Che cosa sta (davvero) succedendo nella centrale di Chernobyl?

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Che cosa sta (davvero) succedendo nella centrale di Chernobyl?

In una sezione della centrale si sono riattivate deboli reazioni di fissione, che, spiegano gli esperti, dovrebbero estinguersi da sole, danneggiando, al più, solo strutture già pericolanti del vecchio sarcofago, da tempo racchiuso da una perfezionata struttura di contenimento. È però opportuno fare indagini approfondite per tenere sotto controllo la situazione
di Silvia Kuna Ballero
www.lescienze.it

L’unità 4 della centrale di Chernobyl, distrutta nel più grave incidente nucleare della storia, non è destinata a rimanere sepolta per sempre sotto un sarcofago. La nuova struttura di confinamento, l’enorme “arco” di 31.000 tonnellate e 108 metri di altezza che da novembre 2016 ricopre l’edificio del reattore, non ha soltanto lo scopo di sigillare i materiali radioattivi impedendo la contaminazione ambientale; il piano a lungo termine prevede che, nell’ambiente isolato al suo interno, vadano rimosse via via le strutture instabili, i detriti e i resti fusi del combustibile nucleare.

Operazioni che da progetto dovrebbero essere completate entro il 2064, ma che potrebbero tardare a causa di alcuni fenomeni, illustrati nell’ambito dell’annuale International conference on nuclear decommissioning and environmental recovery (INUDECO) che si è svolta nella località ucraina di Slavutych a fine aprile. In particolare, i ricercatori dell’Istituto per i problemi di sicurezza degli impianti nucleari (INSNPP) di Kiev hanno riferito che negli ultimi anni è stata registrata una crescita del flusso di neutroni in alcuni alloggiamenti posti al di sotto del reattore, nei quali la colata di massa fusa contenente combustibile nucleare (detta FCM, fuel containing material) si è accumulata nel corso dell’incidente del 1986.

La presenza di un flusso di neutroni è indice di reazioni di fissione nucleare, in cui alcuni atomi pesanti instabili (fissili) si spezzano producendo neutroni. Di per sé non è una novità, né un evento inatteso. All’interno del FCM sono presenti radioisotopi che vanno incontro a fissione spontanea; inoltre, negli alloggiamenti al di sotto del reattore sono tuttora presenti considerevoli volumi d’acqua penetrati dalle crepe del precedente “sarcofago”. Alle giuste concentrazioni, l’acqua è quello che si dice un “moderatore” neutronico, ossia rallenta i neutroni portandoli alla velocità ottimale per indurre la fissione in altri nuclei.

La sala di controllo della nuova struttura di contenimento (© AGF)

Il vecchio sarcofago, costruito in emergenza nei mesi successivi all’incidente, si era infatti progressivamente deteriorato per l’esposizione agli agenti atmosferici e all’intensa radioattività interna, divenendo vulnerabile alle infiltrazioni d’acqua. Nel giugno 1990, in seguito a forti precipitazioni, un’anomalia aveva portato il flusso di neutroni a valori 60 volte superiori a quelli di fondo nell’alloggiamento 304/3. La situazione era tornata sotto controllo grazie all’intervento di un operatore, recatosi fisicamente nei pressi del FCM per spruzzarvi nitrato di gadolinio, un composto che assorbe i neutroni.

Poiché il nuovo sarcofago offre un riparo totale dalle precipitazioni, si riteneva che, una volta posizionato, l’evaporazione graduale dell’acqua avrebbe portato a una diminuzione delle reazioni di fissione. In generale è stato così, ma non dappertutto. Nel corso di quattro anni, dal 2016 al 2020, in alcuni scomparti sotterranei il flusso di neutroni è aumentato in modo lento e costante; in un alloggiamento particolare, il 305/2, si è registrato un raddoppio del flusso di neutroni.

La ragione di questo comportamento non è del tutto chiara: per stabilirla occorrerebbe una precisa caratterizzazione chimico-fisica di tutti gli accumuli di FCM. Insieme al combustibile nucleare sotto forma di ossido di uranio, l’FCM contiene un miscuglio di altre sostanze (grafite, serpentinite, sabbia, zirconio e altro) in proporzioni non note. Inizialmente era stata pianificata una simile caratterizzazione: una delle fasi preliminari alla costruzione del nuovo sarcofago prevedeva proprio di localizzare e monitorare gli accumuli di FCM, prelevarne campioni e studiarne la composizione chimica.

Tuttavia, luoghi come la stanza 305/2 sono accessibili solo in parte anche dai robot, poiché sono sepolti dai detriti del reattore distrutto. L’alta radioattività complica ulteriormente le cose e preclude un intervento umano; si è dunque deciso di rimandare questa fase al momento in cui fossero stati sviluppati macchinari appositi.

Una fase della costruzione del nuovo scudo di contenimento (© Brendan Hoffman/Getty Images)

Secondo Roman Godun, ricercatore dell’INSNPP, nelle masse di FCM al di sotto del reattore si sono infiltrare in passato concentrazioni di acqua ben al di sopra di quelle ideali per la moderazione: se presente in quantità eccessive, l’acqua inibisce la fissione anziché favorirla. In una simile situazione, la diminuzione del livello d’acqua potrebbe riportare l’FCM in uno stato di criticità, in cui si instaura una reazione a catena. L’ipotesi, avanzata da alcuni studiosi del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell’Ucraina già nel 2011, è coerente con il comportamento dei reattori “termici” ed è ulteriormente corroborata da simulazioni effettuate da Godun e collaboratori su alcuni campioni di FCM.

“Un altro possibile scenario è la riduzione chimica dell’ossido di uranio che, in condizioni particolari, può essere convertito in uranio metallico, che si impiega nei reattori veloci”, spiega Marco Ricotti, professore ordinario di impianti nucleari al Politecnico di Milano. “In questi reattori non è necessario che i neutroni siano moderati, e anche in tal caso la diminuzione dell’acqua favorirebbe le reazioni di fissione. Ma senza una caratterizzazione chimica precisa del FCM, non è possibile distinguere tra le due ipotesi. E quindi non si può dire se, per esempio, occorrerà inserire materiali assorbitori di neutroni all’interno della stanza 305/2 per evitare di raggiungere la criticità, oppure se al contrario la situazione tenderà a risolversi spontaneamente.”

La strumentazione necessaria per le analisi sarebbe in linea di principio già pronta: a Fukushima la caratterizzazione del FCM tramite robot teleguidati è già in corso. Quello che rende difficile operare a Chernobyl è la differente dinamica dell’incidente, unico caso nella storia in cui un reattore sia stato sventrato da un’esplosione, generando enormi quantità di detriti ammassati all’interno di quello che era il reattore. La tecnologia usata a Fukushima (e, prima di allora, a Three Mile Island) andrebbe adattata a questa situazione particolare ma, secondo l’INSNPP, sono necessari ulteriori finanziamenti per portare avanti i lavori.

Qual è il rischio comportato dall’attuale situazione? “Premesso l’ovvio, ossia che siamo in una situazione enormemente diversa da quella del 1986, il reattore è sigillato rispetto all’esterno dal nuovo sarcofago, per cui non ci sarebbe alcun impatto ambientale”, specifica Marco Pellegrini, docente all’Università di Tokyo, che si occupa dello smantellamento di Fukushima Dai-ichi. “E anche le probabilità che si verifichino conseguenze rilevanti all’interno della struttura di confinamento sono estremamente basse. Stiamo parlando di flussi di neutroni molti esigui. Nel caso peggiore, quello cioè in cui si instauri una reazione a catena, questa tenderebbe comunque ad autolimitarsi. È chiaro però che per agire in sicurezza non ci si può basare su speculazioni, perciò è normale che i ricercatori della centrale e dell’INSNPP desiderino saperne di più.”

Nello scenario in assoluto più pessimistico, il calore sviluppato nella reazione a catena potrebbe portare a uno scoppio e al cedimento di alcune strutture instabili all’interno del reattore, sollevando considerevoli quantità di polveri nell’intercapedine tra la struttura di contenimento e l’edificio del reattore. “Il particolato radioattivo è il principale problema per chi si occupa dello smantellamento dell’unità 4”, afferma Ricotti. “Anche indossando protezioni come tute e maschere, all’interno di un ambiente chiuso come l’arco, il rischio di ingerire o inalare polvere radioattiva aumenta con la sua concentrazione. Per i lavoratori della centrale, la contaminazione interna andrebbe ad aggiungersi alla dose a cui sono già normalmente esposti.”

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