Lo spostamento verso l’alto dello zero termico nella troposfera, ha diminuito la quantità delle nevicate
E’ stato l’innalzamento della temperatura nella parte più bassa dell’atmosfera a spostare a quote maggiori il punto di fusione dei cristalli ghiacciati presenti nelle nubi, aumentando così la frequenza delle piogge a scapito delle nevicate. Il fenomeno indica che per capire meglio le conseguenze del riscaldamento globale non basta considerare le temperature al suolo
di Enrico Nicosia
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Quando parliamo di riscaldamento globale la prima grandezza che prendiamo in considerazione è la temperatura in prossimità della superficie. Oltre alla temperatura al suolo, però, c’è un’altra misura che potrebbe essere ancora più importante nel determinare i fenomeni che caratterizzano il cambiamento climatico in atto: la temperatura dell’aria negli strati dell’atmosfera appena superiori.
Molti studi hanno indagato i cambiamenti di temperatura al livello di oceani e terre emerse, registrando un aumento di circa 1°C negli ultimi cento anni, con una forte accelerazione a partire dalla fine degli anni settanta dello scorso secolo. A questo incremento gli scienziati hanno associato fenomeni come la riduzione delle precipitazioni nevose, il ritiro dei ghiacciai e l’aumento della piovosità, con frequenti eventi estremi.
Un’attenzione minore è stata data, invece, a ciò che accade un po’ più in alto, e alle conseguenze dei cambiamenti termici nella troposfera (lo strato di atmosfera più vicino alla superficie terrestre, che ha uno spessore di 12-18 chilometri) a quote più elevate. Uno studio recente pubblicato su “Nature Climate Change” fa ora luce sugli effetti dei cambiamenti di temperatura in questa parte dell’atmosfera sulla fisica delle nubi e, di conseguenza, sulle precipitazioni.
Nello studio, Andreas F. Prein e Andrew J. Heymsfield, entrambi fisici al National Center for Atmospheric Research (NCAR) a Boulder, hanno combinato i dati sulle condizioni meteorologiche ad alta quota ottenuti con radiosondaggi (misurazioni con radiosonde lanciate fino alla stratosfera) fra il 1979 e il 2010, con il risultato di due analisi condotte dal Centro europeo per le previsioni del tempo a medio termine su una grande quantità di dati atmosferici, relativi allo stesso periodo, ed elaborati in base a modelli dinamici.
I ricercatori hanno così scoperto che il riscaldamento dell’atmosfera ha determinato uno spostamento globale medio verso l’alto, di circa 30 metri al decennio, del melting level, la quota a cui la precipitazione ghiacciata che scende dalle nubi inizia a sciogliersi. Nello studio gli autori mostrano come questo innalzamento del livello di fusione incida sulla quantità e sull’intensità delle precipitazioni nevose e piovose che arrivano al suolo.
Le condizioni dell’alta troposfera e il melting level
La troposfera contiene l’80 per cento circa della massa totale dell’atmosfera e la quasi totalità del vapore acqueo atmosferico: è qui che si formano le nubi e avvengono i fenomeni meteorologici. Le temperature troposferiche hanno quindi un impatto sulla dinamica delle precipitazioni.
“È molto importante studiare i cambiamenti che interessano la colonna d’aria per comprendere l’evoluzione delle condizioni climatiche”, commenta il fisico Antonello Pasini, esperto di cambiamento climatico del Consiglio nazionale delle ricerche e noto divulgatore. “In particolare è interessante capire che ruolo ha lo spostamento del melting level sulla quantità e sul tipo di precipitazioni”.
“Il melting level può essere considerato come il punto in cui si incontra lo zero termico, la quota a cui, spostandosi dall’alto verso il basso, le temperature diventano positive”, spiega Pasini. “A questo livello le precipitazioni che si sono formate nelle nubi iniziano a liquefarsi. In base all’altezza di questo punto di fusione, quindi al tempo a disposizione per un completo scioglimento, e alle temperature più vicine alla superficie, avremo precipitazioni nevose, grandine o pioggia.”
Il suo spostamento verso l’alto comporta quindi l’intensificarsi degli eventi piovosi e la diminuzione delle precipitazioni nevose, come hanno riscontrato Prein e Heymsfield in Europa, Asia e Nord America fra il 1979 e il 2010. I loro risultati sono in linea con quanto emerso da una ricerca dell’Eurac Research di Bolzano pubblicata in giugno su “Remote Sensing of Environment”. Sulla base di dati raccolti tra il 2000 e il 2018, lo studio ha fornito le prove della riduzione della copertura nevosa nel 78 per cento delle aree montane del globo.
Contattata da “Le Scienze”, Claudia Notarnicola, autrice dello studio, riconosce un legame fra variazioni del melting level e le osservazioni sul manto nevoso. “Anche se gli studi coprono intervalli temporali differenti, con una breve sovrapposizione – spiega – le osservazioni sulla copertura del manto nevoso possono essere ricollegate alle variazioni che interessano il melting level. Lo spostamento verso l’alto del punto di fusione incide sulla durata della neve al suolo, che fonde più velocemente, e può determinare la diminuzione degli eventi nevosi in favore delle precipitazioni piovose, un fenomeno emerso anche dalla nostra analisi.”
Lo spostamento verso l’alto del punto di fusione genera quindi nuove condizioni di precipitazione che innescano la catena di eventi collegata al cambiamento climatico in atto. “Più pioggia e meno neve significa perdere una parte dello stoccaggio di acqua che, congelata, si scioglie lentamente e fornisce riserve idriche fondamentali per prevenire condizioni di siccità estiva in molte zone del mondo. Inoltre, si riduce anche il ruolo protettivo che la neve svolge contro lo scioglimento dei ghiacciai”, commenta Pasini.
Ma non solo: “La caduta di grandi quantità di pioggia e l’innalzamento della quota di neve – aggiunge Pasini – possono portare a frequenti alluvioni, anche quando non dovrebbero esserci. Se la quota di neve si alza, tutto ciò che precipita al di sotto di questa altezza è acqua, ed ecco che possiamo avere alluvioni anche in inverno”.
Guardare più in alto
Infine, i ricercatori hanno individuato un collegamento anche con le piogge estreme. Lo spostamento verso l’alto del livello di fusione si traduce infatti in un aumento dello strato di nuvole “calde” – la parte acquosa delle nubi – compreso fra la base delle nuvole e il melting level. Si formano così gocce d’acqua più grandi, che precipitano al suolo con più violenza, generando quegli eventi estremi che sono sempre più frequenti.
La relazione fra innalzamento del melting level e precipitazioni estreme emersa dallo studio coincide in parte con i risultati di una ricerca nel maggio del 2019, nella quale si rilevava l’aumento costante di fenomeni meteorologici estremi a partire dal 1964, poco prima dunque del periodo preso in esame da Prein e Heymsfield.
“Capire che cosa accade negli strati superiori dell’atmosfera e come le condizioni della colonna d’aria stanno cambiando nel corso del tempo è fondamentale per cogliere il problema del riscaldamento globale in tutta la sua criticità. In particolare, è alla troposfera che dobbiamo rivolgere lo sguardo. È lo strato attivo dell’atmosfera e può darci indizi preziosi su come sta cambiando il clima”, conclude Pasini sottolineando l’importanza di studi che non si limitino a prendere in esame solo le condizioni dell’atmosfera vicino alla superficie, ma guardino anche più in alto.