Ecco il “reale” pericolo dei visoni infettati dal coronavirus
In Danimarca ha suscitato allarme un ceppo mutato di SARS-Cov-2 comparso negli allevamenti di visoni, che ha infettato una decina di persone. Secondo alcuni esperti non c’è un rischio immediato di aumento della diffusione del virus, ma non va trascurato il pericolo che gli animali da allevamento, come quelli da compagnia, possano diventare un serbatoio virale
di Lars Fischer/Scientific American
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Un nuovo ceppo di coronavirus ha fatto la sua comparsa negli allevamenti di visoni in Danimarca. Da giugno, le varianti legate ai visoni hanno infettato più di 200 persone, una decina delle quali circa ha subito una mutazione chiamata “Cluster 5”. Per evitare un’ulteriore diffusione, il 4 novembre il governo danese ha annunciato che tutti i visoni del Paese sarebbero stati abbattuti, anche se il piano è stato poi sospeso in seguito all’opposizione di alcuni legislatori. Il timore è che questa mutazione possa diminuire l’efficacia dei vaccini per COVID-19 attualmente in fase di sviluppo. Le informazioni sulle mutazioni pubblicate finora non supportano questa eventualità, ma non è ancora chiaro quale effetto possano avere queste mutazioni.
Come i furetti e molti altri animali, i visoni sono sensibili al SARS-CoV-2 e possono trasmetterlo ad altri individui della propria specie. Inoltre, possono trasmettere il virus anche all’uomo, come hanno dimostrato i diversi casi registrati nei Paesi Bassi lo scorso giugno.
La variante danese del coronavirus presenta due mutazioni che, secondo le scarse informazioni rese disponibili finora dallo Statens Serum Institute di Copenaghen, riguardano la proteina spike che il virus utilizza per infettare le cellule. Secondo le analisi dell’istituto, le mutazioni riducono l’efficacia degli anticorpi. In agosto, i ricercatori hanno scoperto che una delle mutazioni disattiva gli anticorpi nel cocktail terapeutico della società Regeneron, quello usato per curare il presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
Anche se si possono trarre alcune conclusioni preliminari sulle caratteristiche fondamentali del nuovo coronavirus da studi di laboratorio e analisi computerizzate, esse non ci dicono come il virus si comporti effettivamente nell’essere umano.
La difficoltà nel comprendere il comportamento di SARS-CoV-2 è emersa durante le discussioni su una mutazione identificata in passato e chiamata D614G, che caratterizza un ceppo virale dominante, diffuso soprattutto in Europa e lungo la costa orientale degli Stati Uniti. Non è ancora chiaro se l’elevata trasmissibilità di questo ceppo osservata in laboratorio si verifichi anche nelle cellule di persone viventi.
Questo vale anche per le due mutazioni principali che, secondo un gruppo guidato da Jesse Bloom del Fred Hutchinson Cancer Research Center, aumentano l’efficacia con cui la proteina spike si lega ai recettori ACE2 umani. Come ha twittato il laboratorio di Bloom all’inizio di novembre, “Cosa significa questo per la trasmissione umana o per la malattia? Impossibile dirlo, ma probabilmente niente, almeno per la trasmissione”. Bloom sostiene che non ci sono indicazioni che SARS-CoV-2 si stia evolvendo verso una maggiore capacità di legame. Presumibilmente, i macchinari molecolari attuali del virus funzionano già abbastanza bene.
Anche altri esperti del settore dubitano che le mutazioni trovate nei visoni possano avere una rilevanza diretta per la pandemia. Il genetista Francois Balloux, dello University College di Londra, ha twittato che le mutazioni non sono nulla di cui preoccuparsi. A causa del loro già elevato tasso di mutazione, varianti di questo tipo, insieme ad altre, probabilmente sono già apparse negli esseri umani. Se avessero conferito effettivamente un vantaggio significativo in termini di trasmissione, si sarebbero diffuse molto tempo fa.
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) attualmente non vede alcuna prova di rischio elevato. Secondo la responsabile scientifica dell’OMS Soumya Swaminathan, che ha parlato venerdì a Ginevra, ci sono già state numerose mutazioni del SARS-CoV-2. “È troppo presto per saltare a conclusioni sulle implicazioni di queste mutazioni specifiche” per la trasmissibilità, la gravità della malattia, i sintomi clinici, la risposta immunitaria o la potenziale efficacia del vaccino, dice.
La situazione può essere diversa per le “mutazioni di fuga”, che permettono al virus di eludere una risposta immunitaria e persino di compromettere l’efficacia del vaccino. Secondo Bloom, è possibile che una mutazione abbia un piccolo effetto antigenico, cioè che influisca sul legame degli anticorpi prodotti dal vaccino. Tuttavia, in base alle sue stesse ricerche, non crede che una tale mutazione da sola possa diminuire drasticamente l’efficacia della risposta immunitaria.
Le mutazioni però non sono l’unico problema provocato dai visoni infettati da SARS-CoV-2. Il più grande è la possibilità che il virus si diffonda in modo indipendente nelle popolazioni animali. I ricercatori temono che il visone e le specie affini costituiscano un serbatoio, fornendo un rifugio permanente al virus.
Questo complicherebbe notevolmente la battaglia contro SARS-CoV-2. Supponiamo, per esempio, che il virus sia stato completamente eradicato in una certa regione. Se peròcontinuasse a essere presente negli animali da allevamento o anche negli animali domestici, potrebbe riemergere in qualsiasi momento e in modo improvviso.
Anche se c’è una disponibilità sufficiente di vaccino, all’inizio non ce ne sarà abbastanza per vaccinare l’intera popolazione e magari neppure per i gruppi ad alto rischio, quindi le scorte disponibili dovrebbero essere utilizzate in una campagna mirata al contenimento del virus. La “vaccinazione ad anello”, in cui si crea una sorta di muro di protezione attorno alle persone notoriamente infette vaccinando i loro contatti e i contatti dei loro contatti in modo che il virus non sia in grado di diffondersi ulteriormente, potrebbe essere un approccio importante.
Sarebbe una strategia promettente se i casi di coronavirus diminuissero in modo significativo la prossima estate, soprattutto perché in realtà solo una piccola percentuale di persone infettate contagia gli altri, il che spiega perché molte catene di infezione si esauriscono da sole. Anche senza vaccino, alcuni Paesi sono riusciti a eradicare virtualmente il virus solo con misure mirate. Con un vaccino, le possibilità di fermare la malattia aumenterebbero notevolmente anche altrove.
La situazione cambia però appena il virus trova rifugio e si stabilisce negli animali ospiti. A quel punto, rompere la catena dell’infezione umana non è più sufficiente perché gli animali possono causare nuove epidemie. Questo scenario non è affatto improbabile perché, a parte il visone, alcune altre specie possono avere un’elevata suscettibilità al virus. E alcuni di questi animali possono essere predati dai gatti, che sono anch’essi vulnerabili al SARS-CoV-2. Finora i gatti non hanno avuto alcun ruolo nella pandemia, ma non è chiaro cosa potrebbe accadere se venissero regolarmente a contatto con animali selvatici infetti.
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” l’11 novembre 2020. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)