Biosfere simili alla Terra potrebbero essere rare
Calcolando la quantità di radiazione fotosinteticamente attiva (PAR) che un pianeta riceve dalla sua stella, gli astronomi hanno scoperto che stelle più fredde del Sole non possono sostenere la vita come la conosciamo perché non forniscono energia sufficiente. La fotosintesi ossigenica sarebbe ancora possibile, ma tali pianeti non potrebbero sostenere una biosfera simile a quella del nostro pianeta
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Cosa rende speciale la Terra rispetto agli altri pianeti ed esopianeti nell’Universo? La risposta più ovvia sarebbe la vita, anche se questo concetto è solo la punta dell’iceberg: sulla Terra, infatti, c’è acqua allo stato liquido (perché si trova nella zona abitabile del Sistema solare); il pianeta è circondato da una spessa atmosfera e da una magnetosfera che lo proteggono dai raggi solari; c’è grande disponibilità di elementi come carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, un’abbondante fonte di energia (la luce del Sole) e un efficiente meccanismo biochimico per convertire il materiale inorganico in biomassa. Esiste, però, anche un fenomeno senza il quale non esisterebbe la vita animale e vegetale: la fotosintesi dell’ossigeno. In uno studio in via di pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, un gruppo di ricerca guidato da astronomi dell’Università di Napoli Federico II e dell’Università Parthenope associati dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha ipotizzato la presenza di questo processo anche su altri esopianeti di tipo terrestre (o roccioso) abitabili, valutando quale tipologia di stella abbia le caratteristiche termodinamiche ideali necessarie alla vita. Dai dati raccolti, analizzando i pochi gli esopianeti abitabili di tipo roccioso conosciuti, si evince che condizioni simili alla Terra potrebbero essere molto più rare di quanto si pensasse in precedenza.
“La fotosintesi svolge un duplice ruolo nell’esistenza della biosfera terrestre: è fonte di cibo organico e fonte di ossigeno molecolare per il metabolismo”, spiega il primo autore dell’articolo, Giovanni Covone, professore presso Università di Napoli Federico II e associato INAF. “Sulla Terra, gli organismi viventi sfruttano la fotosintesi ossigenica per produrre elementi organici, raccogliendo la luce solare per lo più nella gamma visibile dello spettro elettromagnetico, da 400 a circa 700 nm, e per produrre ossigeno molecolare, un altro elemento essenziale per la vita complessa come la conosciamo”.
Comparsa sulla Terra oltre 2,4 miliardi di anni fa, la fotosintesi coinvolge elementi chimici che dovrebbero essere comuni sugli esopianeti rocciosi e, secondo gli autori del paper, questo meccanico biochimico potrebbe essere un processo universale per produrre biomassa in qualsiasi parte del cosmo. Covone aggiunge: “ci siamo domandati: la fotosintesi ossigenica potrebbe sostenere una grande biosfera su un esopianeta roccioso nella zona abitabile circumstellare della sua stella la cui radiazione è diversa da quella solare?”. La risposta non sembra essere positiva.
“Abbiamo calcolato il flusso di fotoni ricevuto dai dieci pianeti rocciosi abitabili conosciuti: nessuno ha le condizioni teoriche per sostenere una biosfera simile alla Terra mediante la fotosintesi ossigenica”, commenta Covone. “Solo un pianeta di questo campione riceve un flusso utile vicino a quello necessario per mantenere una grande biosfera: Kepler-442b, un gigantesco pianeta roccioso con circa il doppio della massa terrestre, in orbita attorno a una stella moderatamente calda a circa 1200 anni luce da noi”.
La zona abitabile è la regione intorno a una stella in cui un pianeta simile alla Terra potrebbe presentare acqua allo stato liquido sulla sua superficie, caratteristica potenzialmente favorevole alla vita. Al momento, sono stati classificati solo dieci esopianeti come abitabili. Lo studio ha messo in relazione la quantità e la qualità (cioè l’efficienza) della radiazione stellare che investe un pianeta roccioso nella zona abitabile circumstellare con la temperatura della stella (e quindi la sua luminosità) e la distanza stella-pianeta. La temperatura superficiale della stella infatti determina sia la luminosità della stella che lo spettro della radiazione emessa, i due parametri essenziali che guidano la fotosintesi ossigenica.
Quando si studiano le proprietà delle stelle, il confine tra abitabilità e sterilità di un pianeta è molto sottile: le stelle fredde non forniscono grandi quantità di fotoni e la loro efficienza è bassa, mentre le stelle più calde di circa 8000 gradi Kelvin non vivono abbastanza a lungo da permettere alla vita di evolversi in sistemi complessi. Il Sole ha una temperatura effettiva di quasi 6000 gradi Kelvin ed emette circa il 40% della sua energia nell’intervallo della radiazione fotosinteticamente attiva, in breve denominata PAR. Le stelle più calde offrono migliori possibilità per l’evoluzione di una biosfera complessa, poiché sono più luminose e quindi emettono più radiazioni nel PAR.
I ricercatori hanno scoperto che le stelle più fredde del Sole sono molto più deboli ed emettono la maggior parte della loro radiazione nel vicino infrarosso. Le stelle con temperature inferiori a circa 3700 gradi Kelvin non possono sostenere una biosfera simile alla Terra perché non forniscono abbastanza fotoni nell’intervallo PAR: la fotosintesi ossigenica sarebbe ancora possibile, ma non potrebbe supportare la vita come la conosciamo sulla Terra. I pianeti intorno a stelle ancora più fredde (nane rosse con temperature inferiori a 2600 gradi Kelvin) potrebbero persino non ricevere abbastanza fotoni per attivare la fotosintesi: è il caso di alcuni pianeti che costituiscono il sistema di Trappist-1.
Poiché le nane rosse sono le stelle più comuni nella Via Lattea “sfortunatamente sembra che le condizioni ottimali per ospitare una ricca biosfera simile alla Terra non siano così diffuse”, conclude Covone.