I segreti di Marte racchiusi nella polvere di Phobos
L’origine dei due satelliti di Marte, Phobos e Deimos, resta un mistero. Per contribuire alla sua soluzione la Jaxa sta organizzando per il 2024 il lancio della missione Mmx, che avrà il compito di prelevare un campione dalla superficie di Phobos, mappare Deimos, e spedire verso la Terra il campione raccolto. Tuttavia, un recente studio fatto all’Università di Berkeley in California, ha mostrato che l’analisi della regolite di Phobos potrebbe dare un notevole contributo per avere informazioni anche sulla composizione dell’atmosfera nel passato di Marte
di Albino Carbognani
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Attorno al pianeta Marte orbitano due piccoli satelliti naturali, Phobos e Deimos, scoperti dall’astronomo statunitense Asaph Hall durante la grande opposizione del 1877. Entrambi i satelliti si muovono su orbite circolari poste nel piano equatoriale di Marte. Phobos è il più vicino al pianeta e si muove ad una quota di appena seimila km dalla superficie di Marte. Muovendosi così vicino al pianeta, questo satellite impiega appena 7,65 ore per descrivere un’intera orbita, meno della durata del giorno marziano: visto dalla superficie sorge a ovest e tramonta a est, il contrario di quello che avviene normalmente con gli altri corpi celesti. Inoltre Phobos, per effetto delle forze di marea esercitate da Marte, mostra sempre lo stesso emisfero al pianeta, così come la Luna mostra sempre la stessa faccia alla Terra.
Phobos, la cui origine – insieme a quella di Deimos – è controversa, ha una forma irregolare con dimensioni 27 x 22 x 18 km. Le caratteristiche spettrali della sua superficie indicano che è simile agli asteroidi di tipo C, il tipo più primitivo che popola la zona esterna della Fascia principale degli asteroidi. Questo fatto porterebbe e ipotizzare che Phobos sia un asteroide di tipo C catturato dal pianeta. Tuttavia, è difficile spiegare il meccanismo di cattura o la successiva evoluzione dell’orbita nel piano equatoriale di Marte. Infatti affinché un pianeta possa catturare un satellite proveniente dall’infinito è necessaria la presenza di un terzo corpo altrimenti, per la conservazione dell’energia, il potenziale satellite – dopo avere fatto il flyby con il pianeta – torna all’infinito. Un’altra ipotesi è che Phobos si sia formato direttamente attorno a Marte, ossia che sia un residuo del periodo dell’accrezione planetaria.
Una teoria alternativa considera invece Phobos come formato da materiale proveniente da Marte stesso, scagliato nello spazio in seguito alla caduta di un grosso asteroide sulla superficie del Pianeta rosso. Una teoria rafforzata dalla scoperta di fillosilicati nella composizione di Phobos, un composto del silicio presente in abbondanza sulla superficie di Marte ma non sugli asteroidi.
Per contribuire a risolvere il dibattito sulla misteriosa origine di Phobos (e Deimos), la Japan Aerospace eXploration Agency (Jaxa), si sta preparando a inviare la sonda Martian Moons eXploration (Mmx), il cui lancio è previsto nel 2024. Lo scopo principale della missione sarà raccogliere i primi campioni della superficie di Phobos per riportarli sulla Terra. Per la Jaxa si tratta di una missione simile a quella della sonda Hayabusa-2, che ha riportato al suolo dei campioni dell’asteroide Ryugo.
Tuttavia, questi campioni potrebbero rivelare molto più dell’origine di Phobos se Mmx dovesse atterrare sul lato che è sempre rivolto verso Marte. Ne sono convinti Quentin Nénon e colleghi (Space Sciences Laboratory, Università della California, Berkeley), in un articolo uscito su Nature Geoscience lunedì scorso. L’articolo si basa sull’analisi dei dati raccolti dalla sonda Mars Atmosphere and Volatile EvolutioN della Nasa (Maven), che per più di sei anni ha raccolto dati dall’orbita di Marte per aiutare i ricercatori a capire come il pianeta abbia perso la sua atmosfera e per fornire informazioni sull’evoluzione del clima marziano. Il gruppo di Berkeley ha usato i dati raccolti sugli ioni presenti nell’orbita di Phobos dallo strumento Static (Suprathermal and Thermal Ion Composition instrument) di Maven. Lo strumento Static è in grado di misurare sia l’energia cinetica sia la velocità delle particelle in arrivo e ciò ha permesso di calcolare la massa degli ioni. Sulla base delle diverse masse misurate è stato possibile determinare quali particelle provenissero da Marte piuttosto che dal Sole e stimare quanti ioni marziani potrebbero raggiungere la superficie di Phobos e quanto in profondità possano andare prima di venire bloccati.
L’analisi dimostra che le rocce dell’emisfero di Phobos rivolto verso Marte sono state sottoposte per millenni al bombardamento di atomi e molecole marziane. In pratica la superficie di Phobos ha funzionato un po’ come una specie di “spugna”, imbevendosi di una frazione dell’atmosfera persa continuamente nello spazio dal Pianeta rosso. Dai calcoli fatti risulta come lo strato più superficiale di Phobos – entro diverse centinaia di nanometri, ossia 250 volte meno profondo del diametro di un capello umano – possa contenere da 20 a 100 volte più ioni marziani rispetto alla regolite che si trova sull’emisfero opposto a Marte. Di conseguenza, con i campioni più superficiali di Mmx si potrà analizzare materiale contenente un archivio della passata atmosfera di Marte, mentre con i campioni degli strati più profondi si potrà analizzare la composizione primitiva di Phobos. Insomma i classici due piccioni con una fava.
L’analisi dei dati di Maven ha confermato che Phobos può raccogliere una frazione degli ioni provenienti dall’atmosfera di Marte, validando un modello di interazione Marte-Phobos sviluppato in precedenza da Andrew Poppe, coautore dell’articolo. Ora si spera che questa scoperta possa avere un impatto anche sulle attività scientifiche della missione Mmx: l’atterraggio sull’emisfero di Phobos rivolto verso Marte potrebbe aprire un vaso di Pandora.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Geoscience l’articolo “Implantation of Martian atmospheric ions within the regolith of Phobos”, di Q. Nénon, A. R. Poppe, A. Rahmati e J. P. McFadden