Ecco quali sono gli impatti sulla salute dell’inquinamento atmosferico in Pianura Padana
Solo nella Provincia di Verona i decessi causati dall’esposizione prolungata a PM2.5 sono stati circa 300 ogni anno, nel periodo 2009-2014
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È noto che la Pianura Padana è una delle regioni più inquinate d’Europa; gli alti livelli di inquinamento atmosferico sono causati non solo dalla forte industrializzazione e dall’alta densità di popolazione, ma anche dalla particolare conformazione geografica di questa regione. Infatti, la Pianura Padana è circondata per tre-quarti da catene montuose che impediscono un’efficiente ventilazione e favoriscono quindi la permanenza di agenti inquinanti, soprattutto nel periodo invernale.
Alcuni ricercatori del Max Plank Institute di Mainz, insieme a due studiosi dell’Arpav (l’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto), hanno svolto un’indagine riguardante il livello di inquinamento a Verona e il conseguente impatto sulla salute umana.
Verona e la sua provincia, infatti, presentano valori d’inquinamento atmosferico tipici della regione della Pianura Padana, data la loro posizione centrale nella regione.
In questo studio sono stati analizzati due diversi agenti inquinanti: il particolato con diametro minore di 2.5μm, detto PM2.5, e il particolato con diametro minore di 10μm, detto PM10. È infatti dimostrato che una prolungata esposizione al particolato, specialmente PM2.5, è associata ad un aumento della mortalita’ dovuta a malattie come cardiopatia ischemica, malattie cerebrovascolari, tumore ai polmoni e malattie polmonari.
Per lo studio sono state usate le misurazioni effettuate dalle centraline Arpav installate in diverse zone della città di Verona e del suo territorio provinciale in un lasso temporale che va dal 2002 al 2015. È stato riscontrato che nella provincia di Verona, nonostante si sia verificata una diminuzione delle concentrazioni di PM2.5 e di PM10 nel periodo esaminato, i valori annuali sono comunque molto allarmanti e gli standard imposti dall’Unione Europea vengono superati ogni anno.
L’impatto sulla salute umana è stato calcolato nel periodo 2009-2014 prendendo in considerazione tutte le fasce di età. In particolare, sono stati stimati quanti tra i decessi dovuti a malattie respiratorie e cardio-vascolari possono essere attribuiti ad una prolungata esposizione al PM2.5. Tale stima avviene per mezzo di una funzione “concentrazione-risposta” determinata con studi epidemiologici.
È stato così trovato che, nell’intervallo di tempo considerato, i decessi causati da un’esposizione prolungata a PM2.5 nella provincia di Verona sono stati circa 300 ogni anno. Ciò significa che l’11.3% delle morti causate da problemi al sistema respiratorio e cardiocircolatorio è attribuibile all’inquinamento atmosferico da particolato. Secondo lo studio, la causa più comune di decessi dovuti a PM2.5 è l’infarto, che conta circa 134 morti annui, seguito dalle malattie cerebrovascolari, dove i decessi sono poco più di 100 all’anno.
È chiaro che si tratta di valori allarmanti, ancor più considerando il fatto che il leggero calo delle concentrazioni di PM2.5 e diPM10 nella provincia di Verona degli ultimi 10 anni è attribuibile alla modernizzazione del parco veicoli piuttosto che all’intervento delle autorità locali in materia di politiche ambientali.
Si può inoltre ipotizzare che lo scenario osservato a Verona sia riscontrabile anche in altre zone della Pianura Padana, in particolare nelle aree più densamente popolate. Dato l’alto livello di mortalità correlato all’inquinamento, con questo studio si spera di sensibilizzare le autorità locali e non affinché ci siano interventi efficaci e a lungo termine volti ad un miglioramento della qualità dell’aria nella provincia di Verona e nella Pianura Padana in generale.
Referenza : A. Pozzer, S. Bacer, S. De Zolt Sappadina, F. Predicatori, A. Caleffi, Long-term concentrations of fine particulate matter and impact on human health in Verona, Italy, Atmospheric Pollution Research, Volume 10, Issue 3, 2019, Pages 731-738, ISSN 1309-1042, https://doi.org/10.1016/j.apr.2018.11.012.