La vegetazione terrestre sta cambiando più velocemente di quanto non abbia fatto negli ultimi 18.000 anni
Un’accelerazione iniziata millenni fa, spesso maggiore del passaggio dall’era glaciale alle temperature moderne. E’ la vera data di inizio dell’Antropocene?
www.greenreport.it
Lo studio “Global acceleration in rates of vegetation change over the past 18,000 years” pubblicato su Science da un team internazionale di ricercatori guidato dal biologo norvegese Ondřej Mottl dell’Universitetet i Bergen (UiB), riassume un’indagine globale sui pollini fossili ch e ha scoperto che «Oggi, la vegetazione del pianeta sta cambiando tanto rapidamente almeno come quando le ultime calotte glaciali si ritirarono circa 10.000 anni fa».
A partire da circa 3.000 a 4.000 anni fa, le comunità vegetali della Terra iniziarono a cambiare a un ritmo accelerato. Oggi, questo ritmo rivaleggia o supera il rapido turnover che ha avuto luogo quando le piante hanno iniziato la “gara” per colonizzare territori precedentemente ghiacciati e ad adattarsi a un clima globale che si era riscaldato di circa 12 gradi centigradi.
Una delle autrici dello studio, Suxzette Flantua del Bjerknes Centre for Climate Research dell’università di Bergen, ricorda che «Nel tempo, la vegetazione cambia sempre in una certa misura. Cambia a causa del clima o dell’uomo, o per entrambi. Esaminando le risposte della vegetazione durante gli ultimi 18.000 anni, vediamo che il grado di cambiamento della vegetazione non è stato sincrono nello spazio, il che significa che la vegetazione è cambiata in diversi momenti e magnitudo. Durante sostanziali cambiamenti climatici, come quando il mondo si è riscaldato dopo l’ultima era glaciale 18 mila anni fa, alcune aree hanno risposto in modo simile, come nelle zone temperate. Tuttavia, abbiamo visto che questo modello non veniva necessariamente ripreso ai tropici, quindi non esisteva una risposta globale della vegetazione al clima».
Secondo l’università del Winsconsin – Madison, che ha partecipato allo studio, «Questo lavoro suggerisce anche che i tassi di cambiamento dell’ecosistema continueranno ad accelerare nei prossimi decenni, poiché i cambiamenti climatici moderni si aggiungono ulteriormente a questa lunga storia di flussi. Dimostrando che le recenti tendenze della biodiversità sono l’inizio di un’accelerazione a lungo termine nelle trasformazioni dell’ecosistema, il nuovo studio fornisce il contesto per altri recenti rapporti secondo i quali i cambiamenti della biodiversità globale hanno accelerato nel corso dell’ultimo secolo».
Tuttavia, ogni carota di sedimenti fornisce informazioni solo su un luogo sulla Terra, quindi vere analisi su scala globale del cambiamento della vegetazione passato richiedono l’accumulo e la cura di molti di questi dati. I risultati del nuovo studio si basano sui dati 1,181 campioni di pollini fossili provenienti dal Neotoma Paleoecology Database che archivia diversi tipi di dati fossili, paleoecologici e paleoambientali.
Motti sottolinea che «Analizzare quantità così grandi di dati non è un’impresa da poco. La stima dei tassi di cambiamento della vegetazione sulla base delle metriche esistenti era stata considerata inaffidabile nella comunità paleoecologica a causa di vari problemi». Tuttavia, insieme ai colleghi dell’UiB e internazionali, Motti e la Flantua hanno escogitato il nuovo approccio presentato nello studio e Motti evidenzia che «Il processo di sviluppo di un nuovo metodo sul tasso di cambiamento è il risultato di un workshop con molte discussioni scientifiche con altri membri del nostro team. Quindi, praticamente mi sono messo al lavoro a testa bassa e ho trovato un modo per applicare la teoria nel codice. Per me questa è la parte migliore, trovare un problema, inserirlo nel codice e poi risolverlo».
Il presidente del Neotoma Paleoecology Database, il geografo Jack Williams dell’università del Wisconsin-Madison, che ha contribuito a guidare la nuova ricerca, conferma: «Alla fine dell’era glaciale, abbiamo avuto conversioni complete dell’ecosistema su scala biometrica. E nel corso delle ultime migliaia di anni, siamo di nuovo su quel livello. E’ cambiato così tanto. E questi cambiamenti sono iniziati prima di quanto avremmo potuto pensare».
I ricercatori hanno scoperto che il tasso di cambiamento inizialmente ha raggiunto il picco tra 8.000 e 16.000 anni fa, a seconda del continente. Queste differenze continentali sono probabilmente causate da tempi e modelli diversi del cambiamento climatico legati al ritiro dei ghiacciai, all’aumento delle concentrazioni di anidride carbonica nell’atmosfera, ai cambiamenti nell’orbita terrestre e ai cambiamenti nella circolazione oceanica e atmosferica. Gli ecosistemi si sono poi stabilizzati. Lo studio dimostra che «Circa 4000 anni fa, i tassi di cambiamento della vegetazione hanno iniziato ad accelerare, fino ad oggi, e tali modelli sono inequivocabilmente globali».
Mottl aggiunge: «Questo ci ha dato una buona comprensione dell’impatto del nostro studio. Dato che la maggior parte degli ecologi, che studiano gli ecosistemi attuali, hanno registrazioni risalenti a decenni o in alcuni casi a 100 anni, sono inclini a pensare che cambiamenti più drastici nella vegetazione siano iniziati più di recente. Dimostriamo che l’eredità di un cambiamento accelerato va ancora più indietro nel tempo. Ha importanti implicazioni sul modo in cui percepiamo il nostro mondo naturale in questo momento».
Per Williams, «E’ stata una scoperta sorprendente, perché nelle ultime migliaia di anni non stava accadendo molto dal punto di vista climatico, ma i tassi di cambiamento dell’ecosistema erano grandi o più grandi di qualsiasi cosa abbiamo visto dall’ultima era glaciale ad oggi».
Sebbene questa analisi dei pollini fosse incentrata sulla rilevazione dei cambiamenti dell’ecosistema, piuttosto che sulla determinazione formale delle cause, Williams dice che «Questi recenti cambiamenti dell’ecosistema sono correlati con l’inizio dell’agricoltura intensiva e le prime città e civiltà in tutto il mondo. Una caratteristica interessante di queste analisi è la crescita precoce è così presto in tutto il mondo, anche se ogni continente aveva traiettorie diverse di uso del suolo, sviluppo agricolo e urbanizzazione.
Per descrivere il periodo geologico moderno, quando l’influenza degli esseri umani è diventata predominante sul mondo, gli scienziati hanno coniato il termine Antropocene e, ricorda Williams, «Una delle domande è stata: quando è iniziato l’Antropocene? Questo lavoro suggerisce che da 3.000 a 4.000 anni fa, gli esseri umani stavano già avendo un enorme impatto sul mondo e che continua ancora oggi».
Gli scienziati sottolineano che «Un’implicazione di questo lavoro che fa riflettere è che in passato i periodi di trasformazioni dell’ecosistema guidati dai cambiamenti climatici e quelli guidati dall’uso del suolo erano in gran parte separati. Ma ora, l’uso intensivo del suolo continua e il mondo si sta riscaldando a un ritmo crescente a causa dell’accumulo di gas serra. Poiché le comunità vegetali rispondono alla combinazione di impatti umani diretti e cambiamenti climatici indotti dall’uomo, i tassi futuri di trasformazione dell’ecosistema potrebbero battere ancora una volta nuovi record».
L’autore senior dello studio, Alistair Seddon, anche lui dell’UiB, spiega a sua volta: «Uno dei miei principali interessi di ricerca è trovare modi per sfruttare le informazioni dai dataseti ecologici a lungo termine per comprendere meglio i modelli attuali della biodiversità. Questo studio fa proprio questo e fornisce un esempio di come il polline fossile può essere utilizzato per monitorare i modelli globali di biodiversità su scale temporali molto più lunghe. Apre anche la porta a una serie di altre interessanti domande di ricerca». Ad esempio, in futuro i ricercatori vogliono integrare le informazioni sul clima e i dati archeologici delle popolazioni umane e approfondire la relazione con il cambiamento della vegetazione. Si tratta di uno degli obiettivi del progetto Human on Planet Earth (HOPE), guidato dal paleoecologo e professore emerito dell’UiB John Birks.
La Flantua sottolinea: «E’ molto importante capire cosa ha causato questi cambiamenti. Nel nostro studio, abbiamo fornito il contesto, ma abbiamo sottolineato che è necessario un maggiore lavoro per individuare esattamente cosa ha causato tali Motti conclude: «Se ne sappiamo di più sul passato, possiamo valutare il presente in un modo migliore e, si spera, avere un impatto sul futuro».