Il mare italiano è sempre più caldo e perde sempre più biodiversità
In 40 anni, a Portofino e all’Isola d’Elba le temperature superficiali del mare sono aumentate di 1,7 – 1,8° C. Impatti minori in aree protette come Pianosa
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Attualmente sono 8 le Aree marine protette (AMP) che hanno deciso di aderire alla rete per monitorare, insieme a Greenpeace, gli impatti dei cambiamenti climatici sui mari italiani e l’organizzazione ambientalista ha scelto l’isola di Ventotene, ultima delle Amp ad aver aderito al progetto “Mare Caldo”, per rendere noti i risultati del primo anno di studi.
E la situazione che emerge dal briefing “Operazione Mare Caldo – Il cambiamento è già nei nostri mari” è preoccupante: «Il riscaldamento globale sta causando un rapido aumento delle temperature del mare con serie conseguenze anche sugli ecosistemi marini italiani: stiamo infatti assistendo alla morte di alcune specie chiave e all’invasione di altre che meglio si adattano a un mare sempre più caldo, con una grave perdita di biodiversità».
Gli studi del Dipartimento di scienze della Terra, dell’ambiente e della vita (DiSTAV) dell’università di Genova, partner scientifico del progetto, si sono concentrati sull’Isola d’Elba, in Toscana, sull’AMP di Portofino in Liguria e sull’AMP del Plemmirio, in Sicilia e secondo la “Relazione del primo anno di Progetto Mare caldo (2019-2020): Monitoraggio degli effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini bentonici di scogliera” «Le osservazioni satellitari mostrano che negli ultimi quarant’anni si è verificato un aumento costante e significativo delle temperature superficiali del mare, con un incremento di ben 1,7-1,8° C a Portofino e all’Isola d’Elba». In queste due aree, utilizzando sensori installati fino a 40 che metri di profondità, il progetto “Mare Caldo” ha rilevato »»come il calore superficiale si traferisca lungo tutta la colonna d’acqua: l’estate scorsa, in giugno e in agosto, due ondate di calore hanno causato un aumento repentino delle temperature, arrivate a 20° C perfino a 20-25 metri di profondità».
Greenpeace ricorda che «Il riscaldamento del mare non avviene però senza conseguenze. In tutte le aree di studio sono stati osservati chiari fenomeni di mortalità su colonie animali e organismi vegetali, riconducibili all’effetto dell’aumento delle temperature. Le gorgonie sono tra le specie più sensibili: all’isola d’Elba tra il 20 e il 30% cento delle colonie monitorate di gorgonie bianche (Eunicella singularis) e gialle (Eunicella cavolini) presentava segni di necrosi, con una loro significativa diminuzione nei primi 20 metri di profondità in tutte le aree oggetto di studio. L’aumento della temperatura sta inoltre mettendo a rischio la biodiversità locale favorendo l’espansione di specie aliene, come l’alga Caulerpa cylindracea, a scapito delle specie native, e l’insediamento di specie termofile un tempo confinate a latitudini inferiori. All’Elba le specie termofile rappresentano ormai il 13% delle specie della comunità di scogliera e al Plemmirio il 19% cento, con specie come il pesce pappagallo(Sparisoma cretense)o il vermocane(Hermodice carunculata)in continuo aumento».
Inoltre, dai monitoraggi è emerso che aree virtualmente prive di pressioni antropiche locali, come l’Isola di Pianosa nell’Arcipelago Toscano, «mostrino ambienti costieri molto più eterogenei e minori impatti dell’aumento delle temperature, mostrando che gli ecosistemi marini protetti possono fronteggiare meglio i cambiamenti in atto».
Secondo Monica Montefalcone, responsabile del progetto “Mare Caldo” per il DiSTAV, «I dati raccolti evidenziano come da sud a nord siano in atto dei cambiamenti, spesso irreversibili, legati al riscaldamento del mare, anche in profondità, che stanno fortemente modificando la biodiversità dei nostri mari. Ci auguriamo che gli studi in corso attraverso il monitoraggio delle temperature e degli impatti sugli organismi bentonici in varie aree dei nostri mari servano a sviluppare le conoscenze necessarie per fronteggiare le attuali sfide ambientali»
Il progetto “Mare caldo” è iniziato a fine 2019 con una stazione pilota installata da Greenpeace nel mare dell’Isola d’Elba insieme al partner tecnico Elbatech, e già durante il primo anno di ricerca ha visto l’adesione di 4 AMP: Portofino, in Liguria; Plemmirio, in Sicilia; Capo Carbonara e Tavolara-Punta Coda Cavallo in Sardegna. Negli ultimi mesi si sono aggiunte l’AMP di Torre Guaceto, in Puglia; Miramare in Friuli-Venezia-Giulia; Isola dell’Asinara in Sardegna e Isole di Ventotene e Santo Stefano, nel Lazio. Oggi sono dunque 9 le aree di studio comprese nella rete di monitoraggio, di cui 8 sono aree marine protette. Le stazioni di monitoraggio del Progetto sono registrate sulla piattaforma T-Mednet, attiva a livello Mediterraneo, in modo da contribuire al confronto dei dati a livello di bacino.
Antonio Romano, direttore dell’AMP Isole di Ventotene e Santo Stefano, spiega: «Abbiamo aderito con grande convinzione a questo progetto perché i segnali che qualcosa sta cambiando sono sotto i nostri occhi. Le AMP hanno un ruolo chiave nella tutela e nel monitoraggio degli ecosistemi marini, ma abbiamo bisogno di lavorare in rete per comprendere quali siano i processi in atto e sviluppare le adeguate misure di gestione e tutela»
Giorgia Monti, responsabile della campagna mare di Greenpeace, conclude: «L’ecosistema marino, già sotto pressione, è messo ancora più a rischio dalla crisi climatica. Se da un lato sono urgenti azioni coordinate e globali per tagliare le emissioni di gas serra, dall’altro sono fondamentali investimenti per rafforzare e ampliare la rete di aree marine protette: solo tutelando le aree più sensibili potremo permettere ai nostri mari di adattarsi a un cambiamento che è già in atto».