Il ruolo della tettonica a placche nello sviluppo della vita sulla Terra
Nuove analisi spettroscopiche della composizione delle rocce di una delle aree geologiche più antiche del pianeta, la regione australiana di Pilbara, suggeriscono che la crosta terrestre primigenia si sia frantumata intorno a 3,2 miliardi di anni fa, innescando la tettonica a placche che, regolando la composizione dell’atmosfera, è stata essenziale per l’evoluzione di forme di vita complesse
di Howard Lee/Quanta Magazine
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Nel 2016 i geochimici Jonas Tusch e Carsten Münker hanno staccato a martellate quasi 500 chilogrammi di rocce nell’outback australiano, il vasto cuore semidesertico del continente, e le hanno spedite a Colonia, in Germania. Dopo averle segate, frantumate, dissolte e analizzate per cinque anni, hanno estratto da quelle rocce un segreto che nascondevano da tempo immemorabile: l’era di inizio della tettonica a placche.
Il guscio fratturato della Terra, formato da placche rigide e interconnesse, è unico nel sistema solare. Gli scienziati sono sempre più convinti che sia legato alle altre caratteristiche speciali del nostro pianeta, come l’atmosfera stabile, il campo magnetico protettivo e il campionario di vita complessa. Ma i geologi discutono da tempo su quando di preciso la crosta terrestre si sia spezzata in placche: le ipotesi concorrenti vanno dal primo dei 4,5 miliardi di anni del pianeta a un qualche momento nell’ultimo miliardo. Queste stime determinano scenari completamente diversi dell’influenza della tettonica a placche sul resto sulla Terra.
La diffusione, la rottura e l’immersione delle placche tettoniche influenzano la geografia, ma anche molto altro. Il riciclo della superficie terrestre aiuta a regolare il clima, mentre la formazione di continenti e montagne immette nell’ecosistema sostanze nutritive vitali. In effetti,se cominciò abbastanza presto, la tettonica a placche potrebbe essere stata un elemento chiave nell’evoluzione della vita complessa. E, per estensione, le placche in movimento potrebbero essere un prerequisito per le forme di vita avanzate anche su pianeti remoti.
Ora uno studio sulle rocce dell’outback australiano, condotto da Tusch, Münker e altri autori, e pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”, ha catturato “un’istantanea” dell’avvento della tettonica a placche, dice Alan Collins, geologo all’Università di Adelaide, in Australia. L’analisi eseguita dal team sugli isotopi di tungsteno nelle rocce dà indizi su com’era la Terra durante la transizione verso la tettonica a placche, intorno a 3,2 miliardi di anni fa.
Le scoperte rafforzano altre prove indiziarie accumulate nell’ultimo decennio, che indicano quella data e – come afferma il petrologo dell’Università di Oxford Richard Palin – “sostengono il consenso crescente nella comunità dei geologi sul fatto che la tettonica a placche si sia instaurata su scala globale” intorno a tre miliardi di anni fa. “Ci sono molte persone diverse – ha detto Collins – che da prospettive molto diverse arrivano a concordare su un valore tra 3,2 e tre miliardi di anni”.
Il motore della Terra
Quando nel 1912 il geologo Alfred Wegener ipotizzò per la prima volta la teoria della deriva dei continenti, molti dei suoi colleghi la considerarono assurda. Come era possibile che masse terrestri gigantesche si muovessero? Wegener non riuscì a individuare un meccanismo in grado di spostare i suoi continenti alla deriva.
E in effetti trascorse ancora mezzo secolo prima che i geologi capissero come la convezione all’interno del mantello terrestre – lo spesso strato di roccia calda tra la crosta e il nucleo – muove le placche in superficie. Alla fine dimostrarono che queste placche – 15 principali e decine di altre più piccole – si separano lungo dorsali in mezzo agli oceani, si spostano con il flusso del mantello, si sfregano tra loro ai margini e si immergono di nuovo nel mantello nelle “zone di subduzione”. “La tettonica a placche costituisce un modo molto organizzato di muovere la superficie”, commenta Carolina Lithgow-Bertelloni, geofisica all’Università della California a Los Angeles. “Allora si può capire perché i terremoti avvengano proprio là dove avvengono, perché le montagne siano proprio là dove sono.”
Nei decenni trascorsi da allora, gli scienziati sono arrivati a capire che l’atmosfera, il campo magnetico, il clima stabile e la biodiversità della Terra sono tutti collegati alla tettonica a placche. “È ciò che fa funzionare il nostro pianeta proprio nel modo in cui funziona”, aggiunge Lithgow-Bertelloni.
Per prima cosa, la tettonica a placche aiuta la Terra a mantenere un clima abitabile da miliardi di anni nonostante il graduale aumento di luminosità del Sole. Il nostro clima temperato deriva in gran parte dalle reazioni chimiche tra l’anidride carbonica nell’aria e i minerali silicati, che lentamente riducono il livello del gas serra nell’atmosfera seppellendolo nei sedimenti. Gran parte di quelle reazioni tra silicati e anidride carbonica avviene sulle pendici delle montagne generate dalle collisioni tra placche.
Inoltre il riciclo del materiale tra il mantello, la crosta, gli oceani e l’atmosfera assicura un approvvigionamento continuo di elementi essenziali per la vita. La tettonica a placche raffina il mantello, portando elementi come il fosforo ad accumularsi in superficie sotto forma di crosta continentale. Questi elementi fertilizzano la vita nelle acque degli oceani quando gli agenti atmosferici erodono le montagne, portando materiale verso il mare. E i continenti stessi offrono un terreno soleggiato per nuove specie.
Un aspetto non meno importante è che la convezione del mantello permette al nucleo terrestre di rilasciare calore e così lo aiuta a generare un campo magnetico. Questo si estende nello spazio ben oltre la Terra, e contribuisce a evitare che l’atmosfera sia progressivamente “erosa” dalle tempeste solari.
Durante la sua infanzia però la Terra era diversa. Il decadimento radioattivo aveva reso l’interno della Terra primordiale molto più caldo di quanto sia oggi, quindi la sua crosta era plastica. Da decenni gli scienziati discutono su quando il nucleo si sia raffreddato abbastanza da permettere alla crosta di indurirsi formando placche, che cominciarono a muoversi, spezzarsi, scontrarsi e scivolare l’una sotto l’altra. Sapere quando avvenne quella transizione fatidica “ci permetterebbe di capire meglio che cosa provocò certi cambiamenti nell’evoluzione della vita, come siamo arrivati al sistema attuale… come funziona oggi il nostro pianeta”, dice Lithgow-Bertelloni.
La documentazione nelle rocce
Non è facile decifrare gli anni di formazione del nostro pianeta. Le rocce risalenti a miliardi di anni fa sono non solo rare, ma anche torturate dal tempo e dalla tettonica. Danno informazioni sul passato frammentarie e potenzialmente fuorvianti.
Secondo vari scienziati la tettonica a placche prese il via almeno quattro miliardi di anni fa. La loro teoria si basa su minuscoli cristalli, risalenti a quell’epoca, le cui caratteristiche chimiche somigliano a quelle delle rocce attuali prodotte nelle zone di subduzione. Altri ricercatori però obiettano che quei cristalli potrebbero essersi formati in altri modi.
Altri hanno ipotizzato che la tettonica a placche sia iniziata in tempi geologicamente recenti. Indicano tipi di roccia noti per essersi formati in zone di collisione tra placche moderne che, a quanto pare, non hanno mai più di 0,7 miliardi di anni. Secondo il loro ragionamento, se non ci sono esempi antichi di queste rocce anche la tettonica a placche deve essere recente.
L’aspetto di quelle rocce però potrebbe riflettere cambiamenti avvenuti dopo l’inizio della tettonica a placche, per esempio il lento raffreddamento dell’interno della Terra.
Secondo i ricercatori, il disaccordo sulla cronologia illustra, entro certi limiti, come la stessa tettonica a placche sia cambiata nel corso del tempo. Invece di un cambiamento improvviso, probabilmente l’attività tettonica ha subito un’evoluzione graduale verso la sua forma moderna. Ciò nonostante, dati significativi raccolti nell’ultimo decennio portano a ritenere che circa 3,2 miliardi di anni fa, a metà dell’eone archeano, quell’evoluzione abbia avuto un netto punto di svolta, come è testimoniato da vari tipi di prove.
I traccianti geochimici indicano che, dopo quel periodo, l’ossigeno, l’anidride carbonica e l’acqua cominciarono a muoversi tra l’atmosfera e il mantello. Aumentò nettamente anche il volume della crosta continentale stabile. Solo i diamanti che si formarono dopo quella data contengono tracce di eclogite, una roccia formata con materiale trascinato giù dalla superficie terrestre. E dalle testimonianze geologiche cominciano a scomparire le komatiiti, rocce laviche che erano estremamente calde quando furono eruttate: un ulteriore segnale che il mantello aveva cominciato a circolare.
Due lunghissimi articoli, pubblicati nel 2020 da team diversi (rispettivamente a prima firma Chris J. HawkesWorth e Richard M. Palin) hanno esaminato le prove, concludendo, in maniera indipendente l’uno dall’altro, che la tettonica a placche deve aver preso il via circa 3,2 miliardi di anni fa. La documentazione petrografica resta ambigua, e per alcuni il dibattito continua. Ma le nuove scoperte sul tungsteno – ha aggiunto Collins – offrono un’”impronta digitale chimica” a sostegno del consenso nascente.
Nel 2015, all’Università di Colonia, Tusch e Münker hanno ideato un nuovo modo per indagare sull’inizio della tettonica a placche. Si sono concentrati sul tungsteno-182, un isotopo del tungsteno che si formò in seguito al decadimento radioattivo dell’hafnio-182 entro 60 milioni di anni dalla formazione del sistema solare. “È un residuo dei primi 60 milioni di anni della Terra”, afferma Münker.
Il tungsteno-182 dovrebbe essere relativamente diffuso nelle rocce risalenti agli albori della storia terrestre. Una volta iniziata la tettonica a placche, però, i movimenti convettivi del mantello devono avere mescolato il tungsteno-182 con gli altri quattro isotopi di questo elemento, determinando nelle rocce livelli di tungsteno-182 uniformemente bassi.
Tusch e Münker hanno sviluppato un metodo nuovo ed efficace per estrarre minuscole tracce di tungsteno dalle rocce antiche, che sono poi andati a cercare. Per prima cosa hanno analizzato le rocce archeane raccolte nella regione di Isua, nell’ovest della Groenlandia. Tusch ha impiegato 11 mesi ad analizzare i campioni, ma alla fine i suoi dati sul tungsteno-182 erano uniformi, senza variazioni rilevanti tra i campioni. I ricercatori hanno ipotizzato che durante la loro storia le rocce della Groenlandia fossero state deformate e scaldate, e che quindi i loro dati geochimici fossero confusi.
Avevano bisogno di rocce migliori, e così sono andati nella regione di Pilbara in Australia occidentale. “Ci sono alcune delle rocce archeane meglio conservate di tutto il pianeta”, spiega Münker. “Non si sono scaldate molto rispetto a rocce simili di quel periodo.” “Volevo davvero trovare dei campioni che non dessero continuamente gli stessi dati”, racconta Tusch.
Guidato dall’altro autore Martin Van Kranendonk, dell’Università del Nuovo Galles del Sud, il team ha attraversato l’outback in autocarri fuoristrada, visitando affioramenti rosso ruggine dove l’antica roccia vulcanica e la vegetazione si imitano a vicenda: i cespugli di Triodia sugli affioramenti sono costituiti in parte da silice, che li rende spinosi e non commestibili, tranne che per le termiti. Il team ha staccato a martellate mezza tonnellata di rocce e lava promettenti risalenti a un periodo tra 2,7 e 3,5 miliardi di anni fa.
Tornato in Germania, Tusch si è messo al lavoro. Usando una sega apposita è arrivato alla roccia fresca all’interno di ciascun campione, quindi ha lucidato alcune fette riducendole a metà della larghezza di un capello umano per renderle traslucide e visibili al microscopio. Ha frantumato il resto e concentrato il tungsteno, per poi analizzare i suoi rapporti isotopici con uno spettrometro di massa. Nel corso di quasi due anni, a poco a poco sono arrivati i risultati. Stavolta i rapporti isotopici non erano uniformi. Tusch ricorda: “È stato molto bello”.
Le concentrazioni di tungsteno-182 erano elevate nelle rocce risalenti a oltre 3,3 miliardi di anni fa, prova del fatto che all’epoca il mantello non si stava ancora rimescolando. Poi i valori diminuirono per 200 milioni di anni, fino a raggiungere i livelli moderni 3,1 miliardi di anni fa al più tardi. Questo declino rispecchia la diluizione del segnale antico del tungsteno-182 quando il mantello sotto la regione di Pilbara cominciò a rimescolarsi. Quel rimescolamento dimostra che la tettonica a placche era iniziata. Presto la Terra, un mondo acquatico pieno di isole vulcaniche simili all’Islanda, si sarebbe trasformata in un mondo di continenti con montagne, fiumi e pianure alluvionali, laghi e mari poco profondi.
Un nuovo mondo adatto alla vita
La data di inizio, intorno ai 3,2 miliardi di anni fa, aiuta a chiarire come la tettonica a placche abbia influenzato la vita sulla Terra.
La vita era cominciata prima, oltre 3,9 miliardi di anni fa, e al più tardi 3,48 miliardi di anni fa nel Pilbara aveva iniziato a formare nei sedimenti piccoli cumuli simili a collinette, le stromatoliti. Ciò dimostra che la tettonica a placche non è indispensabile per una vita a un livello basilare.
Probabilmente però non è una coincidenza che la vita si sia diversificata proprio quando prese il via la tettonica a placche. Con… L’ARTICOLO CONTINUA QUI