Dal 2000 più di 500mila persone morte per inondazioni, ondate di calore e catastrofi naturali
Il surriscaldamento globale e il conseguente innalzamento del livello del mare sono all’origine degli eventi meteorologici estremi, sempre più diffusi e devastanti proprio perché trovano impreparati i paesi colpiti.
di Donatella Vincenti
www.greenme.it
Come riportato in un rapporto pubblicato dal think-tank tedesco Germanwatch lo scorso 25 gennaio, almeno 480.000 persone sarebbero morte a seguito degli oltre 11.000 eventi meteorologici estremi (tempeste tropicali, inondazioni, ondate di calore) verificatisi a livello globale tra il 2000 e il 2019. In 8 casi su 10, sono i paesi a reddito basso o molto basso a subire le maggiori perdite, soprattutto in termini di vite umane. I gravi danni umani e materiali causati dalle grandi catastrofi naturali sono più accentuati nei paesi dove mancano sia adeguate infrastrutture che sufficienti risorse economiche per far fronte all’impatto devastante di tali eventi.
Senza assistenza tecnica e finanziaria per l’adattamento, i paesi più fragili rischiano di soccombere. Germanwatch fa riferimento al Global Climate Risk Index per rilevare quanto i paesi poveri siano maggiormente vulnerabili di fronte alla crisi climatica globale perché privi degli strumenti necessari a reagire nell’immediato e a gestire le conseguenze di breve e lungo periodo determinate dagli eventi meteorologici estremi. Quest’ultimi si abbattono con grande intensità e frequenza proprio in paesi già deboli dal punto di vista economico e sociale, tra cui Porto Rico (Uragano Maria nel 2017), Birmania (Ciclone Nargis nel 2008), Mozambico (Ciclone Idai nel 2019), Haiti, Filippine, Bahamas, Bangladesh, Pakistan, Thailandia e Nepal. Si pensi che solo nel 2019 i danni economici causati dagli eventi meteorologici estremi hanno raggiunto i 2,56 trilioni di dollari.
Adattarsi ad un clima che cambia
Mentre Germanwatch pubblicava il documento, si stava svolgendo il Climate Adaptation Summit 2021 (CAS 2021). L’evento internazionale, tenutosi online il 25 e 26 gennaio, ha riunito per la prima volta oltre 30 leader mondiali, 50 ministri e 50 organizzazioni internazionali, che si sono confrontati con scienziati, rappresentanti degli interessi privati e della società civile (tra cui gruppi di giovani attivisti) sull’urgente questione dell’adattamento all’impatto devastante dei cambiamenti climatici globali.
Tra i risultati della conferenza, è degna di nota la redazione dell’Adaptation Action Agenda. Il documento programmatico contiene le linee guida fondamentali da seguire nei prossimi anni a livello mondiale per accelerare i piani di adattamento ai cambiamenti climatici e aprire la strada ad un futuro di resilienza climatica, con chiari obiettivi da realizzare entro il 2030.
Finanziare i paesi più fragili
I principali finanziamenti internazionali per il clima, in effetti, sono orientati perlopiù alla mitigazione degli effetti negativi dei cambiamenti climatici, ignorando quasi del tutto la cruciale questione dell’adattamento. Inoltre, solo nei paesi industriali avanzati esistono concrete opportunità di accedere a fondi destinati a progetti per l’adattamento.
Proprio per invertire la tendenza, il Green Climate Fund – fondo istituito nel 2010 durante la 16a sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (COP-16 – UNFCCC) – sta cercando di ridurre la netta disparità tra “paesi sviluppati” e “paesi in via di sviluppo” nell’accesso ai finanziamenti internazionali per l’adattamento climatico. L’ipotesi sul tavolo è destinare ogni anno 100 miliardi di dollari per finanziare una serie di progetti climatici a favore dei paesi a basso reddito. Anche qualora la proposta diventasse realtà, però, quei fondi non sarebbero ancora sufficienti a far fronte ai bisogni attuali e futuri di tali paesi.
Fonti: Germanwatch/UNFCCC