Potremmo presto avere più mascherine che meduse nel Mar Mediterraneo
Tra le conseguenze della pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 vi è la necessita di produrre un numero enorme di dispositivi di protezione individuale (DPI) spesso monouso, che devono essere necessariamente smaltiti nell’indifferenziata. In molti, tuttavia, li stanno gettando per terra e nei mari, dove rischiano di innescare una vera e propria catastrofe ambientale.
di Andrea Centini
scienze.fanpage.it
Dopo aver condotto una campagna di sensibilizzazione sull’inquinamento marino in Costa Azzurra, alla fine di maggio l’organizzazione francese “Opération Mer Propre” (Operazione Mare Pulito) lanciò l’allarme sul rischio dei dispositivi di protezione individuale (DPI) abbandonati nell’ambiente, sempre più numerosi a causa della pandemia di coronavirus SARS-CoV-2 in corso. Benché durante le immersioni i subacquei non trovarono un numero esagerato di pezzi, seppur significativo, al fianco del video di denuncia scrissero provocatoriamente che nel Mediterraneo si rischiava di avere “più mascherine che meduse”.
Mascherine e altri rifiuti sul fondo del mare: l’inquinamento da Coronavirus
Col passare delle settimane e la necessità sempre più stringente di questi dispositivi, i numeri di pezzi recuperati nei mari, sulle spiagge o per terra è continuato a crescere vertiginosamente, tratteggiando uno scenario inquietante che rischia di trasformarsi in una vera e propria catastrofe ambientale. Ad aumentare i rischi anche la riapertura delle scuole in diversi Paesi nel mese di settembre, che inevitabilmente favorirà la circolazione delle mascherine e la conseguente necessità di smaltirne un numero sempre più elevato. Secondo le stime, con le scuole si aggiungeranno altri 10 milioni di pezzi ogni giorno da eliminare.
Tutto, naturalmente, ruota attorno al senso civico delle persone, che devono smaltire questi dispositivi nell’indifferenziata, come sottolineato più volte dall’Istituto Superiore della Sanità, dal Ministero della Salute e da altre istituzioni. Mascherine e guanti devono essere infatti distrutti negli inceneritori e nei termovalorizzatori per eliminare qualunque residuo di virus potenzialmente presente; non è possibile inserirle in un virtuoso circolo di riciclo (quando funziona) come avviene per carta, plastica, metallo e altri materiali.
Purtroppo, come dimostrano le continue segnalazioni, in tantissimi non si stanno comportando civilmente, abbandonando i DPI nell’ambiente e mettendo a repentaglio la salute degli ecosistemi e di conseguenza anche la nostra. Sono già diversi gli animali rimasti uccisi o salvati in extremis – come questo gabbiano – perché rimasti intrappolati tra legacci ed elastici delle mascherine. Nel porto di Ancona, ad esempio, l’imbarcazione impiegata per le pulizie – chiamata “Il Pellicano” – sta raccogliendo un numero sempre maggiore di rifiuti legati alla pandemia, diventati una componente significativa della spazzatura. Prima erano “inesistenti” come sottolineato dal presidente delle autorità portuali Rodolfo Giampieri.
«Andare in spiaggia e trovare tutti questi guanti e mascherine abbandonati è stato davvero demoralizzante», ci ha raccontato Luisa di @siciliamarevivo.
🔵 Leggi tutti i consigli su come gestire correttamente mascherine e guanti: https://t.co/IVHC4Y7ify pic.twitter.com/t93vpymMn3— Marevivo Onlus (@MarevivoOnlus) May 23, 2020