Se pensate di pianificare il prossimo weekend sulla base delle previsioni meteo, attenzione alle soprese e a leggere bene il lavoro dei meteorologi. È infatti relativamente facile “prevedere” una tendenza meteorologica generale per un periodo anche di una settimana: spesso è più statistica che previsione. Ma se lo stesso meteo afferma anche quanto potrebbe piovere tra le 13 e le 15 in una precisa località, be’, è tutta un’altra storia: una previsione del genere può essere affidabile al massimo per 48 ore, se tutto va bene. Che cosa potrebbe non andare bene? Anche tutto, nella incredibile e meravigliosa complessità dell’insieme di eventi che determinano esattamente “il tempo” che fa adesso, proprio fuori dalla vostra finestra, e danno indizi sulle tendenze del “clima” nei prossimi anni. Ecco un assaggio di questo quadro.
Tempo o clima? Il clima è ciò che ti aspetti, il meteo è ciò che ti becchi, sentenziava Mark Twain, scrittore e umorista, per ricordare che “tempo” e “clima” non sono la stessa cosa. Il tempo meteorologico è una successione di eventi atmosferici (pioggia, vento, neve eccetera) a una scala temporale relativamente piccola, tipicamente ore o giorni. Il clima esprime invece la media dei singoli eventi meteorologici su di un periodo più lungo: 30 anni, per convenzione.
Per svariati motivi, oggi siamo sempre più interessati a conoscere sia tempo sia clima, e in entrambi i casi si tratta di un esercizio tutt’altro che semplice. L’evoluzione del “sistema climatico” del nostro pianeta dipende sì, in prima battuta, dal bilancio energetico dettato dalla radiazione solare, ma è poi frutto di una serie di relazioni tra comparti a prima vista quasi scollegati tra loro. Atmosfera, oceano, suolo, ghiacci, biosfera si influenzano l’un l’altro con rimpalli energetici che contribuiscono, tutti, all’evoluzione del meteo-clima in una determinata area del pianeta.
A questa serie intricata di azioni-reazioni si dà il nome di complessità, e il risultato di tale complessità è che le condizioni meteo (e quelle climatiche) sono intrinsecamente non-prevedibili oltre un certo periodo (breve). Bastano infatti anche piccole differenze nelle condizioni iniziali per arrivare in pochi giorni a situazioni finali profondamente diverse da quelle “previste”, anche perché le dinamiche non risentono dei soli processi locali. È il cosiddetto effetto farfalla, locuzione (in quest’ambito attribuita a Lorenz) che descrive la dipendenza sensibile alle condizioni iniziali. Questa sostanziale incertezza non viene però mai ricordata durante le decine di trasmissioni tv e web che si occupano di “meteo”.
Non solo, ma è spesso addirittura ignorato il profondo rapporto che esiste tra oceani e clima. Nonostante sia risaputo che la circolazione globale degli oceani trasporti enormi quantità di calore e di umidità, poco o nulla viene detto su quanto e come l’oceano e l’atmosfera si “parlino” e modifichino le proprie caratteristiche vicendevolmente, influenzando così il clima a varie scale, da quella globale a quella regionale e locale.
Certo, tutti sanno della Corrente del Golfo e della sua influenza sul clima nord europeo, ma di situazioni simili ce ne sono in realtà decine, e tutte si condizionano a vicenda. Anche il clima dei Paesi che affacciano sul Mediterraneo è pesantemente condizionato da come si muovono le masse d’acqua del Mare Nostrum, che circolano sì grazie alle maree e al vento, ma in grande misura in risposta a differenze di densità legate a potenti raffreddamenti locali.
Nel Mediterraneo ci sono solo tre aree nelle quali questi processi avvengono. Sono i cosiddetti motori freddi della circolazione dei nostri mari: sono nel golfo del Leone, nelle acque del mare Egeo greco e nel nord Adriatico.
Schema della circolazione del Mar Mediterraneo. A Gibilterra la corrente entra in superficie, raggiunge il Mediterraneo orientale e ritorna come acqua modificata fuoriuscendo dalla parte più profonda dello stretto. I motori freddi del Golfo del Leone, del Nord Adriatico e del mar Egeo sono siti in cui si forma acqua profonda (A). I sistemi di canyon lungo la costa possono contribuire a generare correnti di risalita (B) che rinforzano il rinnovamento delle acque profonde, mentre la linea di costa (come mostrato nel riquadro dello stretto di Otranto, “C”), genera la formazione di vortici. | Cortesia di F. Boero, tavola realizzata da Alberto Gennari
In queste zone i venti particolarmente intensi e freddi rendono l’acqua superficiale più salata e più fredda, ossia più densa. Succede così che durante l’inverno molta dell’acqua del nord Adriatico, “appesantita” dalla Bora, sprofondi e inizi un viaggio che la porta prima verso il centro del bacino, dove riempie alcune fosse relativamente profonde, e poi, tracimando da queste, arrivi al largo della Puglia, dove si incanala in una fitta serie di canyon sottomarini.
Uno schema della circolazione nel Mediterraneo.
Scorrendo più o meno in prossimità della costa italiana, durante questo viaggio verso sud, l’acqua densa trascina a sud ossigeno fresco e nutrienti che trova in abbondanza a nord del Po. Qualcosa di analogo accade anche agli altri due motori freddi e così succede che tutti e tre, come i tre Re Magi, portino in giro i doni fondamentali per l’ecologia dei loro bacini e dell’intero Mediterraneo, garantendo condizioni migliori per la vita animale e vegetale di fondo.
Fanno però anche di più: controllano i flussi di calore verso l’atmosfera, determinando così ad esempio le caratteristiche delle masse d’aria che oscillano tra il mare e l’entroterra italiano. Su base meno locale, poi, le correnti dense dell’intero Mediterraneo, passata Gibilterra, condizionano la densità dell’acqua del nord Atlantico ed entrano nel “gioco” del clima globale.
È in questo modo che effetti locali possono influenzare eventi a scala più ampia, e viceversa.
Mappa degli oceani in base alla densità dell’acqua: alle zone più scure corrisponde maggiore densità. | NASA/Goddard Space Flight Center, Scientific Visualization Studio, Reto Stockli (NASA/GSFC)
Il processo di riscaldamento globale che caratterizza gli ultimi decenni, in gran parte frutto delle nostre ingenti emissioni di gas serra, rischia però di alterare questo meccanismo delicato. Da una parte, la temperatura degli oceani, in media più elevata rispetto al secolo scorso, rende più difficile la formazione di acque dense da parte dei venti freddi; dall’altra, la maggior quantità di acqua dolce derivante dallo scioglimento dei ghiacci (o dalla mutata stagionalità delle piogge) tende a renderla meno salata, e quindi meno pesante.
Mappa degli oceani in base alla salinità dell’acqua: alle zone più chiare corrisponde maggiore salinità. | NASA/Goddard Space Flight Center, Scientific Visualization Studio, Reto Stockli (NASA/GSFC)
È come una manovra a tenaglia che rischia di inceppare localmente, e poi globalmente, il meccanismo dello sprofondamento dell’acqua – quello che in definitiva innesca le grandi correnti marine. Come conseguenza, i tre Re Magi del Mediterraneo non solo faticano sempre più a portare nutrienti e ossigeno verso le aree profonde, ma modificano anche la circolazione del bacino ed i relativi scambi energetici tra oceano e atmosfera.
A questo punto non sarete sorpresi dalla conclusione: il risultato di tutto ciò è che anche le previsioni meteo e climatiche dei nostri modelli (che ancora, colpevolmente, non tengono conto come dovrebbero degli oceani) vanno in crisi e diventano sempre più incerte.