Catastrofi «inevitabili» e catastrofi reali: i vulcani dei Caraibi

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Catastrofi «inevitabili» e catastrofi reali: i vulcani dei Caraibi

di Gianfilippo De Astis
www.ingvambiente.com

Antille, isole circondate da mari sul cui fondo leggendarie scorrerie di pirati hanno fatto sprofondare tesori stivati in vecchi galeoni spagnoli… Storie di secoli orsono, lette sui romanzi di Salgari e Defoe o seguite con trepidazione sullo schermo nelle numerose versioni cinematografiche dell’Isola del Tesoro.

Scomparsi corsari e ciurme arrembanti, il grande arcipelago caraibico fa ancora parlare di sé non solo per gli ottimi rum ma soprattutto per eventi non meno ricchi di pathos e colpi di scena di quelli pirateschi: le eruzioni vulcaniche. In realtà, solo una parte dello sterminato insieme di isole caraibiche è di origine vulcanica ed è quella delle Piccole Antille, orientata in direzione N-S, che si estende da Sombrero fino a Grenada (Figura 1) e rappresenta un classico arco vulcanico di subduzione, associato allo “scivolamento” della litosfera atlantica sotto la placca caraibica.

A partire dall’inizio del ’900, alcuni dei vulcani che costituiscono queste isole non hanno certo lesinato notizie, vicende appassionate, sofferenze e tragedie. E qualche eruzione o storia, lungo l’arco, merita senz’altro di essere ricordata.

Figura 1 – Antica mappa nautica (XVI sec.) dell’arcipelago delle Antille e del Mar dei Caraibi: a destra Le Piccole Antille, distribuite ad arco, con andamento N-S circa. Cerchio verde: Montserrat; cerchio giallo: Guadeloupe; cerchio blu: Martinique; cerchio rosso: St.Vincent.
Figura 1 – Antica mappa nautica (XVI sec.) dell’arcipelago delle Antille e del Mar dei Caraibi: a destra Le Piccole Antille, distribuite ad arco, con andamento N-S circa. Cerchio verde: Montserrat; cerchio giallo: Guadeloupe; cerchio blu: Martinique; cerchio rosso: St. Vincent.

Storie di vulcani esplosivi

Molti studiosi e appassionati di vulcanologia ricordano l’eruzione del vulcano Pelée (1902), se non altro per l’altissimo numero di morti (circa 29000!) che generò sull’isola di Martinica, nel settore centrale dell’arcipelago antillano (Figura 1). Nel maggio di quell’anno, nonostante un incremento dell’attività fumarolica e una serie di esplosioni avvenute ad aprile, quasi tutti gli abitanti della città di Saint-Pierre furono persuasi a non lasciare l’isola a causa delle elezioni politiche previste in quel periodo, ma invece di andare a votare perirono, investiti dai flussi piroclastici che il vulcano riversò sull’intero abitato…

Altri, forse meno, avranno in mente la lunga e mai sopita eruzione del vulcano Soufrière Hills (1995-2010, 2012, e oltre…) sull’isola di Montserrat, nella parte settentrionale dell’arco vulcanico (Figura 1). A differenza del Monte Pelée, quella sequenza di eventi causò negli anni “solo” poche decine vittime (Giugno 1997) ma modificò in maniera permanente la vita e la geografia dell’isola. Infatti, l’ex capitale, Plymouth, così come un ampio settore della parte meridionale dell’isola, compreso l’aeroporto, furono devastati dai flussi piroclastici e gran parte di quell’area è ancora oggi una “exclusion zone”, sepolta sotto uno spesso strato di ceneri e fango (Figura 2). Due terzi della variopinta popolazione di Montserrat – che le ondate migratorie avevano reso un magnifico mix di storia, cultura, cucina e narrativa afro-irlandese-britannica – fu costretta ad abbandonare l’isola, incapace di sostenere le turbolenze economiche causate da questi fenomeni su agricoltura e turismo e schiacciata dalla precarietà e dall’incertezza di nuove esplosioni. Così, nulla fu come prima.

Figura 2 - Impatto dei prodotti piroclastici sulla città di Plymouth, vent’anni dopo l’eruzione che la seppellì (Andrew Shiva/Wikipedia)
Figura 2 – Impatto dei prodotti piroclastici sulla città di Plymouth, capitale di Montserrat, vent’anni dopo l’eruzione che la seppellì (Andrew Shiva/Wikipedia)

Ma non era ancora l’epoca d’oro di Twitter e Facebook e le notizie correvano meno veloci, solo raramente accompagnate in tempo reale da filmati eclatanti (come questo, Montserrat 1995), per cui l’esplosione di un vulcano era dai più percepita come un terrificante e distante spettacolo della Natura.

Da qualche settimana, alla ribalta su una infinità di media, c’è il vulcano de La Soufriere, ubicato questo sull’isola di St. Vincent, nella parte meridionale delle Piccole Antille (Figura 1). Tra il 9 e il 10 Aprile, con una sequenza di almeno cinque potenti e violente esplosioni, più altre minori, ha mostrato a tutto il mondo come un vulcano possa oscurare il sole, trasformando il giorno in notte. Per una descrizione precisa di come si siano evoluti i fenomeni vulcanici, a partire da fine dicembre scorso fino ad oggi, con violenti esplosioni che ancora si susseguono, vi consiglio di leggere l’articolo del nostro Boris Behncke.

Qui però ci preme puntare lo sguardo sui (potenziali) pericoli di una eruzione come questa: caduta di ceneri e bombe in un raggio ampio, scorrimento e deposizione di calde e micidiali correnti piroclastiche (fino a 5-6 km di distanza e più dal cratere), formazione di lahars. Come in tutte le eruzioni fin qui rievocate (e per tutti i vulcani esplosivi del mondo), una delle questioni più delicate e complesse, è quella di decidere se evacuare o meno la popolazione. E nel caso, fin dove e fino a quando?

A La Soufriere, già la mattina del 9 aprile erano state evacuate 15-20000 persone, residenti nelle zone rosse e arancio della Mappa di Pericolosità (vulcanica) dell’isola, quelle a massimo rischio, con una sola buona arteria di trasporto disponibile da sud a nord. Su questo fronte le cronache ci dicono che la tempistica (imposta dalla escalation dei fenomeni vulcanici) è tutta condensata in un giorno (l’8 aprile 2021), allorquando il primo ministro dell’Isola e il responsabile dell’organizzazione che si occupa delle emergenze (la National Emergency Management Organization – NEMO) dichiarano l’Allerta Rossa (Figura 3) e diramano un ordine di evacuazione della popolazione via TV, radio e social-media.

Figura 3a-3b: Infografiche di allerta sull’isola di St. Vincent, accompagnate da questo messaggio: The volcanic alert level in St. Vincent is now at RED. Continue to follow UWI Seismic Research Centre and NEMO St. Vincent and the Grenadines for official updates. (tradotto: Il livello di allerta a St. Vincent e ora ROSSO. Continuate a seguire gli aggiornamenti ufficiali forniti dall’UWI Seismic Research Centre e da NEMO per St. Vincent e le Grenadines).
Figura 3 – Infografiche di allerta sull’isola di St. Vincent, accompagnate da questo messaggio: The volcanic alert level in St. Vincent is now at RED. Continue to follow UWI Seismic Research Centre and NEMO St. Vincent and the Grenadines for official updates. (traduzione: Il livello di allerta a St. Vincent e ora ROSSO. Continuate a seguire gli aggiornamenti ufficiali forniti dall’UWI Seismic Research Centre e da NEMO per St. Vincent e le Grenadines).

L’annuncio via Tweet di questa “concreta possibilità di disastro” avviene a seguito di una comunicazione tra le Autorità competenti ed il Prof. Richard Robertson dell’Università delle West Indies (UWI). In una conferenza stampa di alcune ore prima Robertson aveva illustrato che dalle 3 fino alle 10 del mattino di giovedì 8, le stazioni di monitoraggio avevano registrato attività sismica in prossimità  della superficie associata a segnali correlabili con terremoti di lungo periodo. Tutto ciò, dice Robertson nella conferenza, significa che magma fresco sta cercando di raggiungere la superficie e il vulcano evolve verso «una fase esplosiva». A ridosso dei fatti appena descritti, David Pyle – vulcanologo dell’Università di Oxford – ha commentato che: «… niente batte l’esperienza sul campo, nel senso di avere scienziati che hanno un’idea di ciò che i segnali ti stanno dicendo sulla base di conoscenze esperienziali».

Appaiono quindi determinanti tanto il ruolo delle istituzioni scientifiche quanto il circolo delle comunicazioni che coinvolgono l’apparato civile-amministrativo, che deve prendere le decisioni finali, e le comunità di residenti. Se infine si tiene presente che gli scienziati… L’ARTICOLO CONTINUA QUI

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