Gli aerosol presenti nelle nubi possono devastare i ghiacci polari
Lo iodio è una potente fonte di aerosol, finora trascurata, che crea nuvole in ambienti incontaminati e remoti: questo processo naturale contribuisce al riscaldamento del pianeta, accelerando la perdita di ghiaccio marino nelle regioni polari. Lo ha stabilito un nuovo studio condotto con l’esperimento CLOUD del CERN, aprendo la strada a più precise proiezioni dell’incremento delle temperature
di Max Kozlov/Quanta Magazine
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Per i climatologi, le nuvole sono soffici e potenti paradossi: possono riflettere il calore del Sole ma contemporaneamente intrappolarlo nell’atmosfera; possono essere prodotte dall’incremento delle temperature ma possono anche amplificarne gli effetti. Ora, studiando la chimica atmosferica che produce le nuvole, alcuni ricercatori hanno scoperto un processo naturale inaspettatamente potente che innesca la loro crescita. Suggeriscono inoltre che, mentre la Terra continua a riscaldarsi a causa dell’aumento dei livelli di gas serra, questo processo potrebbe essere un nuovo importante meccanismo di accelerazione della perdita di ghiaccio marino ai poli, di cui attualmente non tiene conto alcun modello climatico globale.
La scoperta è emersa dagli studi sugli aerosol, le minuscole particelle sospese nell’aria su cui il vapore acqueo si condensa per formare le nuvole. Come descritto questo mese in un articolo su “Science”, i ricercatori hanno identificato una potente fonte di aerosol, finora trascurata, che crea nuvole in ambienti incontaminati e remoti: lo iodio.
L’impatto climatico completo di questo meccanismo deve ancora essere valutato attentamente, ma minuscole modifiche nel comportamento degli aerosol, che sono considerati come input nei modelli climatici, possono avere enormi conseguenze, secondo Andrew Gettelman, senior scientist del National Center for Atmospheric Research (NCAR) che collabora nella gestione dei modelli climatici dell’organizzazione e che non era coinvolto nello studio. E una conseguenza “sarà sicuramente quella di accelerare la fusione nella regione artica”, ha detto Jasper Kirkby, fisico sperimentale del CERN che guida l’esperimento Cosmics Leaving Outdoor Droplets (CLOUD), coautore del nuovo studio.
Proprio come la rugiada si condensa sui fili d’erba, il vapore acqueo nell’atmosfera può condensare intorno agli aerosol per creare le nuvole. Due tipi di aerosol possono agire come nuclei di condensazione delle nuvole (CCN): gli aerosol primari, che possono essere minuscole particelle di quasi ogni tipo, come batteri, sabbia, fuliggine o particelle di sale marino; e gli aerosol secondari, che sono tracce di gas che partecipano a un processo noto come “formazione di nuove particelle”. Se le condizioni atmosferiche sono quelle giuste, la luce del Sole e l’ozono possono innescare una reazione a catena che fa sì che gli aerosol secondari si aggreghino e si trasformino rapidamente in una particella con più di un milione di molecole.
Tuttavia, i dettagli di quali sostanze chimiche finiscano per diventare CCN e come esattamente ciò accada sono rimasti in gran parte un mistero, anche se si pensa che le particelle composte da aerosol secondari costituiscano più della metà di tutti i CCN. Con più CCN, le nuvole tendono a essere più durature, più ampie e più riflettenti – caratteristiche che possono cambiare in modo tangibile la temperatura della Terra, ma che sono state notoriamente difficili da includere nei modelli climatici, secondo Charles Brock, fisico e ricercatore presso la National Oceanic and Atmospheric Administration.
Gli scienziati hanno osservato questo nuovo processo di formazione di particelle con gas come l’acido solforico, in particolare sulle aree urbane, dove questa sostanza chimica è abbondante, e ipotizzano che lo smog nasca in gran parte come risultato della formazione di nuove particelle. Ma recenti misurazioni hanno scoperto che questo processo non è limitato alle sostanze chimiche antropogeniche: può anche verificarsi nell’atmosfera su luoghi più selvaggi e meno abitati. “Due terzi della superficie mondiale sono oceani”, ha detto Brock. “La maggior parte delle nuvole si forma sopra l’oceano, quindi è proprio necessario comprendere questi processi in aree remote per essere in grado di capire il clima”.
I ricercatori hanno osservato in aree remote dell’Irlanda, della Groenlandia e dell’Antartide che lo iodio, che viene rilasciato naturalmente dallo scioglimento del ghiaccio marino, dalle alghe e dalla superficie dell’oceano, può anche essere un fattore significativo della formazione di nuove particelle. Ma i ricercatori si chiedevano ancora come lo iodio molecolare si trasformi in un CCN, e quanto efficientemente lo faccia, rispetto ad altri aerosol secondari. “Anche se l’esistenza di queste particelle era nota, non siamo stati in grado di collegare una concentrazione misurata nell’atmosfera a una formazione prevista di particelle”, ha detto Kirkby.
Per ottenere delle risposte, hanno usato la camera CLOUD del CERN, una camera per aerosol gigante – è larga tre metri e alta quasi quattro – che cerca di ricreare l’atmosfera terrestre con estrema precisione. (La camera è stata originariamente costruita per indagare il possibile legame tra la formazione delle nuvole e i raggi cosmici galattici). Per otto settimane di fila, decine di scienziati hanno lavorato tutto il giorno, in turni di otto ore, regolando la temperatura e la composizione dell’atmosfera artificiale nella camera, osservando con ansia cosa succedeva quando lo iodio veniva aggiunto al mix. Gli scienziati hanno potuto osservare l’evoluzione delle particelle nella camera in tempo reale: “Le stiamo guardando letteralmente minuto per minuto”, ha detto Kirkby. “È un ritorno agli esperimenti di fisica vecchio stile”.
Gli scienziati del CERN hanno scoperto che le particelle di aerosol fatte di acido iodico potrebbero formarsi molto rapidamente, anche più rapidamente dei tassi di acido solforico mescolato con ammoniaca. Infatti, lo iodio era un sito di nucleazione così efficace che i ricercatori hanno avuto difficoltà a rimuoverlo dai lati della camera per gli esperimenti successivi, che richiedevano un ambiente completamente pulito.
I risultati sono importanti per comprendere la chimica fondamentale dell’atmosfera che è alla base dei processi di formazione delle nuvole, ha detto Kirkby, ma anche come un segnale di allarme: le emissioni globali di iodio sono… L’ARTICOLO CONTINUA QUI