Ecco come è possibile estrarre energia dai buchi neri
Una previsione straordinaria della teoria della relatività generale di Einstein è che i buchi neri rotanti possiedono un’enorme quantità di energia che potrebbe essere liberata. Come? Sfruttando le proprietà dell’ergosfera, attraverso un meccanismo – trovato da due astrofisici – che si basa su un processo di riconnessione delle linee di forza di un campo magnetico. Media Inaf ne ha parlato con Luca Comisso, primo autore dello studio pubblicato su Physical Review
di Maura Sandri
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Una previsione straordinaria della teoria della relatività generale di Einstein – la teoria che collega spazio, tempo e gravità – è che i buchi neri rotanti possiedono un’enorme quantità di energia che potrebbe essere estratta.
Negli ultimi 50 anni, gli scienziati hanno pensato a diversi processi in grado di liberare questa energia. Il Nobel per la Fisica Roger Penrose ha chiamato in causa la disintegrazione di particelle, Stephen Hawking ha proposto che i buchi neri potrebbero rilasciare energia attraverso emissione quanto-meccanica (la cosiddetta radiazione di Hawking), mentre Roger Blandford e Roman Znajek invocano getti astrofisici che si formano attorno a buchi neri supermassicci rotanti.
Ora, in uno studio pubblicato sulla rivista Physical Review D, i fisici Luca Comisso della Columbia University e Felipe Asenjo dell’Universidad Adolfo Ibáñez, in Cile, hanno trovato un nuovo modo per estrarre energia dai buchi neri attraverso la riconnessione delle linee del campo magnetico in prossimità dell’orizzonte degli eventi, il confine dal quale nulla – nemmeno la luce – può sfuggire all’attrazione gravitazionale del buco nero. La regione nella quale si suppone avvenga la liberazione dell’energia si chiama ergosfera e per capire di cosa si tratta, come avviene l’emissione e le eventuali ripercussioni per l’umanità in un futuro apparentemente molto lontano, Media Inaf ha intervistato il primo autore, Luca Comisso.
Nell’articolo avete discusso un nuovo modo per estrarre energia dai buchi neri. Ce lo può descrivere?
«Certamente. In sostanza, il nostro meccanismo di estrazione di energia dai buchi neri si basa su un processo di riconnessione delle linee di forza di un campo magnetico. Un aspetto importante da specificare è che i buchi neri sono generalmente immersi in un campo magnetico che è sostenuto dal plasma che li circonda. Questo plasma è composto essenzialmente da elettroni e positroni ed è quasi inseparabile dalle linee di forza del campo magnetico. Dove va il plasma vanno anche le linee di forza del campo magnetico, e viceversa. Questo succede con grande precisione quasi ovunque, ma non esattamente ovunque, e questo è un punto fondamentale. Ci sono delle regioni circondanti il buco nero dove le linee di forza del campo magnetico non seguono il plasma. In queste regioni le linee del campo magnetico si sconnettono e riconnettono con altre linee del campo magnetico, trasferendo una grande quantità di energia dal campo magnetico alle particelle che costituiscono il plasma. In questo modo, le particelle del plasma vengono accelerate così bruscamente da raggiungere velocità prossime a quella della luce. Ma non solo: il plasma viene accelerato in due direzioni diverse. Metà del plasma è accelerato nella direzione di rotazione del buco nero, mentre l’altra metà viene scaraventata nella direzione opposta. È questa seconda metà del plasma che viene catturata dal buco nero, mentre la prima metà viene rilasciata a grande velocità e può scappare dalle fauci del buco nero. Ora, per le proprietà dello spaziotempo dei buchi neri, il plasma può avere un’energia negativa prima di essere inghiottito all’interno dell’orizzonte degli eventi, cioè quel limite oltre il quale niente, nemmeno la luce, può più sfuggire dal buco nero. Se questo avviene, come abbiamo infatti calcolato nel nostro articolo, il buco nero rilascia energia. In particolare, questa energia viene trasferita al plasma accelerato nella direzione di rotazione del buco nero che, come abbiamo detto, scappa dal buco nero e porta via con sé più energia di quanta ne era contenuta originariamente nel plasma e nel campo magnetico».
Come fa un buco nero a perdere energia se nulla può uscire dai suoi confini, nemmeno la luce?
«In effetti questo è un punto tutt’altro che scontato. Siccome un buco nero è una regione dello spaziotempo in cui il campo gravitazionale è così intenso che nulla di ciò che contiene al suo interno può sfuggirgli, sembrerebbe naturale aspettarsi che non possa rilasciare nemmeno energia. Il fatto è che l’energia rotazionale del buco nero non è contenuta al suo interno bensì al di fuori dell’orizzonte degli eventi, in una regione chiamata ergosfera. Questo venne notato per la prima volta da Roger Penrose nel 1969, e da li in poi altri scienziati si sono cimentati nella formulazione di possibili metodi per estrarre l’energia contenuta nell’ergosfera. Il processo che abbiamo proposto in questo articolo sfrutta proprio le proprietà dell’ergosfera per estrarre l’energia rotazionale».
Che cos’è l’ergosfera di un buco nero?
«Per capire cosa sia l’ergosfera è utile considerare cose succede allo spaziotempo in prossimità di un buco nero in rotazione su sé stesso. Tutti o quasi tutti i buchi neri ruotano su sé stessi a causa del momento angolare della materia che li ha formati in origine o del momento angolare acquisito successivamente tramite accrescimento di altra materia o dalla fusione con un altro buco nero. Questo aspetto, la rotazione, è molto importante nel determinare la struttura dello spaziotempo. In pratica, la rotazione di un buco nero trascina con sé lo spaziotempo, che è indotto a ruotare nella stessa direzione di rotazione del buco nero. Questa è una conseguenza della teoria della relatività generale di Einstein e si applica a tutti i corpi in rotazione, anche a quelli che non sono così densi da formare un buco nero. Ad esempio, la rotazione dello spaziotempo dovuta alla rotazione terrestre modifica l’orbita dei satelliti. Questo è un effetto lievissimo che necessita di misure particolarmente accurate per poter essere identificato. Nel caso di un buco nero però è un’altra storia. Avvicinandosi al buco nero, la rotazione dello spaziotempo diventa così forte che nulla può opporvisi. Questa regione, dove ogni cosa, anche la luce, è forzata a ruotare nella stessa direzione del buco nero, è l’ergosfera. È importante sottolineare però che dall’ergosfera si può comunque fuggire, a differenza della zona racchiusa all’interno dell’orizzonte degli eventi. In particolare, come dicevamo prima, dall’ergosfera si può estrarre l’energia associata alla rotazione dello spaziotempo».
Quanta energia può perdere un buco nero in questo modo?
«Con il processo che abbiamo considerato nel nostro lavoro, un buco nero può perdere fino al 29 per cento della sua energia. Questo limite teorico era stato calcolato da Demetrios Christodoulou nel 1970 e si applica nel caso di un buco nero che ruota alla massima velocità consentita prima di liberare la sua energia rotazionale. Pensiamo che un buco nero non possa ruotare a una velocità superiore perché altrimenti esporrebbe al mondo esterno la singolarità nello spaziotempo che si ottiene dalla soluzione delle equazioni di Einstein e che è nascosta oltre l’orizzonte degli eventi. Questo è il motivo per cui nessun processo basato sulla fisica classica può estrarre più di circa un terzo della sua energia totale. È però possibile estrarre ulteriore energia tramite effetti quantistici, e questo è alla base della radiazione termica emessa da un buco nero teorizzata da Stephen Hawking. Nel caso di buchi neri di interesse astrofisico, cioè buchi neri con masse superiori a quelle del Sole, l’effetto della radiazione di Hawking è molto piccolo ed essenzialmente trascurabile rispetto ad altri meccanismi di estrazione di energia basati sulla fisica classica».
Perdendo la loro energia, i buchi neri “muoiono”?
«Nel caso del processo di estrazione di energia proposto nel nostro articolo, i buchi neri non muoiono perché solo l’energia rotazionale può essere estratta. Quello che potrebbe succedere è che il buco nero smetta di ruotare. Questo avverrebbe se tutta l’energia rotazionale venisse estratta. Tale limite è chiamato buco nero di Schwarzschild, in onore di Karl Schwarzschild, che fu il primo a calcolare la geometria dello spaziotempo di un buco nero non rotante partendo dalle equazioni di Einstein. Nel caso di buchi neri in rotazione, che come dicevamo sono la stragrande maggioranza se non addirittura tutti i casi che si verificano in pratica, la soluzione dello spaziotempo che li contraddistingue venne invece trovata da Roy Kerr, per cui ci si riferisce spesso ai buchi neri di interesse astrofisico come buchi neri di Kerr. Qui però vorrei aggiungere che un buco nero può morire per via di effetti quantistici che non sono compresi nel processo di estrazione di energia proposto nel nostro lavoro. Questo è infatti possibile tramite la radiazione di Hawking emessa dal buco nero. Siccome questo processo non si limita a rilasciare solo l’energia di rotazione, la perdita di energia da parte del buco nero può continuare ben oltre il limite consentito dalla fisica classica. In questo caso un buco nero può restringersi fino ad evaporare, e dunque morire. Questo tempo però è estremamente lungo. Ad esempio, un buco nero di massa simile a quella del Sole impiegherebbe circa 1064 (1 seguito da 64 zeri) anni per evaporare, cioè molto di più dell’intera vita dell’universo».
In un’altra intervista lei ha detto: “È come se una persona potesse perdere peso mangiando caramelle con calorie negative”. Questa cosa mi piace molto. È dunque possibile, almeno per i buchi neri?
«Sì, sembra strano ma in effetti è proprio cosi. I buchi neri perdono energia “ingerendo” particelle o campi che hanno energia negativa. Questo è l’elemento chiave del processo analizzato nel nostro articolo, ed era l’elemento essenziale anche per i processi di estrazione di energia proposti prima del nostro. Le differenze tra i vari processi proposti da diversi fisici risiede nel modo in cui vengono prodotte le particelle o i campi a energia negativa, ma un buco nero deve comunque “ingerirli” all’interno dell’orizzonte degli eventi per perdere parte della sua massa, quella associata all’energia di rotazione. Mentre, almeno per il momento, non esistono caramelle (o altri cibi) aventi calorie negative, nell’ergosfera dei buchi neri è possibile avere particelle e campi a energia negativa. In questo senso, i buchi neri possono seguire una dieta “speciale” per perdere massa».
Quale sarà l’utilità pratica, nello studio dei buchi neri, della vostra scoperta?
«Un aspetto pratico molto importante è che l’energia estratta tramite questo processo causa un abbassamento della velocità di rotazione del buco nero. Nella nostro lavoro abbiamo trovato che il tasso di estrazione di energia cresce con l’aumentare della velocità di rotazione di un buco nero. Quindi, il nostro processo di estrazione di energia limita le possibilità di avere buchi neri che ruotano a velocità altissime vicine a quella massima consentita di cui discutevamo precedentemente, perché in quel caso perderebbero la loro energia di rotazione molto velocemente. D’altro canto, quando la velocità di rotazione di un buco nero è bassa, il nostro processo di estrazione di energia diventa inefficace ed essenzialmente irrilevante. Quindi ci aspettiamo che i buchi neri abbiano la tendenza ad avere una velocità di rotazione intermedia per la quale la riduzione di energia rotazionale causata dalla riconnessione magnetica è bilanciata dall’aumento di energia rotazionale che deriva dall’accrescimento di materia circostante. Conoscere precisamente la velocità di rotazione dei buchi neri può dirci molto su come si sono evoluti, e questo ha ripercussioni importanti anche sull’evoluzione dell’universo. Infatti pensiamo che i buchi neri abbiamo un ruolo chiave nella formazione delle galassie. Ma c’è anche un altra applicazione importante legata alle emissioni di raggi X provenienti dal buco nero supermassiccio (4 milioni di volte la massa del Sole) al centro della nostra galassia. Questi emissioni vengono rilevate periodicamente ma ancora non si conosce quale sia la loro origine. Una possibilità è che questa radiazione venga proprio dal plasma che viene energizzato vicino al buco nero tramite il processo di riconnessone magnetica. Per esserne sicuri dovremo aspettare misurazioni più precise di queste emissioni».
Richiamando Interstellar e un futuro non so bene quanto prossimo, l’umanità potrebbe sopravvivere nelle vicinanze di Gargantua?
«Sì, è possibile. Sembra uno scenario fantascientifico ma in realtà la possibilità e concreta, anche se risiede in un futuro ancora lontano. Questa possibilità era già stata avanzata da Roger Penrose nel 1969, nello stesso articolo in cui spiegò per la prima volta il suo metodo per estrarre energia da un buco nero. Il film Interstellar è particolarmente accurato dal punto di vista scientifico, perlomeno rispetto ad analoghi film holliwodiani, ed infatti uno dei consulenti scientifici del film è stato Kip Thorne, un esperto di fama mondiale sui buchi neri. Nel film, l’astronave utilizzata per il viaggio interstellare viene eiettata dal buco nero Gargantua con un aumento di energia conseguente al processo teorizzato da Penrose, che è simile a quello proposto nel nostro ultimo lavoro. In pratica le difficoltà nell’estrazione di energia dai buchi neri sono di tipo tecnologico. Ma in un lontano futuro questa potrebbe essere un’opzione comune come lo sono le centrali elettriche disponibili al giorno d’oggi. Sarebbe stato difficile per le persone che hanno vissuto anche solamente mille anni fa immaginare che oggi ci si possa spostare regolarmente da un continente all’altro tramite navi volanti robotizzate, quello che sono essenzialmente i nostri aerei moderni. Ovviamente è estremamente difficile prevedere cosa succederà in un futuro cosi lontano, ma è una possibilità molto intrigante. Soprattutto perché potrebbero esserci già delle civiltà molto più avanzate della nostra che potrebbero vivere nelle vicinanze di buchi neri sfruttando la loro energia».
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review D l’articolo “Magnetic reconnection as a mechanism for energy extraction from rotating black holes” di Luca Comisso e Felipe A. Asenjo