L’ibridazione del lupo con il cane domestico é un grave rischio per la conservazione della specie

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L’ibridazione del lupo con il cane domestico é un grave rischio per la conservazione della specie

Studio sui lupi del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano: una prevalenza di ibridazione del 70%
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Secondo lo studio “Estimating Admixture at the Population Scale: Taking Imperfect Detectability and Uncertainty in Hybrid Classification Seriously”, pubblicato suThe Journal of Wildlife Management da – Nina L. Santostasi e Paolo Ciucci (La Sapienza università di Roma), Olivier Gimenez (CEFE, CNRS, Université de Montpellier), Romolo Caniglia e Elena Fabbri (Ispra), Luigi Molinari e Willy Reggioni (Wolf Apennine Center del Parco Nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano), «L’integrità genetica del lupo italiano è sempre più minacciata dall’ibridazione con il cane domestico».

Alla Sapienza ricordano che «Il cane domestico è il risultato di una forte selezione attuata dall’uomo e di millenni di isolamento riproduttivo dal lupo. Nel tempo il cane ha sviluppato forme e comportamenti più appropriati alle necessità dell’uomo e profondamente diversi rispetto al suo progenitore selvatico. Dal punto di vista biologico, il cane e il lupo sono la stessa specie e in determinate circostanze possono accoppiarsi e generare ibridi fertili. Eppure, nonostante l’ibridazione con il lupo sia occasionalmente avvenuta fin dall’origine stessa della domesticazione del cane, oggi il timore è che il fenomeno sia in forte aumento a causa dell’espansione del lupo in aree maggiormente antropizzate, dove il rapporto numerico risulta ampiamente a favore della popolazione canina».

Le tecniche genetiche utilizzate nello studio per identificare gli ibridi, che utilizzano il DNA estratto dagli escrementi di lupo, sono state messe a punto nel laboratorio di genetica della conservazione dell’Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra), da anni attivo nel settore.

Cuicci, coordinatore lo studio, del Dipartimento di biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza università di Roma (che lavora anche per il Centre Nationale de la Recherche Scientifique francese, CNRS), sottolinea che «Dai primi rari avvistamenti di ibridi negli anni ’70 e ’80, il fenomeno è stato ampiamente sottovalutato negli anni successivi. Questo sia per le difficoltà tecniche intrinseche all’identificazione degli individui ibridi, inclusi i re-incroci di successiva generazione, sia per le complesse e delicate implicazioni gestionali del fenomeno. Inoltre, ad oggi sono stati pochi gli studi che hanno realmente quantificato l’ibridazione tra cane e lupo secondo parametri popolazionistici e modelli statistici adeguati, mentre gli strumenti di cui oggi disponiamo ci permettono di produrre stime più accurate».

La stima della prevalenza degli ibridi è stata effettuata nella popolazione di lupo che vive nel Parco nazionale dell’Appennino Tosco-Emiliano e nelle zone circostanti dell’Appennino settentrionale, un’area centrale e strategica della distribuzione del lupo nell’Appennino, dove i primi individui ibridi, o comunque morfologicamente devianti rispetto allo standard morfologico del lupo, erano già stati osservati dalla fine degli anni ’90.

Dopo aver analizzato 152 campioni raccolti, provenienti da 39 lupi di 7 branchi differenti, i ricercatori hanno stimato una prevalenza di ibridazione del 70%, con individui ibridi presenti in almeno 6 dei 7 branchi monitorati. «Inoltre – aggiungono –  attraverso la ricostruzione genealogica è stato accertato che in almeno due di questi branchi gli individui ibridi godono dello status di riproduttori, e sono in grado quindi di tramandare le varianti genetiche di origine canina alle generazioni successive».

I ricercatori italiani e francesi sono abbastanza preoccupati: «Nonostante la presenza di casi di ibridazione fosse stata originariamente ipotizzata, se si considerano gli effetti potenzialmente negativi che i geni di origine canina possono avere per la sopravvivenza del lupo allo stato selvatico, i risultati dello studio evidenziano uno scenario allarmante per la conservazione della specie e per la tutela della sua identità genetica».

La Santostasi, principale autrice dello studio, spiega che «Grazie a una rete di collaboratori con competenze complementari, che ci ha permesso di applicare adeguate strategie di campionamento, congiuntamente a metodi formali di stima demografica e a tecniche di diagnosi genetica particolarmente efficienti, nel nostro lavoro abbiamo prodotto una stima accurata del fenomeno su scala locale. I risultati che abbiamo ottenuto sottolineano con enfasi come le presunte barriere riproduttive comportamentali tra cani e lupi, o la diluizione di geni di origine canina nella popolazione di lupo, non siano da sole sufficienti a prevenire l’ibridazione e il suo dilagare all’interno della popolazione di lupo. Purtroppo, con ogni probabilità, questa situazione non è limitata all’area in cui abbiamo lavorato ed è fondamentale replicare con urgenza lo stesso tipo di studio anche nelle altre aree dell’areale della specie».

E i risultati dello studio evidenziano che è fondamentale non ignorare il fenomeno dell’ibridazione e la necessità di «Mettere in campo tutte le migliori competenze e capacità gestionali per preservare l’integrità genetica del lupo. Ma non solo, è necessario informare e sensibilizzare l’opinione pubblica sul rischio di estinzione genomica».

Ciucci conclude: «E’ questo un concetto molto più difficile da comprendere e condividere di quanto non lo sia stato il rischio di estinzione demografica quando, nei primi anni ’70, l’Italia si è detta favorevole alla protezione legale della specie ci. “Paradossalmente, 50 anni più tardi, è la stessa identità genetica del lupo che è messa a rischio come conseguenza delle dinamiche espansive della specie, dell’elevato numero di cani vaganti e dell’inerzia gestionale».

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