Ecco come faremo a scoprire la grandine nelle nubi… dal satellite
Un team internazionale coordinato dal Cnr-Isac di Bologna ha sviluppato un metodo che grazie ai sensori satellitari nelle microonde ad alta frequenza permette di monitorare l’evoluzione dei sistemi temporaleschi, individuando la presenza dei chicchi all’interno delle nubi. La metodologia consentirà la creazione di un database omogeneo sulla distribuzione globale delle nubi grandinigene. Lo studio è pubblicato sulla rivista internazionale Remote Sensing
www.lescienze.it
Rivelare la presenza di grandine nelle nubi: una sfida ambiziosa, che è stata raccolta da un team internazionale di ricercatori costituito dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di Bologna, dal National Environmental Satellite Data and Information Service del National Oceanic and Atmosferic Administration (NOAA – NESDIS, U.S. Department of Commerce) e dall’Earth System Science Interdisciplinary Center (ESSIC) dell’Università del Maryland, il quale ha elaborato un nuovo, efficace metodo, il MicroWave Cloud Classification-Hail method (MWCC-H), basato sulle osservazioni satellitari nelle microonde ad alta frequenza per individuare la presenza delle nubi grandinigene all’interno dei sistemi temporaleschi e monitorarne l’evoluzione. La metodologia è descritta in un lavoro ora pubblicato sulla rivista Remote Sensing.
“Il Mwcc-h utilizza l’elevata capacità delle microonde ad alta frequenza nell’intervallo 150-170 GHz di riconoscere il segnale emesso dai chicchi di grandine all’interno delle nubi temporalesche”, spiega Sante Laviola, ricercatore del Cnr-Isac, che ha coordinato la ricerca. “Si tratta del primo e unico metodo generalizzato in grado di funzionare contemporaneamente su tutti i sensori satellitari ad alta frequenza in volo nella costellazione Global Precipitation Measurement mission (GPM), il network internazionale di satelliti progettati per l’osservazione degli eventi meteorologici e lo studio del ciclo dell’acqua”.
Il nuovo metodo rileva la “firma spettrale” della grandine all’interno dei temporali: “Sfrutta infatti la perturbazione indotta dalle nubi temporalesche al campo radiativo naturalmente emesso dalla Terra nello spettro di frequenze 150-170 GHz, – tipicamente imperturbato in assenza di precipitazioni – identificando i segnali di scattering, cioè di riduzione del segnale di tale campo radiativo, causati dalle idrometeore ghiacciate”, prosegue il ricercatore Cnr-Isac. “Poiché inoltre la riduzione del segnale misurata dal satellite tende a crescere esponenzialmente all’aumentare della dimensione dei chicchi di grandine, il metodo è in grado di valutare anche la dimensione media dei chicchi, con una sensibilità tale da riuscire a distinguere anche le regioni dei sistemi temporaleschi dove si verificano dei principi d’innesco del processo di formazione della grandine”.
Particolarmente significative in questo metodo sono poi le potenzialità, ad oggi senza precedenti per strumentazione satellitare in orbita bassa, di monitorare l’evoluzione dei sistemi grandinigeni con elevata risoluzione temporale, grazie all’approccio multi-sensore che sfrutta tutti gli strumenti della costellazione Gpm. “Inoltre, l’opportunità che grazie a questa nuova metodologia si presenta, di creare un database omogeneo sulla distribuzione globale delle nubi produttrici di grandine, rappresenta uno strumento estremamente utile per migliorare l’attuale conoscenza degli effetti del cambiamento climatico sulla formazione della precipitazione solida”, conclude il ricercatore del Cnr-Isac. “La modificazione della fase delle idrometeore in ragione dell’intensificarsi dei sistemi temporaleschi e la loro geolocazione spazio-temporale sono informazioni chiave per una più corretta valutazione degli effetti locali del riscaldamento globale, un tema di particolare rilievo, nei cosiddetti hot spot, ovvero le aree del pianeta particolarmente colpite da fenomeni meteorologici estremi che localmente possono diventare persino devastanti”.