Un relitto portoghese del 1533 rivela come i colonialisti hanno massacrato gli elefanti di foresta africani
L’analisi del DNA della zanne di elefante trovate in una nave portoghese dimostra che provenivano da elefanti di foresta dell’Africa Occidentale oggi quasi scomparsi
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Nel 1533, la Bom Jesus, una nave mercantile portoghese che trasportava 40 tonnellate di carico tra cui oro, argento, rame e più di 100 zanne di elefante, affondò al largo delle coste dell’attuale Namibia. Il suo relitto è stato scoperto to nel 2008 e lo studio “Sourcing elephant ivory from a 16th century Portuguese shipwreck”, pubblicato su Current Biology da un team di ricercatori statunitensi, sudafricani e namibiani è riuscito a determinare la fonte di gran parte di quell’avorio finito in fondo al mare 487 anni fa e recuperato dalla Bom Jesus nave.
Per determinare a quali specie di elefante appartenessero le zanne, le loro origini geografiche e gli habitat in cui vivevano gli elefanti prima di essere uccisi durante l’enorme rapina colonialista alla quale è stata sottoposta l’Africa, il team internazionale di ricercatori ha utilizzato varie tecniche, compresa un’analisi genomica del DNA estratto dalle zanne ben conservate.
La principale autrice dello studio, Alida de Flamingh dell’università dell’Illinois – Urbana-Champaign (UIUC), spiega che «L’avorio era stato stivato in un livello inferiore della Bom Jesus, sotto un carico pesante di lingotti di rame e piombo lingotti. Quando la nave è affondata, i lingotti hanno compresso le zanne nel fondo del mare, prevenendo molta erosione fisica da parte delle correnti marine che possono portare alla distruzione e alla dispersione dei manufatti del relitto. In quella regione costiera della Namibia c’è anche una corrente marina estremamente fredda, che probabilmente ha anche contribuito a preservare il DNA nelle zanne del naufragio».
Il team ha estratto il DNA da 44 zanne e, analizzando sequenze genetiche che notoriamente differiscono tra gli elefanti di foresta (Loxodonta cyclotis) e di savana (Loxodonta africana) africani, gli scienziati hanno stabilito che «Tutte le zanne analizzate appartenevano a elefanti di foresta» ed evidenziano che «Un ulteriore esame del DNA mitocondriale, che viene trasmesso solo dalle madri alla prole, ha offerto un’origine geografica delle zanne di elefante più precisa di quella altrimenti disponibile».
La de Flamingh ricorda che «Gli elefanti vivono in gruppi familiari matriarcali e tendono a rimanere nella stessa area geografica per tutta la vita. Confrontando il DNA mitocondriale dell’avorio del naufragio con quello degli elefanti con origini note in tutta l’Africa, siamo stati in grado di individuare regioni e specie specifiche di elefanti le cui zanne sono state trovate nel naufragio».
Tutte e 44 le zanne provenivano da elefanti che vivevano in Africa occidentale. Nessuna zanna proveniva dall’Africa centrale. La de Flamingh spiega ancora che «Questo è coerente con la creazione di centri commerciali portoghesi lungo la costa dell’Africa occidentale durante questo periodo storico».
Utilizzato il DNA, il team internazionale ha trovato 17 lignaggi familiari degli elefanti e, secondo i dati disponibili, solo 4 di questi sopravvivono in Africa. Un altro autore dello studio, Alfred Roca, anche lui dell’UIUC, sottolinea che «Gli altri lignaggi sono scomparsi perché nei secoli successivi l’Africa occidentale ha perso più del 95% dei suoi elefanti a causa della caccia e della distruzione dell’habitat».
Il team sta aggiungendo le nuove sequenze di DNA al Loxodonta Localizer, uno strumento open-access sviluppato dall’università dell’Illinois che consente di confrontare le sequenze di DNA mitocondriale raccolte da zanne di elefanti uccisi con quelle in un database online degli elefanti in tutto il continente africano.
Per saperne di più sugli habitat dove vivevano gli elefanti, un’altra autrice dello studio, Ashley Coutu del Pitt Rivers Museum dell’università di Oxford, ha analizzato gli isotopi stabili del carbonio e dell’azoto di 97 zanne e che differiscono a seconda dei tipi di piante consumate dagli elefanti e della quantità di pioggia nell’ambiente.
Questa analisi ha rivelato che «Gli elefanti vivevano in habitat misti, passando da aree boschive a savane in stagioni diverse, molto probabilmente in risposta alla disponibilità di acqua».
La Coutu aggiunge «I nostri dati ci aiutano a comprendere l’ecologia dell’elefante di foresta dell’Africa occidentale nel suo territorio storico, il che ha rilevanza per la moderna conservazione della fauna selvatica».
La de Flamingh conclude: «Il nostro studio ha analizzato il più grande carico archeologico di avorio africano mai trovato. Combinando approcci analitici complementari provenienti da più campi scientifici, siamo stati in grado di individuare l’origine dell’avorio con una risoluzione che non è possibile utilizzando un singolo approccio. La ricerca fornisce un quadro per esaminare le vaste collezioni di avori storici e archeologici nei musei di tutto il mondo».