13 marzo 2021, oggi è l’Overshoot day italiano: ecco perché il nostro debito col pianeta continua a peggiorare
«L’impronta ecologica italiana è più che raddoppiata dagli anni ’60, oggi i consumi alimentari e il settore dei trasporti sono le due determinanti principali»
di Luca Aterini
www.greenreport.it
Qual è il significato dell’Overshoot day, e come viene calcolata la sua cadenza annuale?
«L’Earth Overshoot day, o in italiano il giorno del sovrasfruttamento della Terra, viene calcolato a partire dai dati dell’impronta ecologica e della biocapacità delle nazioni del mondo. Questi due parametri, aggiornati annualmente dal Global footprint network, ci permettono di calcolare ogni anno il budget di risorse naturali e servizi ecosistemici messi a disposizione dal nostro pianeta (la biocapacità) e confrontarlo con la domanda di tali risorse e servizi da parte dell’umanità (ovvero l’impronta ecologica).
Messi a confronto, biocapacità e impronta ecologica ci permettono di stilare un vero e proprio bilancio ambientale, cosi come il confronto tra spese ed entrate permette di stilare il bilancio economico di un’impresa.
Per calcolare l’impronta ecologica e la biocapacità di ciascuna nazione ed in ultimo dell’umanità e dell’intero pianeta, il Global footprint network utilizza dati ufficiali forniti delle Nazioni Unite, dell’Agenzia internazionale per l’energia e da studi scientifici internazionali. Ad oggi i dati più recenti risalgono al 2017. Questo vuol dire che abbiamo dati ufficiali a disposizione per calcolare questo bilancio ambientale dal 1961 al 2017, mentre il bilancio per gli ultimi 4, dal 2018 al 2021, viene stimato sulla base di quei dati – come popolazione, Pil ed emissioni di gas serra – che sono più frequentemente aggiornati. Anno dopo anno, l’Earth overshoot day viene quindi calcolato dividendo la biocapacità del pianeta (la quantità di risorse ecologiche che la Terra è in grado di generare) in quell’anno, per l’impronta ecologica dell’umanità (la domanda dell’umanità per quell’anno) e moltiplicando per 365, ovvero il numero di giorni in un anno».
La pandemia da Covid-19 sta influenzando in qualche modo l’Overshoot day?
«Certamente la pandemia da Covid-19 e le seguenti restrizioni imposte dai governi nazionali nel tentativo di arginare la diffusione del virus hanno avuto un impatto sulla data dell’Overshoot day. Basta pensare che l’Earth Overshoot day 2020 è caduto il 22 agosto, oltre tre settimane dopo rispetto all’anno precedente, quando cadde il 19 luglio.
Questa variazione nella data, che ha riportato l’Overshoot day agli inizi del millennio, riflette una riduzione di circa il 9% dell’impronta ecologica dell’umanità tra gennaio ed agosto 2020 rispetto all’anno precedente, dovuta alla riduzione di molti dei nostri consumi, come ad esempio quello di legname (la cui raccolta è diminuita dell’8% circa rispetto al 2019) o quello di energia elettrica e combustibili fossili (che hanno determinato una riduzione del 14% circa delle emissioni di CO2), a loro volta determinate dai vari lockdown nazionali.
Anche il sistema alimentare mondiale ha subito gravi disturbi, quali ad esempio la sospensione temporanea dei servizi alimentari e l’impossibilità per i lavoratori agricoli migranti di attraversare le frontiere. Dalla fattoria alla tavola, la rete di distribuzione è stata compromessa in molti punti, andando ad aumentare al contempo sia gli sprechi alimentari che la malnutrizione.
Detto questo, stiamo ancora lavorando a stimare il range completo delle implicazioni del protrarsi di un anno di lockdown sull’Earth overshoot day 2021, ma alcuni recenti studi hanno già indicato come le emissioni mondiali di CO2 al dicembre 2020, ad esempio, siano risalite a livelli pre-pandemia. Se da un lato il traffico aereo è crollato nell’ultimo anno, e con lui le emissioni associate, dall’altro l’aumento di combustibili e fonti energetiche più inquinanti o la deregulation ambientale in nazioni come gli Usa, hanno contribuito a far rialzare le missioni di gas serra».
Crede che sotto questo profilo le ricadute delle pandemia saranno dunque solo temporanee?
«Negli scorsi mesi, molti esperti si sono divisi tra chi pensa che le ricadute della pandemia saranno un fenomeno temporaneo e chi invece che porteranno ad una modifica strutturale delle nostre abitudini e dei nostri consumi. Non è facile dire cosa succederà, ma possiamo partire da questo insegnamento: ammesso che si possa parlare di aspetti positivi della pandemia – il cambiamento che abbiamo vissuto è infatti tutt’altro che il frutto di una transizione programmata – uno di questi è sicuramente l’averci fatto capire che cambiare, radicalmente e rapidamente, è possibile. Cambiare le nostre leggi, il modo di gestire la nostra società e le nostre economie, le abitudini, gli stili di vita e i consumi e, da ultimo, il nostro rapporto con il pianeta».
Vede un nesso tra il progressivo declino degli ecosistemi a causa delle pressioni antropiche e l’arrivo di pandemie come quella ancora in corso? Ritiene probabile che dovremo affrontare sfide simili in futuro?
«Purtroppo un nesso tra il declino degli ecosistemi del nostro pianeta e l’insorgere di pandemie è davanti agli occhi di tutti noi, o almeno di chi non si rifiuta di vederlo, e ci viene ricordato periodicamente. Una manciata di rapporti pubblicati negli ultimi mesi da organismi delle Nazioni Unite[1], Ong, organizzazioni internazionali[2] ed esperti indipendenti convergono nell’indicarci che il rapporto tra noi umani e l’ambiente che ci circonda non è solo importante ma assolutamente essenziale. Questi rapporti convergono nel mostrare che le società umane stanno facendo un uso eccessivo delle risorse del pianeta, distruggendo i suoi habitat e provocando un declino disastroso della biodiversità. In questo processo, la stabilità del sistema-Terra viene compromessa mettendo a repentaglio le fondamenta stesse della nostra salute e delle nostre economie».
In che modo?
«Mi permetto di fare un esempio concreto per spiegare meglio come la nostra salute si intrecci con quella del nostro pianeta e con il funzionamento delle nostre economie. Le nostre economie, in particolare quelle occidentali, sono alla base di processi di produzione e consumo che stanno esaurendo le risorse del nostro pianeta, distruggendo gli habitat e portando noi esseri umani a stretto contatto con animali portatori di malattie come Covid-19.
Il rapporto Living planet report 2020 ha recentemente evidenziato come quasi la metà di tutte le nuove malattie infettive emergenti da animali siano collegate al cambiamento della destinazione dell’uso dei terreni, all’intensificazione dell’agricoltura e all’industria alimentare in generale. Al contempo, l’industrializzazione, l’urbanizzazione e l’inquinamento atmosferico derivante dal nostro attuale sistema economico ha aumentato la gravità dell’impatto delle pandemie sulla salute umana[3].
In altre parole, attraverso l’intensificazione delle pratiche agricole e la deforestazione ci siamo esposti sempre più alle zoonosi e al rischio di pandemie, mentre al tempo stesso l’aumento dei livelli di inquinamento atmosferico dovuto alle attività antropiche ci ha reso sempre più fragili e vulnerabili da tali pandemie.
La nostra esitazione collettiva a guarire veramente la nostra società e l’ambiente nasce dal timore dell’impatto negativo che ciò avrebbe sull’economia. Sentiamo ogni giorno parlare del difficile compromesso tra salvare vite e salvaguardare l’economia, così come abbiamo sentito per anni parlare del compromesso tra crescita economica e salvaguardia ambientale.
Proprio in settimana prossima, assieme ad un gruppo di ricercatori e sotto il coordinamento della WEALL Alliance pubblicheremo un nuovo report con un messaggio molto semplice: dobbiamo riconoscere che non vi è alcun compromesso tra “economia” e “salute”, né tra “economia” ed “ambiente”. Se degradiamo il nostro ambiente, distruggiamo la nostra salute e la base delle nostre attività economiche. La vera scelta davanti a noi è tra la conservazione congiunta di queste tre preziose dimensioni dell’esistenza umana o la perdita irreparabile di tutte e tre. Nella settimana del Global health summit (Roma, 21 maggio) organizzato dalla Commissione europea assieme alla presidenza italiana del G20, vogliamo proporre una visione molto semplice: la migliore politica economica è una forte politica sanitaria e la migliore politica sanitaria è una forte politica ambientale».
Qual è invece a l’andamento dell’Overshoot day italiano, e perché quest’anno cade il 13 maggio?
«Innanzi tutto dobbiamo dire che l’Overshoot day italiano è la data in cui l’Earth Overshoot day cadrebbe se ciascun cittadino del mondo avesse lo stesso stile di vita e gli stessi livelli di consumo di un italiano medio. Ad oggi, o meglio al 2017 – l’ultimo anno per cui abbiamo dati nazionali a disposizione – l’impronta ecologica di un italiano corrisponde a circa 4.4 gha, ben oltre il valore medio mondiale di 2.8 gha a persona. Sebbene l’impronta italiana sia rimasta quasi invariata negli ultimi 5 anni, essa è più che raddoppiata rispetto all’inizio degli anni sessanta (quando ha inizio la serie storica dei dati in nostro possesso), quando un cittadino italiano richiedeva in media circa 2.4 ettari di terreno biologicamente produttivo per sostenere il proprio stile di vita.
L’Overshoot day italiano per il 2021 è quindi calcolato utilizzando i dati dei National footprint and biocapacity accounts riferiti all’anno 2017, e purtroppo non tiene conto dell’impatto che la pandemia da Covid-19 ha avuto sui consumi degli italiani.
L’anticipo dell’Overshoot day italiano di un giorno rispetto al 2020 rispecchia quindi solo l’aumento dell’impronta ecologica italiana tra il 2016 (l’anno di riferimento per il calcolo dell’Overshoot day italiano 2020) e il 2017. Per capire però l’impatto che la pandemia ha avuto in termini di emissioni di gas serra dovute ai consumi energetici nel nostro paese, ci viene in aiuto un recente studio di alcuni miei colleghi italiani, i quali mostrano come la pandemia e le susseguenti misure restrittive abbiamo causato una riduzione delle emissioni di circa il 20% rispetto alla media del periodo 2015-2019, con le maggiori riduzioni avvenute nel settentrione, l’area più industrializzata del nostro Paese».
Quali sono i maggiori fattori di pressione sull’impronta ecologica italiana, sui quali possiamo agire?
«Credo valga la pena riflettere su quali siano le attività giornaliere che determinano maggiormente l’impronta di noi italiani: le nostre analisi al Global footprint network indicano i consumi alimentari (25% circa dell’impronta totale) e il settore dei trasporti (18% circa) come le due determinanti principali dell’impronta ecologica degli italiani.
Intervenire sul sistema alimentare e su quello dei trasporti, nonché sulla pianificazione territoriale ed urbana, sono a mio avviso i punti cardine dai quali partire per un Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che miri a mitigare le cause principali della nostra impronta ecologica».
[1] Si veda ad esempio https://www.unep.org/resources/global-environment-outlook-6 e https://www.unep.org/resources/making-peace-nature
[2] Si veda https://ipbes.net/global-assessment e https://www.globallandscapesforum.org/publication/one-world-one-health-recommendations-to-harness-the-power-of-landscapes-full-report
[3] Si veda https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7128509/ o anche https://bmjopen.bmj.com/content/10/9/e039338Pubblicità 4w