TERREMOTO DELL’IRPINA DEL 1980 – Ricordi e riflessioni di un apprendista sismologo

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TERREMOTO DELL’IRPINA DEL 1980 – Ricordi e riflessioni di un apprendista sismologo

Tra i sismologi più attivi nello studio del terremoto del 1980 c’è certamente Aldo Zollo, oggi professore di Sismologia all’Università di Napoli, a cui abbiamo chiesto di raccontarci come aveva vissuto quel momento e come questo avesse influenzato il suo percorso scientifico.
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Era domenica pomeriggio tardi, rientravo in vespa percorrendo il corso Vittorio Emanuele a Napoli, nella sua parte più panoramica che guarda al golfo di Napoli ed al Vesuvio. Una sera di novembre, neanche troppo fredda, di quelle domeniche in cui può piacere scarrozzare in moto senza una meta fissa.

Salgo le scale che portano al monolocale dove vivevo, il vicino del piano di sopra si precipita giù vedendomi arrivare: “Il terremoto, il terremoto, fuggiamo via, …” Era completamente assalito dal panico. A grandi passi entro nella mia stanza, vedo il neon al soffitto che ancora oscillava, la luce che andava e veniva nella stanza.

Il mio primo terremoto l’ho vissuto così, a cose ormai fatte, senza averne percepito lo scuotimento forte e lungo, solo attraverso la paura delle persone che mi hanno raccontato la loro esperienza di mancamento del suolo dovuto ad una vibrazione lenta, ampia e interminabile.

Nel 1980 ero studente universitario, ai primi anni del corso di laurea in Fisica, studi che avevo intrapreso per una passione neanche troppo nascosta per le scienze della Terra e per la Fisica Terrestre, in particolare. Qualche anno dopo, mi sono laureato con una tesi sui meccanismi di innesco dei terremoti e proprietà statistiche delle sequenze sismiche, supervisionata da Roberto Scarpa e ispirata dalle lezioni tenute da sismologi del calibro di Hiroo Kanamori, Keiiti Aki e Raoul Madariaga che ebbi la fortuna di seguire, insieme a tanti giovani studenti e ricercatori europei, alla Scuola Internazionale di Fisica di Varenna del 1982 organizzata da Enzo Boschi, allora giovane e brillante Presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica.

Ma il mio incontro ravvicinato con il terremoto dell’Irpinia accadde nuovamente qualche anno più tardi alla fine degli anni ’80. Quando con una borsa di studio europea mi trasferii in Francia all’Istituto di Fisica del Globo di Parigi per svolgere attività di ricerca nell’ambito della tesi di Dottorato, sotto la direzione scientifica di Pascal Bernard e Raoul Madariaga.

Pascal da qualche mese aveva cominciato a lavorare alla teoria delle isocrone, poi successivamente utilizzata per costruire una tecnica, molto avanzata all’epoca, per la simulazione della radiazione sismica ad alta frequenza emessa dalle fratture sismiche durante i forti terremoti. Raoul, poi, era stato diverse volte in Italia ad incontri organizzati dall’ENEA-ENEL che operava la prima rete accelerometrica nazionale, con l’obiettivo di monitorare l’attività sismica in prossimità dei siti di realizzazione delle centrali nucleari. Da queste due coincidenze nacque l’idea della mia tesi di dottorato in Francia, cioè utilizzare i segnali accelerometrici prodotti dai forti terremoti per determinare le caratteristiche cinematiche e dinamiche delle fratture sismiche ed in particolare studiare il processo di nucleazione, propagazione ed arresto della frattura che causò il terremoto irpino, dall’analisi e modellazione dei dati della rete accelerometrica ENEA-ENEL.

Infatti, il caso volle che il terremoto dell’Irpinia sia accaduto in un’area densamente monitorata dalla rete accelerometrica dell’ENEA-ENEL. Una ventina di stazioni ENEA-ENEL lo registrarono, ben dislocate rispetto all’epicentro dell’evento e con una qualità del segnale non raggiungibile dai sensori sismici tradizionali della Rete sismica ING. Tra queste stazioni accelerometriche alcune (Bagnoli Irpino, Calitri, Sturno prossime all’epicentro del terremoto ed entro 40-60 km di distanza) hanno rilevato accelerazioni massime del moto del suolo fino a 0.38 g (dove g è l’accelerazione di gravità pari a 9.81 m/sec2), comparabili ai valori massimi registrati nel terremoto del Friuli del 1976.

Figura 1 – Mappa geologica della regione dell’Appennino Campano-Lucano dove si è prodotto il terremoto dell’Irpinia del 1980, integrata con le sorgenti sismogenetiche estratte dal DISS (DISS Working group, 2010). Nella mappa sono riportate le stazioni della rete ISNET e della rete INGV, I principali terremoti storici e strumentali con i meccanismi focali disponibili e la zona delle repliche del terremoto del 1980 (figura estratta dall’articolo De Landro et al. 2015).

In circa due anni di lavoro certosino, tra fonti bibliografiche, dati strumentali multi-disciplinari e codici di calcolo originali, abbiamo elaborato e modellato i dati accelerometrici integrati da quelli sismologici della rete locale temporanea (installata subito dopo l’evento per la registrazione delle repliche) e da quelli delle reti a più grande apertura nazionali e mondiali. I nostri modelli furono raffrontati con i dati geodetici della deformazione co-sismica del suolo, e con quelli geologici riguardanti le evidenze di fratturazione superficiale del terremoto e con i dati della struttura del volume di crosta appenninica nel quale si sono originate e sviluppate le fratture sismiche, superfici di faglia di lunghezza di svariate decine di chilometri con dislocazioni medie dell’ordine del metro. I segnali accelerometrici indicarono chiaramente che durante il terremoto si erano fratturati almeno tre segmenti di faglia a distanza temporale di circa 20 secondi l’uno dall’altro. La durata dell’intero processo di frattura del terremoto irpino (circa 40-50 secondi) in aggiunta alla sua magnitudo (Ms 6.9) è stata la causa della lunga durata del forte scuotimento del suolo che causò gravi danni all’edificato su di un’area molto vasta (100×80 km2) dell’Appennino meridionale, prevalentemente nella direzione della catena montuosa, ma con effetti anche nelle aree costiere tirrenica e adriatica.

Il terremoto irpino del 1980 ha rappresentato un punto di svolta nello sviluppo metodologico e dei sistemi di osservazione sismica nel nostro Paese, permettendo alla Scienza dei Terremoti di fare un grosso passo in avanti sulla comprensione dei fenomeni sismici e sulle strategie di mitigazione del loro impatto economico e sociale.

Di fatto, ha dato inizio ad un processo di potenziamento e di ammodernamento delle reti osservative geofisiche che ha condotto a dotare oggi il nostro Paese di una rete sismica nazionale, di una rete accelerometrica ed una rete geodetica ad acquisizione in continua per la misura del moto sismico e della deformazione del suolo. Esse coprono in modo uniforme il territorio italiano a rischio sismico elevato ed operano in tempo quasi-reale in modo da garantire in pochi minuti l’informazione relativa ad un evento sismico dalla più piccola magnitudo rilevabile dagli strumenti (M circa 2) fino alle magnitudo più elevate registrabili in Italia (M 7-7.5). Un sistema integrato, sviluppato in collaborazione scientifica e tecnologica dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, dal Dipartimento della Protezione Civile Nazionale, dalle Università e dagli enti regionali. Con un numero totale prossimo ai 1000 nodi ed una spaziatura media di meno di 30 km tra stazioni adiacenti, la densità delle reti osservative sismica e accelerometrica italiana è oggi confrontabile con quella delle reti sismiche equivalenti in Giappone e tra le più avanzate nel mondo.

Figura 2 – Micro-sismicità della regione irpina del terremoto del 1980 rilevata dalla rete ISNET e INGV nel periodo 2005-2011 (figure estratte da De Landro et al. 2015). Le linee rosse indicano le proiezioni di superficie dei 3 segmenti di faglia attivati durante il terremoto irpino (Bernard e Zollo, 1989). L’attività sismica di fondo è confinata nella regione compresa tra i segmenti principali del sistema di faglie attivato durante il terremoto del 1980. Sono confrontate le localizzazioni ottenute da un picking manuale o mediante tecnica della cross-correlazione delle forme d’onda P ed S. In profondità i terremoti hanno luogo all’interno della crosta superficiale, entro i 15-20 km, con una distribuzione che presenta due picchi a circa 5 e 12 km.

Dal 2009 la sismicità dell’area irpina è monitorata anche da una rete densa di 32 stazioni equipaggiate con entrambi i sensori accelerometrici e velocimetrici (corto e lungo periodo) gestita dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Napoli Federico II (rete sismica ISNET) con l’obiettivo primario di sperimentare in Italia Meridionale un sistema di early-warning sismico e, nel contempo, registrare ed analizzare la sismicità di fondo, connessa al sistema di faglie che ha generato l’evento del 1980. La rete ISNET integra la Rete Sismica Nazionale (INGV), dotata di sensori larga-banda e la Rete Accelerometrica (DPC) che insistono sulla stessa area. La rete ISNET è stata progettata per soddisfare i requisiti di robustezza e sicurezza nell’acquisizione in continua del dato sismico, di rapidità dei processi di trasmissione ed elaborazione dei segnali (requisito essenziale per i sistemi di early warning), di completa automazione delle procedure di identificazione degli eventi sismici e loro caratterizzazione in termini di magnitudo e localizzazione. Nel corso di questi ultimi dieci anni la rete ha registrato svariate migliaia di microterremoti (con magnitudo inferiore a 3.5), che costituiscono l’attività sismica di fondo nella regione, la cui analisi ha consentito di mettere in evidenza la sua stretta relazione con i sistemi di faglia che hanno originato l’evento del 1980 e che potrebbero riattivarsi nel futuro.

Oggi nell’area delle faglie del terremoto del 1980 è stato realizzato il Near-Fault Observatory dell’Irpinia (Irpinia-NFO), di cui la rete sismica ISNet è la principale infrastruttura di monitoraggio sismico. Con servizi e prodotti associati, Irpinia-NFO è una delle infrastrutture di ricerca di interesse nazionale di EPOS, il progetto coordinato dall’INGV per la messa a sistema ed uso delle infrastrutture avanzate per la ricerca in Scienza delle Terra in Europa. L’osservatorio di faglia partecipa attivamente alle attività di sviluppo e mantenimento di CREW (EU Testing Centre for Early Warning & Source Characterization), il testing center europeo per l’Early Warning sismico e prodotti in tempo reale, e nelle attività di gestione della comunità.

Figura 3. Time-line del sistema di early-warning PRESTo (Satriano et al., 2011) in fase di sperimentazione in Italia Meridionale e che ha la rete ISNET come infrastruttura di monitoraggio in tempo reale. Alla città di Napoli (85 km di distanza) sarebbero disponibili circa 15-17 sec di pre-allerta rispetto all’arrivo di onde S irradiate da un terremoto di forte magnitudo con epicentro in area irpina.

In conclusione, le lezioni che abbiamo appreso dal terremoto dell’Irpinia hanno marcato il progresso scientifico nella Scienza dei terremoti nel nostro Paese:

1. Come avvenuto in occasione dei terremoti precedenti (Friuli 1976) e successivi al terremoto del 1980 accaduti lungo la catena appenninica italiana (Abruzzo, 1984; Colfiorito; 1997; L’Aquila, 2009; Amatrice, 2016), episodi di frattura multipli con magnitudo comparabile, lungo segmenti adiacenti di faglia e a distanza temporale variabili (da pochi secondi, ore, giorni o addirittura mesi) sono molto probabili, visto il livello di elevata segmentazione dei sistemi di faglia appenninici. Questa è una peculiarità della sismicità italiana che ha importanti ricadute sia sulla pianificazione delle azioni di soccorso nel post-evento che sul grado di resistenza degli edifici, sottoposti a scuotimenti forti, prossimi alla soglia del danno strutturale a piccola distanza temporale. Anche dal punto di vista scientifico, la complessità del processo di fratturazione multipla richiede teorie, metodi e analisi di dati che includano meccanismi di mutuo innesco e segmentazione del processo di sorgente.

2. L’osservazione moderna dei terremoti richiede l’uso di reti di sensori multi-parametrici (sismici, accelerometrici, geodetici, geochimici, idrologici e geologici di superficie). L’integrazione di tutti i dati nell’elaborazione dei modelli di terremoto consente una ricostruzione di dettaglio dei processi fisici altrimenti non realizzabile.

3. Il calcolo della pericolosità sismica a scala locale e nazionale, che sta alla base della classificazione sismica e valutazione del rischio sismico nel nostro Paese, deve essere basata su osservazioni e modelli continuamente aggiornati delle potenziali sorgenti sismiche, in modo da tenere conto della complessità e variabilità dei processi di frattura che hanno luogo durante i terremoti forti in Italia.

4. Grazie al progresso scientifico e tecnologico che ha accompagnato la rivoluzione digitale, la Scienza dei Terremoti è diventata sempre più multi- e inter-disciplinare, inglobando figure professionali e ricercatori da settori quali l’Informatica, l’Elettronica, il Telerilevamento, l’Ingegneria sismica e del Controllo, le Scienze Sociali Applicate che si aggiungono alle competenze tradizionali in Geologia, Fisica, Matematica e Chimica. L’apprendista sismologo deve oggi possedere una buona conoscenza in ampi settori di queste discipline o comunque acquisire le capacità di dialogo ed interazione in un team multi-disciplinare di scienziati dei terremoti. Da questo punto di vista molta strada c’è ancora da fare in Italia in quanto a tutt’oggi non esiste un ambito formativo specialistico orientato alla formazione nella Scienza dei Terremoti né all’interno dell’Università né degli Enti pubblici di ricerca.

A cura di Aldo Zollo (Università di Napoli Federico II – Dipartimento di Fisica).

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