Dalle profondità dei ghiacci antartici la chiave per comprendere un mistero geologico su Marte
Un team internazionale di ricercatori svela i processi di formazione di minerali idrati su Marte studiando i ghiacci dell’Antartide. Lo studio pubblicato su “Nature Communications”
www.lescienze.it
Arriva dalle grandi profondità dei ghiacciai dell’Antartide la risposta ad uno dei quesiti che è stato per anni un vero rompicapo per gli scienziati: la presenza di acqua sul Pianeta Rosso. Una ricerca internazionale condotta da ricercatori Italiani, USA, UK e Hong Kong e guidata dal gruppo di Glaciologia dell’Università di Milano-Bicocca (Giovanni Baccolo, Barbara Delmonte, Valter Maggi) ha permesso di identificare per la prima volta la formazione del minerale di jarosite (solfato idrato di ferro e potassio) a grandi profondità nei ghiacciai Antartici. Questo risultato conferma l’ipotesi secondo la quale i sedimenti ricchi di jarosite individuati sulla superficie di Marte dal Rover Opportunity della NASA, sarebbero legati alla presenza di grandi calotte di ghiaccio che hanno coperto parte del pianeta rosso nell’antico passato geologico. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista “Nature Communications” (“Jarosite formation in deep Antarctic ice provides a window into acidic, water-limited weathering on Mars”).
La scoperta di estesi depositi di jarosite su Marte fu a suo tempo un traguardo scientifico fondamentale poiché la formazione di questo minerale richiede la presenza di acqua liquida; tuttavia, non era ancora chiaro come questi depositi si fossero creati. Una delle possibili spiegazioni, coerente con le dimensioni e le caratteristiche di tali depositi, prevede la presenza su Marte di antiche calotte glaciali di grandi dimensioni, ricche di polveri, in diverse regioni del pianeta. Questa ipotesi ha trovato oggi una prima conferma diretta grazie allo studio condotto presso il laboratorio di Glaciologia EUROCOLD LAB dell’Università di Milano-Bicocca, in stretta collaborazione con il laboratorio di Houston della NASA (USA), il sincrotrone Diamond Light Source (UK), l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Università di Roma Tre e l’Università di Hong Kong.
Grazie all’applicazione congiunta di diverse tecniche analitiche d’avanguardia (spettroscopia di assorbimento di raggi-X, fluorescenza a raggi-X e microscopia elettronica a scansione e trasmissione), è stata osservata la formazione di cristalli di jarosite nella parte più profonda della carota di ghiaccio perforata nel sito di Talos Dome (Antartide Orientale). Tale perforazione, diretta dal professor Massimo Frezzotti del Dipartimento di Scienze dell’Università Roma Tre, ha raggiunto una profondità nel ghiaccio di oltre 1600 metri e attraversa un intervallo di tempo di almeno 300mila anni. La carota di ghiaccio è stata recuperata tra il 2004 e il 2007 nell’ambito del progetto a guida italiana TALDICE (www.taldice.org), finanziato dall’Unione Europea con il supporto del Programma Nazionale di Ricerca in Antartide.
I ricercatori hanno dimostrato che il meccanismo capace di spiegare la formazione della jarosite a Talos Dome è la trasformazione chimica e mineralogica delle polveri minerali intrappolate nel ghiaccio profondo, a oltre 1000 metri di profondità e dove la temperatura è di circa -10°C. A tali condizioni l’acqua liquida necessaria per la precipitazione della jarosite è presente sotto forma di soluzioni acide concentrate il cui punto di congelamento è molto inferiore rispetto alla temperatura di congelamento dell’acqua pura.
«I campioni di ghiaccio della perforazione di TALDICE – spiega Massimo Frezzotti – oltre a ricostruire il clima degli ultimi 300mila anni hanno permesso di ipotizzare le condizioni climatiche di Marte nel lontano passato».
«La scoperta – afferma Giovanni Baccolo – è destinata a rivoluzionare l’interpretazione dell’origine dei diffusi depositi che contengono jarosite su Marte. Sebbene oggi scomparsi, sembra che gli antichi ghiacciai marziani e il pulviscolo minerale intrappolato in essi, abbiano lasciato una traccia geologica evidente sul Pianeta Rosso, a testimonianza di vicende climatiche avvenute in un remoto passato».