C’è molto di più dei cambiamenti climatici nell’alluvione di Bitti, in Sardegna
Wwf: «Se un evento si ripete nella stessa località a distanza di sette anni e fa ancora più danni vuol dire che le istituzioni non sono state capaci di intervenire e liberare il torrente tombato e mettere in sicurezza il territorio»
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Bitti, paese sardo di 3000 abitanti, il 28 novembre è stato colpito da una alluvione che ha arrecato enormi danni al territorio e soprattutto si è portata via tre vite umane: da una prima ricostruzione il fenomeno meteo estremo è caratterizzabile come una «alluvione lampo – spiega Massimiliano Fazzini, geologo dell’Università di Camerino e coordinatore del Gruppo cambiamenti climatici della Sigea – che ha interessato il centro storico della città, una colata frammista di fango, detriti anche grossolani ed acqua si è attivata dai rilievi immediatamente sovrastanti la cittadina per poi “incanalarsi” in un impluvio estremamente vegetato e di seguito tombinato in prossimità del centro storico».
L’impatto è stato devastante, ma anche un amarissimo deja-vu. Lo stesso comune del nuorese, infatti, il 18 novembre del 2013 era stato colpito da un evento analogo. Ma cosa è successo in questi 7 anni per eliminare o mitigare il rischio per gli abitanti di un paese come quello di Bitti che negli anni ha soffocato il suo territorio tombinando corsi d’acqua a carattere torrentizio che conoscono una sola legge, quella di gravità che li spinge inesorabilmente verso il mare con tutto il loro carico di acque e detriti? «Purtroppo molto poco, se non la pubblicazione il 3 settembre 2020 – dopo 7 anni dall’ultima alluvione – del bando per la gara di progettazione europea curato dalla Sogesid “Interventi di mitigazione del rischio idrogeologico nel Comune di Bitti», sottolinea Antonello Fiore, geologo e presidente Sigea.
Come ricordano dalla Sigea, il paese di Bitti si è sviluppato con una morfologia “ad anfiteatro” lungo i versanti acclivi della valle del Rio Cuccureddu e della valle del Riu Podda. L’edificato più recente, a nord-ovest del nucleo storico, ha occupato la valle del Rio Giordano caratterizzata da una morfologia più pianeggiante: i due corsi d’acqua, in corrispondenza dell’edificato hanno subito forti trasformazioni artificiali per complessivi 5 chilometri.
«La crisi climatica – spiegano nel merito dal Wwf – sta moltiplicando gli eventi meteorologici estremi che sono sempre più intensi e frequenti. Ma se un evento si ripete nella stessa località a distanza di sette anni e fa ancora più danni vuol dire che le istituzioni non sono state capaci di intervenire e liberare il torrente tombato e mettere in sicurezza il territorio».
Ecco dunque che il cambiamento climatico si “abbatte” su un territorio reso fragile e vulnerabile dall’incuria, dalla riduzione delle aree di esondazione naturale, dalla canalizzazione e dal tombamento dei nostri corsi d’acqua, tra «le principali cause di questo disastro» come sottolinea il Panda nazionale. «Non ci si possono più permettere ritardi sia nell’azione di messa in sicurezza del territorio e di ripristino della salute degli ecosistemi e del corso naturale dei fiumi e torrenti, non possono esserci alibi: serve un’immediata assunzione di responsabilità nella corretta gestione del territorio che deve tenere conto del cambiamento climatico in atto che, purtroppo, ci metterà di fronte ad eventi sempre più frequenti e intensi. Perché come dimostra quello che è accaduto a Bitti se non si interviene i disastri si ripetono».