Rifiuti: ecco che fine fanno gli imballaggi dopo la raccolta differenziata

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Rifiuti: ecco che fine fanno gli imballaggi dopo la raccolta differenziata

Nel 2019 il 70% è stato avviato a riciclo, il 10,8% a recupero energetico e il 19,2% in discarica. Ma la pandemia ha messo a nudo le debolezze del sistema
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L’immesso al consumo di imballaggi in Italia è a quota di 13,6 milioni di tonnellate/anno, che una volta consumati si trasformano nel 28% dei rifiuti urbani o – per allargare il campo d’osservazione – nell’8% di tutti i rifiuti che produciamo: una frazione dunque assolutamente minoritaria, ma altamente visibile in quanto rappresenta il cuore (insieme all’orgnico) della raccolta differenziata che esce dalle nostre case e il cui governo spetta alla mano pubblica. Al cuore di questo meccanismo c’è il Conai, il Consorzio nazionale imballaggi, che ieri ha presentato il suo Green economy report insieme alla Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

Che fine fanno questi rifiuti, una volta suddivisi in tanti sacchetti? Nel 2019 i tassi di recupero e di smaltimento nazionali rispetto all’immesso al consumo si trovano rispettivamente al loro massimo (80,8%, suddiviso in un 70% di avvio a riciclo e 10,8% di recupero energetico) e minimo (19,2%) storico. Il tutto con grandi benefici ambientali.

Più nel dettaglio, nel 2019 il risparmio di materia prima vergine grazie al riciclo degli imballaggi è arrivato a 4 milioni e 469mila tonnellate, così suddiviso: 1 milione e 760mila tonnellate di vetro, 1 milione e 80mila tonnellate di carta, 907mila tonnellate di legno, 433mila tonnellate di plastica, 270mila tonnellate di acciaio e 19mila tonnellate di alluminio. Il riciclo degli imballaggi derivato dalla gestione Conai ha permesso anche di risparmiare anche quasi 23 terawattora di energia primaria, evitando così l’emissione di oltre 4 milioni e 300mila tonnellate di CO2 (il beneficio indiretto di questa quantità di CO2 risparmiata è pari a 124 milioni di euro).

I «costi diretti della filiera del recupero Conai ammontano nel 2019 a 910 milioni di euro», secondo il Consorzio i benefici economici direttamente connessi alle attività svolte nell’ambito della gestione consortile «superano abbondantemente tali costi e hanno raggiunto nel 2019 un miliardo di euro». Per arrivare a questa cifra si somma il valore economico della materia recuperata grazie al riciclo (402 milioni di euro), quello dell’energia prodotta da recupero energetico (27 milioni di euro) e l’indotto economico generato dalla filiera (592 milioni di euro).

Al proposito, è bene ricordare che tracciare un profilo economico della gestione rifiuti da imballaggio non è affatto semplice: altre stime (Ref ricerche) mostrano ad esempio che «il reale costo della raccolta e del trasporto dei rifiuti da imballaggio in Italia è un dato non noto». Idem per quanto riguarda i “maggiori oneri” legati alla raccolta differenziata: l’ammontare dei corrispettivi riconosciuti dal Conai ai Comuni è arrivato a quota 653 milioni di euro nel 2019 – un valore cresciuto di 13 volte dal 2000 – ma secondo numerose stime (dal Ref Ricerche all’AgCom) sembra emergere come questo rappresenti ancora un corrispettivo assolutamente insufficiente a coprire i costi della raccolta differenziata.

In ogni caso è bene tener presente che tenere pulite le proprie città costa, proprio come costa tenere pulita casa propria: ogni anno in Italia si pagano circa 10 miliardi di euro di Tari, che per legge è chiamata a coprire integralmente i costi d’igiene urbana. I vantaggi ci sono comunque: sono quelli di tipo ambientale, occupazionale e di competitività economica, dato che per un Paese manifatturiero ma povero di materie prime come il nostro poter contare su quelle di riciclo non è cosa da poco.

Paradossalmente però è proprio questo un anello debole della filiera, ovvero il fatto che le materie prime seconde ancora non si ri-comprano abbastanza: «Nel 2020, l’anno della pandemia, la domanda e i prezzi di mercato delle materie prime vergini sono fortemente calati, per il calo delle attività produttive e dei consumi, in particolare delle plastiche e della carta. Di conseguenza – commenta Edo Ronchi, alla guida della Fondazione – sono calati in modo consistente anche domanda e prezzi di mercato delle materie prime seconde ricavate dal riciclo dei rifiuti. Se il nostro sistema non fosse stato adeguatamente organizzato e fosse dipeso solo dal mercato, avremmo corso il serio rischio di avere i rifiuti per strada perché il loro riciclo, che attualmente è la loro principale forma di gestione, non era conveniente dato il forte calo dei prezzi di mercato delle materie prime seconde».

«L’Italia in Europa è seconda solo alla Germania per riciclo pro-capite dei rifiuti di imballaggio. Ora – conclude il presidente Conai, Luca Ruini – dobbiamo continuare a lavorare per incentivare l’eco-design e per sviluppare e potenziare le tecnologie per il riciclo, auspicando al più presto incentivi fiscali per chi usa materia prima seconda: la sua domanda sta purtroppo calando, e non possiamo permetterci di lasciare inutilizzati gli enormi quantitativi di materiale che il Paese ricicla. Ci auguriamo per questo si arrivi presto anche a una concreta attuazione del Green public procurement e alla chiusura di nuovi provvedimenti sull’End of waste».

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