Scoperto il quasar più antico e più distante dellìuniverso, a oltre 13 miliardi di anni luce

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Scoperto il quasar più antico e più distante dellìuniverso, a oltre 13 miliardi di anni luce

Ecco il nuovo quasar più antico dell’universo, il più distante. Un mostro cosmico alimentato da un buco nero supermassiccio, oltre 1.6 miliardi di volte più massiccio del Sole e oltre mille volte più luminoso della nostra intera galassia, che sta inghiottendo l’equivalente in massa di 25 Soli ogni anno. Tutti i dettagli su ApJ Letters
di Valentina Guglielmo   
www.media.inaf.it

Registrato il nuovo record in distanze cosmiche. A segnarlo, ancora e sempre lui, un distantissimo e luminosissimo quasar. A renderlo visibile agli esploratori del cosmo, il suo buco nero centrale supermassiccio: oltre 1.6 miliardi di volte più massiccio del Sole e oltre mille volte più luminoso dell’intera Via Lattea. La nuova distanza, in redshift, è pari a 7.6423±0.0013. Tradotto in anni luce, siamo oltre i 13 miliardi. L’universo allora aveva poco meno di settecento milioni di anni. A scovarlo e misurarne la distanza in modo precisissimo, un team internazionale di astronomi che si è servito delle incredibili e ormai irrinunciabili potenzialità dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (Alma) in Cile, del telescopio Magellan Baade di sei metri e mezzo, del telescopio Gemini North e W.M. Keck alle Hawaii, e infine del telescopio Gemini South in Cile. La nuova scoperta batte il precedente record di distanza stabilito tre anni fa per un oggetto della stessa classe, e gli scienziati hanno presentato le loro scoperte all’incontro dell’American Astronomical Society, ora in corso virtualmente, e in un articolo accettato per la pubblicazione dall’Astrophysical Journal Letters.

Non c’è di che adagiarsi sugli allori, però: come accade nelle migliori competizioni sportive, stabilito un nuovo record, l’obiettivo immediato è quello di superarlo.

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Rappresentazione artistica con infografica del quasar J0313-1806, osservato solo 670 milioni di anni dopo il Big Bang. Crediti: NoirLab/Nsf/Ausa/J. da Silva

«È teoricamente possibile trovare oggetti a distanze maggiori», dice a Media Inaf Roberto Decarli, ricercatore all’Inaf di Bologna e coautore dello studio. «Inoltre, empiricamente, il fatto che ora conosciamo tre quasar a redshift vicino a 7.5, tutti con buchi neri nell’ordine del miliardo di masse solari, suggerisce che quasar con buchi neri un pochino più piccoli siano già presenti nell’Universo ancor più giovane».

Il problema però, spiega il ricercatore, è che questi oggetti meno massicci sono rari, via via più fiochi, e praticamente invisibili nell’ottico: caratteristiche che richiedono necessariamente l’ideazione di programmi osservativi volti a collezionare profonde immagini multi-banda in grandi aree del cielo – dell’ordine delle migliaia o decine di migliaia di gradi quadri – includendo anche la luce nel vicino infrarosso.

Oggetti come i quasar nascono quando la gravità di un buco nero supermassiccio nel nucleo di una galassia attira materia prossima al centro dando vita attorno ad esso a un disco orbitante di materiale surriscaldato. Questo processo rilascia enormi quantità di energia, rendendo il quasar estremamente luminoso, tanto da “oscurare” la luce emessa dal resto della galassia.

Al di là della scoperta, J0313-1806 – questo il nome dell’oggetto da record – è un prezioso rappresentante dei progenitori delle galassie massicce e potrebbe fornire elementi fondamentali per indagarne la nascita e, con essa, la formazione dei buchi neri supermassicci al loro interno. Il buco nero al centro infatti è due volte più massiccio di quello del precedente detentore del record, e la sua precocità rispetto all’età dell’universo porterebbe a escludere due dei modelli teorici messi a punto per spiegarne la formazione.

«I modelli più accreditati suggeriscono che i primi buchi neri supermassicci si formino dalle esplosioni delle prime stelle – che formano “semi” di 100-1000 masse solari – oppure dal collasso diretto di enormi masse di gas – e che possono generare buchi neri con una massa iniziale da centomila fino a un milione di volte la massa del Sole», continua Decarli, spiegando che questi processi sono in grado di creare i primi semi in una o due centinaia di milioni di anni. Da lì in poi, i semi crescono fino alle masse osservate dell’ordine del miliardo di masse solari, attraverso l’accrescimento di gas. Tuttavia, il gas in accrescimento disperde energia sotto forma di radiazione luminosa – per noi un vantaggio, dato che rende i quasar a noi rivelabili, ma per i quasar uno “svantaggio”, poiché potrebbe ostacolare l’accrescimento del buco nero stesso.

«Sarebbe questa crescita “autoregolata” a imporre un limite in termini di crescita per il buco nero. Ad esempio, in 400 milioni di anni un buco nero può crescere “solo” di quattro ordini di grandezza. Vuol dire che, nello scenario attuale, la massa iniziale del quasar appena scoperto doveva essere di circa 100mila masse solari a redshift 15: troppo per lo scenario di formazione che coinvolge la morte delle prime stelle», conclude Decarli. «Quindi, o invochiamo il secondo meccanismo – la creazione dal collasso diretto della riserva di gas – oppure richiediamo che l’accrescimento sia caratterizzato da una bassa efficienza radiativa – che il gas liberi, quindi, pochissima luminosità mentre precipita nel buco nero».

Non sono finite qui, le sorprese di J0313-1806. Le osservazioni di Alma hanno infatti fornito dettagli anche riguardo la galassia ospite – proprio quella “oscurata” dalla prorompente attività in corso nel suo centro – mostrando che essa sta formando nuove stelle a un ritmo 200 volte superiore a quello della Via Lattea, un tasso piuttosto alto in galassie di età simile, che indica che la galassia sta crescendo molto velocemente. Parallelamente, gli scienziati hanno calcolato dalla luminosità del quasar che il buco nero sta inghiottendo l’equivalente di 25 Soli ogni anno. L’energia rilasciata da questa incessante abbuffata, dicono gli esperti, sta probabilmente alimentando un potente flusso di gas ionizzato che si muove a circa il 20 per cento della velocità della luce. Sono proprio flussi in uscita come questo che privano poco a poco la galassia del combustibile necessario alla formazione di nuove stelle, finendo per arrestarla.

I buchi neri supermassicci al centro di galassie attive sono uno dei fenomeni più accreditati per spiegare le grandi galassie passive che si osservano nell’universo lontano. In J0313-1806, gli elementi di rilievo vi sono tutti: il buco nero centrale molto attivo, il vento generato da esso, l’elevato tasso di formazione stellare della galassia. Il “raffreddamento” – in termini di attività di formazione stellare, ma anche di spegnimento del buco nero centrale, che trovandosi senza più nulla mangiare arresterà la sua crescita – avviene in tempi successivi, ma la vera novità sta proprio nella datazione di questo fenomeno nella storia dell’universo.

Per saperne di più:

  • Leggi il preprint dell’articolo in uscita su The Astrophysical Journal LettersA Luminous Quasar at Redshift 7.642”, di Feige Wang, Jinyi Yang, Xiaohui Fan, Joseph F. Hennawi, Aaron J. Barth, Eduardo Banados, Fuyan Bian, Konstantina Boutsia, Thomas Connor, Frederick B. Davies, Roberto Decarli, Anna-Christina Eilers, Emanuele Paolo Farina, Richard Green, Linhua Jiang, Jiang-Tao Li, Chiara Mazzucchelli, Riccardo Nanni, Jan-Torge Schindler, Bram Venemans, Fabian Walter, Xue-Bing Wu e Minghao Yue
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