Il clima è già cambiato: ecco 10 anni di impatti climatici sulle città italiane

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Il clima è già cambiato: ecco 10 anni di impatti climatici sulle città italiane

In crescita trombe d’aria, alluvioni, ondate di calore: quasi mille in oltre 500 Comuni.
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In Italia il cambiamento climatico non si ferma e batte record su record, investendo in pieno, con i suoi effetti più evidenti, i principali centri urbani. A rilevarlo ancora una volta è il Rapporto 2020 “Il clima è già cambiato” dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente, che dal 2010 a fine ottobre 2020 ha registrato sulla sua mappa «946 fenomeni metereologici estremi in 507 Comuni, con impatti suddivisi in categorie utili a comprendere il rischio climatico nelle diverse aree del territorio nazionale».

E si tratta di fenomeni in costante crescita. Infatti, dal rapporto redatto con il contributo di Unipol, la collaborazione scientifica di Enel Foundation e arricchito dalle collaborazioni con Ispra, emergono dieci anni di eventi estremi: «Nell’ultimo decennio, i Comuni italiani hanno visto succedersi 416 casi di allagamenti da piogge intense (319 dei quali avvenuti in città) che hanno determinato 347 interruzioni e danni alle infrastrutture con 80 giorni di stop a metropolitane e treni urbani; 83 giorni di blackout elettrico; 14 casi di danni al patrimonio storico-archeologico; 39 casi di danni provocati da lunghi periodi di siccità e temperature estreme; 257 eventi con danni dovuti a trombe d’aria; 35 casi di frane causati da piogge intense e 118 eventi (89 avvenuti in città) da esondazioni fluviali».

Un impatto insostenibile e che ha richiesto un tributo di vite umane: l’Osservatorio CittàClima ha contato 251 morti, di cui 42 riferiti al solo 2019, in aumento rispetto ai 32 del 2018. Per il CNR le persone evacuate in seguito a frane e alluvioni sono 50.000.

Tra le città più colpite, per l’Osservatorio il caso più clamoroso è quello di Roma, dove «dal 2010 a ottobre 2020 si sono verificati 47 eventi estremi, 28 dei quali riguardanti allagamenti in seguito alle piogge intense». Al secondo posto c’è Bari, dove gli eventi estremi sono stati 41, soprattutto allagamenti da piogge intense (20) e trombe d’aria (18). Segue Agrigento, con 31 eventi: 15 allagamenti e 7 danni alle infrastrutture causati anche da trombe d’aria. Da segnalare anche Milano, con 29 eventi in totale, 20 dei quali sono le esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro.

In questo terribile 2020 bisestile, fino a fine ottobre, «in Italia si sono verificati 86 casi di allagamento da piogge intense e 72 casi di trombe d’aria, in forte aumento rispetto ai 54 casi dell’intero 2019 e ai 41 registrati nel 2018. Ancora, 15 esondazioni fluviali, 13 casi di danni alle infrastrutture, 12 casi di danni da siccità prolungata, 9 frane da piogge intense». Legambiente sottolinea come «ad aumentare siano gli eventi estremi che riguardano contemporaneamente anche due o più categorie e che gli episodi tendono a ripetersi negli stessi Comuni dove si erano già verificati in passato».

Sempre più drammatiche, in particolare, le conseguenze dei danni da trombe d’aria, che nell’Italia meridionale si abbattono sulle città costiere, mentre in quella settentrionale si concentrano nelle aree di pianura.

Nei centri urbani italiani le ondate di caldo sono sempre più forti e prolungate e nelle città la temperatura media cresce a ritmi più elevati che nel resto del Paese. Tra i fenomeni estremi a maggiore intensità, anche quelli alluvionali, con quantitativi d’acqua che normalmente cadrebbero in diversi mesi o in un anno e che invece si riversano nelle strade in poche ore, seguiti sempre più spesso da lunghi periodi di siccità.

Secondo il programma di osservazione europea Copernicus, il settembre 2020 è stato il più caldo mai registrato in tutto il mondo. Inoltre, nonostante i lockdown diffusi, secondo l’ultimo bollettino Wmo, le concentrazioni globali di CO2 hanno ufficialmente superato la soglia di 410 ppm.

Legambiente ricorda che «a rischio c’è la salute delle persone, tanto che il paper Valuing the Global Mortality Consequences of Climate Change Accounting for Adaptation Costs and Benefits, pubblicato ad agosto dal National Bureau of Economic Research, stima che le vittime legate all’aumento delle temperature globali arriveranno a eclissare l’attuale numero di morti per tutte le malattie infettive combinate del pianeta, se non si adotteranno misure per invertire la rotta. Mentre secondo il Climate Risk Index di Germanwatch, tra il 1999 e il 2018 l’Italia ha registrato complessivamente 19.947 morti riconducibili agli eventi meteorologici estremi e perdite economiche quantificate in 32,92 miliardi di dollari. E a pagare le conseguenze maggiori, ancora una volta, saranno i più poveri, nel Belpaese come nel resto del mondo».

Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente , ha sottolineato che «nel Rapporto 2020 di CittàClima abbiamo tracciato un bilancio degli ultimi dieci anni con numeri e una mappa aggiornata degli impatti nel territorio italiano  L’intento è quello di far capire come serva un cambio delle politiche di fronte a fenomeni di questa portata. L’Italia è oggi l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima, per cui continuiamo a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione. Dal 2013 il nostro Paese ha speso una media di 1,9 miliardi l’anno per riparare ai danni e soltanto 330 milioni per la prevenzione: un rapporto di 6 a 1 che è la ragione dei danni che vediamo nel territorio italiano – osserva ancora Zanchini – Il Recovery plan deve contenere la risposta a queste sfide, con risorse per l’adattamento e un cambio della governance che oggi non funziona. Del resto, oggi sappiamo che cosa dobbiamo fare, come raccontiamo con decine di buone pratiche nel rapporto, e abbiamo tutte le informazioni e gli strumenti per analizzare le aree coinvolte dai fenomeni, per comprenderne le possibili cause antropiche, le scelte insediative, i fenomeni di abusivismo edilizio che ne aggravano gli impatti e individuare efficaci strategie di contrasto e adattamento».

Il rapporto di Legambiente presenta anche alcune buone pratiche già attuate in tutto il mondo e in diverse città italiane, con risultati positivi nella prevenzione del rischio e nell’adattamento al cambio climatico: dai regolamenti edilizi sostenibili allo smart mapping, dalla tutela delle aree verdi estensive alberate a interventi mirati come quelli effettuati in provincia di Pisa dove si è proceduto al detombamento dei corsi d’acqua, al drenaggio e al rallentamento delle acque meteoriche e all’installazione dei semafori anti-allagamento per prevenire fenomeni alluvionali.

Andrea Minutolo, responsabile dell’ufficio scientifico di Legambiente, ribadisce che «il Recovery plan deve affrontare di petto il dissesto idrogeologico, affatto disgiunto dalla questione climatica, e tuttavia sempre considerato in un’ottica emergenziale nel nostro Paese. Eppure, cambiamento climatico e dissesto idrogeologico sono due facce della stessa medaglia. E’ evidente come qualsiasi pianificazione territoriale dovrebbe tenere in forte considerazione la componente climatica, che amplifica eventi naturali quali le frane e le alluvioni e si somma a una serie di fattori come consumo di suolo, impermeabilizzazione, espansione urbanistica, erosione costiera, conservazione delle aree naturali: tutti elementi che devono necessariamente rientrare in una logica di programmazione efficace».

Il Cigno Verde chiede al governo: «L’approvazione immediata del piano di adattamento climatico; di rafforzare il ruolo delle Autorità di distretto e dei Comuni negli interventi contro il dissesto idrogeologico, con risorse per la progettazione e realizzazione degli interventi, l’assunzione di tecnici; che le aree urbane diventino la priorità negli interventi di adattamento al clima; norme più efficaci per adattare i territori agli impatti climatici e mettere in sicurezza le persone». A quest’ultimo proposito, Legambiente ritiene che «Per uscire dal campo della contabilità dei danni e dei morti, occorra cambiare le regole d’intervento con un patto tra Governo, Regioni e Comuni, approvando una Legge dello Stato che consenta di assumere decisioni non più procrastinabili per mettere in sicurezza territori e persone».

Per gli ambientalisti il provvedimento di legge dovrebbe porsi 10 obiettivi: Vietare qualsiasi edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e in quelle individuate da enea come aree di esondazione al 2100 per l’innalzamento del livello dei mari; Delocalizzare gli edifici in aree classificate ad elevato rischio idrogeologico; Salvaguardare e ripristinare la permeabilità dei suoli nelle aree urbane; Vietare l’utilizzo dei piani interrati per abitazioni; Mettere in sicurezza le infrastrutture urbane dai fenomeni metereologici estremi; Vietare l’intubamento dei corsi d’acqua e pianificare la riapertura di quelli tombati nel passato; Recuperare, riutilizzare, risparmiare l’acqua in tutti gli interventi edilizi; Utilizzare materiali capaci di ridurre l’effetto isola di calore nei quartieri; Creare, in tutti gli interventi che riguardano gli spazi pubblici, come piazze e parcheggi, ma anche negli interventi di edilizia private, vasche sotterranee di recupero e trattenimento delle acque piovane; Prevedere risorse statali per mettere a dimora alberi e creare boschi urbani.

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