La zona intertropicale diventerà davvero inabitabile entro qualche decennio?
Se non riusciremo a mantenere l’aumento della temperatura entro gli 1,5° C, enormi migrazioni di massa e gravi conseguenze economiche e per la salute umana
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Lo studio “Projections of tropical heat stress constrained by atmospheric dynamics”, pubblicato recentemente su Nature Geoscience da Yi Zhang, Isaac Held e Stephan Fueglistaler del Program in Atmospheric and Oceanic Sciences (AOS) della Princeton University, affronta il problema dello stress da caldo nei tropici in un mondo in via di riscaldamento.
I ricercatori ricordano che «La capacità degli esseri umani di regolare il calore corporeo dipende dalla temperatura e dall’umidità dell’aria circostante e lo stress da cado si verifica quando è troppo caldo e umido. Esiste un limite superiore di sopravvivenza, oltre il quale gli esseri umani non sono più in grado di raffreddarsi efficacemente. Questa soglia viene raggiunta quando la temperatura del bulbo umido – una misura della temperatura e dell’umidità dell’aria – supera i 35° C. Si teme che il riscaldamento climatico in corso possa provocare eventi di caldo estremo che superino questo limite».
Kristina Dahl, senior climate scientist per il programma clima ed energia dell’Union of Concerned Scientists, che non ha partecipato allo studio, spiega che « L’idea generale è che il corpo non reagisce solo alla temperatura, risponde all’umidità. Il corpo si raffredda principalmente attraverso la traspirazione e l’evaporazione del sudore sulla pelle. A un certo livello di calore-umidità, diventa “termodinamicamente difficile” che questo si produca».
Il team guidato da Yi hanno analizzato le dinamiche atmosferiche che potrebbero portare a temperature massime di bulbo umido nelle regioni tropicali comprese tra 20° S e 20° N. Lo studio che ne è venuto fuori rappresenta una combinazione di teoria, osservazioni e modelli climatici globali che arriva alla conclusione che «La temperatura massima annuale del bulbo umido aumenterà uniformemente di 1° C per ogni 1° C di riscaldamento medio tropicale. Questi risultati suggeriscono che limitare il riscaldamento globale a 1,5° C potrebbe impedire alle regioni tropicali tra 20° S e 20° N dell’equatore di raggiungere il limite di adattabilità umana». Si tratta di un’area che comprende gran parte dell’Africa, l’India e l’Asia del sud-est Tuttavia, gli autori avvertono che «Saranno necessarie ulteriori ricerche, poiché gravi impatti sulla salute possono ancora verificarsi ben al di sotto di questo limite»..
Quindi, se il riscaldamento globale supererà gli 1,5° C, una grande area della zona intertropicale subirà un caldo insopportabile per gli esseri umani, Non potrebbe esserci dimostrazione migliore dell’inguiustizia climatica, visto che i Paesi che saranno più colpiti da questo riscaldamento insostenibile sono anche quelli che hanno meno responsabilità dell’aumentio delle emissioni di gas serra che lo stanno causando.
Al contrario, i Paesi che ne portano la maggiore responsabilità, quelli che nell’ultimo secolo hanno emesso più gas serra, saranno quelli ad essere meno colpiti dal caldo invivibile.
Lo studio non si occupa in realtà tanto dell’aumento della temperatura quanto delle sue conseguenze socio-economiche, ambientali e sanitarie. Yi Zhang fa notare che anche un riscaldamento al di sotto del livello di massimo adattabilità umana avrà ugualmente dei forti impatti sulla salute delle persone. Quindi, per i Paesi ingtertropicali un riscaldamento di “soli” 1,5° sarà già una sfida difficile da affrontare e che quindi ogni decimo di grado in più conta.
La Dahl commenta: «I risultati traducono un obiettivo politico in un impatto potenziale sul mondo reale». E la cosa che viene subito a mente sono le migrazioni di massa che potrebbe innescare un riscaldamento insostenibile in un’area così vasta e a volte densamente abitata.
L’ineguaglianza tra i Paesi del Nord sviluppati e quelli del Sud della fascia intertropicale è strutturale e funzionale allo sfruttamento delle risorse a basso costo e i Paesi tropicali soffrono molto di più per fenomi meteorologici estremi come ondate di caldo letali, uragani, siccità, alluvioni… Un mix economico-climatico che, globalmente, fa già fin d’ora che questi Paesi intertropicali siano tra i meno sviluppati e più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Per questi Paesi il fallimento dell’obiettivo di 1,5° C dell’Accordo di Parigi significherebbe carestie, guerre civili, migrazioni di massa… Rischi che anche i Paesi sviluppati farebbero bene a prendere in considerazione, visto che le conseguenze geopolitche e socio-economiche colpiranno a cascata anche noi.