L’aumento delle emissioni del dopo Covid-19 sono già realtà: in Cina sono più alte del 2019
Ronchi: «Occorre vincere la sfida con la Cina, dimostrando che con un Green deal sul modello europeo vi può essere una ripresa economica attuando misure climatiche»
di Luca Aterini
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Le emissioni italiane di gas serra sono crollate del 9,8% nell’ultimo anno, ma si tratta in larghissima maggioranza di un’eccezione legata a Covid-19 – la crisi pandemica pesa per almeno il 70% sul dato – e non di cambiamenti strutturali apportati per rendere più pulita la nostra economia. Il rischio è chiaro: non appena il motore del Paese comincerà a marciare ci potrà essere un rimbalzo nelle emissioni. Un rischio che in Cina è già realtà, come mostra il rapporto Global energy review: CO2 emissions in 2020 pubblicato dall’Agenzia internazionale per l’energia (Iea).
Secondo la Iea nel 2020 le emissioni di CO2 legate al comparto energetico – cui sono attribuibili circa l’80% di tutte le emissioni di CO2 antropogeniche – sono diminuite del 5,8% a livello globale, rispetto al 2019: il calo più forte mai registrato in un solo anno. Si tratta di 2 miliardi di tonnellate in meno, per oltre la metà (-1,2GtCO2) legate al crollo di consumi petroliferi indotto dalle limitazioni imposte alla mobilità in tutto il mondo.
Si tratta però di andamenti molto differenti a seconda dei Paesi considerati. L’Ue e gli Usa – così come l’Italia – hanno sperimentato crolli nelle emissioni di CO2 di circa il 10%, mentre in Cina già a fine 2020 si era raggiunto un livello più alto di quello relativo all’anno precedente.
Come dettagliano dalla Iea, in Cina – il più grande emettitore di CO2 al mondo e il primo paese colpito dalla pandemia Covid-19 – le emissioni di CO2 sono diminuite del 12% a febbraio rispetto allo stesso mese del 2019, poiché l’attività economica è stata ridotta. Ma già ad aprile 2020 la ripresa economica ha portato le emissioni di CO2 al di sopra del livello del 2019: da lì fino al 31 dicembre le emissioni cinesi sono state in media del 5% superiori ai livelli del 2019.
Complessivamente, la Iea stima che nel 2020 le emissioni cinesi di CO2 sono state dello 0,8% (equivalenti a circa 75 Mt CO2) superiori ai livelli valutati a fine del 2019.
Come spiega l’ex ministro dell’Ambiente italiano Edo Ronchi, oggi alla guida delle Fondazione per lo sviluppo sostenibile, questo significa che «la Cina, con la sua ripresa consistente di emissioni di gas serra, conferma di essere il principale problema oggi per l’attuazione di tale Accordo per il clima. Con il 19% della popolazione e con la seconda economia mondiale, la Cina ha emesso nel 2019 il 30,3% della CO2 totale (l’8,7% la Ue e il 13,4% gli Usa), con emissioni pro-capite ormai a 8,1 tonnellate all’anno, superiori di quelle europee (6,5 ton), anche se ancora inferiori di quelle degli USA (15,5 ton)».
Il timore più grande, però, è che l’esempio cinese sia presto seguito da quello di altri Paesi. Del resto non sarebbe una novità: anche nel 2009 infatti, a causa della crisi finanziaria, le emissioni globali di CO2 calarono dell’1,44% lasciando ben sperare sulle possibilità di introdurre un modello di sviluppo più sostenibile. Poi nel 2010 crebbero del 5,13%, ovvero molto più velocemente rispetto al pre-crisi.
In questo contesto, la Cina ha fissato obiettivi intermedi per il calo delle emissioni al 2030 e soprattutto si è impegnata a raggiungere la carbon neutrality entro il 2060 – ovvero con soli dieci anni di ritardo rispetto al target europeo – ma al momento i numeri raccontano un’altra storia.
«L’esperienza cinese dimostra che, con l’uscita dal Covid-19, la ripresa economica e quella delle emissioni di gas serra tendono a procedere insieme: occorre quindi agire in fretta con politiche e misure che alimentino l’economia riducendo, e non aumentando, le emissioni. Occorre vincere la sfida con la Cina – argomenta Ronchi – dimostrando che con un Green Deal, sul modello europeo, vi può essere una ripresa economica attuando misure climatiche. E non subendo il suo dumping ambientale, ma istituendo una border carbon tax sulle importazioni in Europa ad alto contenuto di carbonio».
Del resto guardando alla storia dell’intera industrializzazione, finora legata a doppio filo con quella delle emissioni antropogeniche di gas serra, è proprio l’Europa a risultare responsabile di emissioni globali cumulative senza precedenti nella misura del 22%, subito dietro agli Stati Uniti. Anche per cambiare rotta l’esempio, concreto, non può che partire da qui.