima nel 22% il contributo dato dalle attività marittime ai rifiuti marini, avvertendo che probabilmente si tratta di una stima prudenziale perche comprende solo oggetti chiaramente correlati all’attività marittima (principalmente attrezzi da pesca), sebbene possano esserci oggetti domestici, industriali o di altro tipo che sono stati scartati da qualsiasi tipo di imbarcazione.
I rifiuti da fonti marine, per la loro diversità, richiedono una serie di azioni più complesse, tra le quali lo studio suggerisce una tariffa fissa globale per lo sbarco dei rifiuti in porto e secondo Cózar, «Lo scarico dei rifiuti in qualsiasi porto non dovrebbe comportare un costo dipendente dalla quantità sbarcata».
All’università di Cadice concludono: «L’accumulo di rifiuti negli oceani è una delle grandi sfide di questo secolo. La preoccupazione scientifica e sociale ha innescato un’ondata di iniziative volte a mitigare questo problema. Tuttavia, la conoscenza necessaria per guidare i piani d’azione è ancora limitata. Sebbene abbondanti, le informazioni necessarie per valutare l’origine dei rifiuti sono frammentate e disperse.
Il processo decisionale, sempre più urgente, deve spesso basarsi su dati con una visione parziale del problema. In questo studio vengono identificati i prodotti con la maggiore presenza in ciascuna delle sette regioni socio-economiche del mondo. Sebbene non ci siano proiettili d’argento per l’inquinamento da rifiuti, studi come questo forniscono una base coerente su cui definire e coordinare piani d’azione più efficaci».