Perchè i grandi cambiamenti climatici del passato sono diversi rispetto a quelli odierni
Nella lunga storia della Terra il clima del pianeta è radicalmente cambiato più e più volte, con conseguenze spesso drammatiche. A differenza del cambiamento climatico attuale, però, le cause sono sempre state naturali. Questa panoramica riassume i vari eventi che si sono avvicendati e sottolinea le differenze con quello che sta accadendo ora
di Howard Lee/QuantaMagazine
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In momenti diversi del suo passato, la Terra è stata sia una palla di neve che una serra rovente. Ma se il clima cambiava prima dell’arrivo degli esseri umani, come facciamo a essere sicuri che la responsabilità del drammatico riscaldamento attuale sia nostra?
In parte dipende dal fatto che possiamo dimostrare in modo inequivocabile il nesso causale tra le emissioni di anidride carbonica dovute alle attività umane e l’aumento di 1,28 °C (e oltre) nelle temperature globali rispetto all’epoca preindustriale. Le molecole di CO2 assorbono i raggi infrarossi, perciò se nell’atmosfera ce ne sono di più, intrappolano una quantità maggiore del calore irradiato dalla superficie terrestre.
Però i paleoclimatologi hanno anche fatto enormi passi avanti nel comprendere i processi alla base dei cambiamenti climatici terrestri passati. Quella che segue è una panoramica di dieci modi in cui il clima cambia per cause naturali e un confronto tra ciascuno di essi e quello che sta succedendo oggi.
Cicli solari
Magnitudine: da 0,1 °C a 0,3 °C di raffreddamento
Scala temporale: episodi di rallentamento dell’attività solare che durano 30-160 anni, a distanza di secoli l’uno dall’altro
Ogni 11 anni il campo magnetico del Sole si inverte e così facendo dà il ritmo a un ciclo undecennale in cui l’attività solare aumenta e poi diminuisce. Però questa variazione dell’attività solare è di modesta entità e ha un impatto trascurabile sul clima terrestre. Più significativi sono i «grandi minimi solari», periodi di attività solare ridotta che durano decenni e che si sono verificati 25 volte negli ultimi 11.000 anni.
Un esempio recente, il minimo di Maunder, che ebbe luogo tra il 1645 e il 1715, vide l’energia del Sole scendere tra lo 0,04 e lo 0,08 per cento al di sotto della media moderna. Gli scienziati hanno ritenuto a lungo che il minimo di Maunder potesse aver causato la «piccola era glaciale», un periodo freddo che durò dal XV al XIX secolo; più recentemente, però, si è dimostrato che quel minimo fu troppo ridotto e non avvenne nel momento giusto per spiegare il raffreddamento, che probabilmente era dovuto piuttosto a un’attività vulcanica. Negli ultimi cinquant’anni il Sole ha ridotto la propria attività mentre la Terra si è progressivamente riscaldata, perciò il riscaldamento globale non si può attribuire al Sole.
Zolfo di origine vulcanica
Magnitudine: da 0,6 °C a 2 °C di raffreddamento
Scala temporale: da 1 a 20 anni
Nell’anno 539 o 540 d.C., il vulcano Ilopango nel Salvador esplose in un’eruzione così violenta che la colonna eruttiva arrivò molto in alto nella stratosfera. Estati fredde, siccità, carestie ed epidemie devastarono le società di tutto il mondo. Eruzioni come quella dell’Ilopango iniettano nell’atmosfera goccioline di acido solforico riflettenti, che bloccano la luce solare e causano un raffreddamento del clima. Come conseguenza, la banchisa polare può diventare più estesa, riflettere nello spazio una quantità maggiore di luce solare e quindi prolungare il raffreddamento globale.
L’Ilopango causò un calo di circa 2 °C che durò vent’anni. Più recentemente, l’eruzione del Pinatubo, nelle Filippine nel 1991 fece raffreddare il clima globale di 0,6 °C per 15 mesi. La presenza di zolfo di origine vulcanica nell’atmosfera può causare perturbazioni, ma sulla scala della storia terrestre è un fenomeno minuscolo e passeggero.
Variazioni climatiche di breve termine
Magnitudine: fino a 0,15 °C
Scala temporale: da 2 a 7 anni
Oltre agli schemi meteorologici che si ripetono nell’andamento delle stagioni, esistono altri cicli a breve termine che hanno un effetto su precipitazioni e temperature. Il più significativo, El Niño-Oscillazione Meridionale, implica cambiamenti nella circolazione atmosferica nella zona tropicale dell’Oceano Pacifico, che avvengono con una cadenza di 2-7 anni e hanno un influsso molto forte sulle precipitazioni in America del Nord. L’Oscillazione Nord Atlantica e il Dipolo dell’Oceano Indiano sono altri due fenomeni con forti effetti regionali ed entrambi interagiscono con El Niño-Oscillazione Meridionale.
In passato le interconnessioni tra questi cicli rendevano difficile dimostrare che i cambiamenti climatici indotti dall’uomo avessero rilevanza statistica e non fossero semplicemente un altro esempio di variazione naturale. Ma più recentemente il cambiamento climatico antropogenico ha superato di molto la variazione naturale in termini di clima e temperature stagionali. L’edizione 2017 dello U.S. National Climate Assessment ha concluso che «nelle osservazioni effettuate non si trovano prove convincenti che i cicli naturali possano spiegare i cambiamenti osservati nel clima».
Oscillazioni orbitali
Magnitudine: circa 6 °C nell’ultimo ciclo di 100.000 anni; varia nel corso delle epoche geologiche
Scala temporale: cicli regolari e sovrapposti di 23.000, 41.000, 100.000, 405.000 e 2.400.000 anni
L’orbita della Terra oscilla quando il Sole, la Luna e gli altri pianeti cambiano la loro posizione relativa. Queste oscillazioni cicliche, dette cicli di Milankovitch, causano una variazione fino al 25 per cento della quantità di luce solare che raggiunge le medie latitudini e quindi comportano un’oscillazione del clima. Questi cicli ci sono sempre stati e hanno dato origine agli strati alternati di sedimenti che si vedono sulle scogliere o sulle pareti di roccia.
Durante il Pleistocene, che terminò circa 11.700 anni fa, i cicli di Milankovitch fecero attraversare al nostro pianeta diverse ere glaciali. Quando l’orbita terrestre rendeva le estati più calde della media nell’emisfero boreale, gli enormi ghiacciai in America del Nord, Europa e Asia si scioglievano; quando l’orbita raffreddava le estati boreali, i ghiacciai tornavano a crescere. Dato che gli oceani assorbono meno CO2 quando sono più caldi, i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera salivano e scendevano al ritmo di queste oscillazioni orbitali, amplificandone gli effetti.
Oggi la Terra si sta avvicinando a un altro punto minimo di insolazione nell’emisfero boreale, perciò senza le emissioni umane di CO2 andremmo incontro a un’altra era glaciale entro i prossimi 1500 anni circa.
Un Sole giovane e debole
Magnitudine: nessun effetto netto sulla temperatura
Scala temporale: costante
Benché la luminosità del Sole oscilli su una scala temporale più ridotta, complessivamente aumenta dello 0,009 per cento ogni milione di anni ed è aumentata del 48 per cento dalla nascita del sistema solare, 4,5 miliardi di anni fa.
Ne consegue quindi che, con un Sole giovane e ancora debole, la Terra sarebbe dovuta essere interamente coperta di ghiaccio per la prima metà della sua esistenza. Invece, paradossalmente, i geologi hanno trovato rocce di 3,4 miliardi di anni fa che si formarono in acque agitate dalle onde. È probabile che il clima primordiale inaspettatamente caldo della Terra si spieghi con una combinazione di fattori quali la minore erosione terrestre, il cielo più limpido, la durata minore del giorno e la peculiare composizione dell’atmosfera terrestre, che non era ancora ricca di ossigeno.
Le condizioni miti nella seconda metà dell’esistenza della Terra, nonostante l’aumento di luminosità del Sole, non creano un paradosso: il pianeta ha un termostato naturale, legato al processo di meteorizzazione, che controbilancia gli effetti della luce in più, stabilizzando la temperatura della Terra (vedi sotto).
Anidride carbonica e termostato naturale
Magnitudine: controbilancia gli altri cambiamenti
Scala temporale: 100.000 anni o più
Il principale selettore di regolazione del clima terrestre fin dalle origini è sempre stato il livello di anidride carbonica nell’atmosfera, dato che l’anidride carbonica è un gas serra persistente che intrappola il calore che cerca di uscire dal pianeta.
A emettere CO2 in atmosfera sono i vulcani, le rocce metamorfiche e l’ossidazione del carbonio nei sedimenti erosi, mentre le reazioni chimiche con i silicati rimuovono anidride carbonica dall’atmosfera e la seppelliscono sotto forma di pietra calcarea. L’equilibrio tra questi processi funziona da termostato, perché quando il clima diventa più caldo, le reazioni chimiche diventano più efficienti nel rimuovere CO2 dall’atmosfera, frenando così il riscaldamento. Quando il clima si raffredda, le reazioni diventano meno efficienti, rallentando il raffreddamento. Di conseguenza, su una scala temporale più lunga il clima terrestre si è mantenuto relativamente stabile, dando luogo a un ambiente abitabile. In particolare, i livelli medi di anidride carbonica sono scesi costantemente in risposta all’aumento di luminosità del Sole.
Tuttavia questo termostato naturale legato al processo di meteorizzazione ha bisogno di centinaia di migliaia di anni per reagire ai cambiamenti nei livelli di CO2 in atmosfera. Gli oceani sono un po’ più veloci nell’assorbire e rimuovere l’eccesso di carbonio, ma anche questo processo richiede millenni e può essere sopraffatto, il che porta all’acidificazione degli oceani. Ogni anno la combustione di carburanti fossili emette circa 100 volte più anidride carbonica dei vulcani, una quantità troppo grande e a un ritmo troppo veloce perché gli oceani e il termostato naturale della meteorizzazione riescano a neutralizzarla; ed è per questo che il clima si sta surriscaldando e gli oceani si stanno acidificando.
Tettonica a placche
Magnitudine: circa 30 °C negli ultimi 500 milioni di anni
Scala temporale: milioni di anni
Lo spostamento delle masse continentali sulla crosta terrestre può lentamente reimpostare il termostato naturale della meteorizzazione su un nuovo livello di equilibrio.
In generale il pianeta negli ultimi 50 milioni di anni si è raffreddato, dato che le collisioni tra placche tettoniche hanno portato in superficie rocce chimicamente reattive come i basalti e le ceneri vulcaniche nell’ambiente caldo e umido dei tropici, aumentando il ritmo delle reazioni che rimuovono anidride carbonica dall’atmosfera. Inoltre negli ultimi 20 milioni di anni la formazione dell’Himalaya, delle Ande, delle Alpi e di altre montagne ha più che raddoppiato il ritmo dei fenomeni di erosione, aumentando la meteorizzazione. Alla tendenza al raffreddamento ha contribuito anche l’allontanamento dell’America del Sud e della Tasmania dall’Antartide di 35,7 milioni di anni fa, che diede origine a una nuova corrente oceanica attorno all’Antartide. La nuova corrente diede rinnovato vigore alla circolazione oceanica e al plancton che consuma anidride carbonica; di conseguenza i ghiacciai dell’Antartide aumentarono notevolmente di estensione.
Prima di allora, nel Giurassico e nel Cretaceo, in Antartide c’erano i dinosauri, perché l’aumentata attività vulcanica, in assenza di quelle catene montuose, sosteneva livelli di CO2 in atmosfera pari a circa 1000 parti per milione rispetto alle 415 ppm di oggi. La temperatura media di quel mondo privo di ghiacci era di 5-9 °C più calda rispetto a oggi e il livello del mare era di circa 75 metri più alto.
Impatti di asteroidi
Magnitudine: circa 20 °C di raffreddamento seguiti da 5 °C di riscaldamento (Chicxulub)
Scala temporale: secoli di raffreddamento, 100.000 anni di riscaldamento (Chicxulub)
L’Earth Impact Database riconosce 190 crateri di impatti confermati finora sulla Terra. Nessuno di essi ha avuto un qualsiasi effetto percepibile sul clima terrestre a eccezione dell’impatto di Chicxulub, che polverizzò parte del Messico 66 milioni di anni fa e sterminò i dinosauri. I modelli computerizzati suggeriscono che l’impatto di Chicxulub sparò abbastanza polveri e zolfo negli strati alti dell’atmosfera da ridurre la luce del Sole e raffreddare la Terra di più di 20 °C, oltre ad acidificare gli oceani.
Al pianeta ci vollero secoli per tornare alla temperatura precedente all’impatto, per poi riscaldarsi di altri 5 °C a causa dell’anidride carbonica rilasciata nell’atmosfera dalla pietra calcarea messicana che era stata polverizzata. Rimane ancora da chiarire se l’attività vulcanica in India nello stesso periodo di quell’impatto possa aver esacerbato il cambiamento climatico e l’estinzione di massa.
Cambiamenti evolutivi
Magnitudine: diversa a seconda dell’evento; circa 5 °C di raffreddamento nel tardo Ordoviciano (445 milioni di anni fa)
Scala temporale: milioni di anni
È successo occasionalmente che l’evoluzione di nuove forme di vita abbia reimpostato il termostato terrestre. Per esempio, i cianobatteri fotosintetizzatori che emersero circa 3 miliardi di anni fa iniziarono a terraformare il pianeta con l’emissione di ossigeno. Con la loro proliferazione, 2,4 miliardi di anni fa, la quantità di ossigeno nell’atmosfera finì per aumentare, mentre i livelli di anidride carbonica crollarono. Questo sprofondò la Terra in una serie di fasi «palla di neve» per 200 milioni di anni. L’evoluzione di vita marina con dimensioni superiori a quelle dei microrganismi diede inizio a un’altra serie di fasi palla di neve 717 milioni di anni fa, in questo caso perché quegli organismi iniziarono a far cadere detriti sul fondo dell’oceano, togliendo carbonio dall’atmosfera per farlo finire negli abissi e infine seppellirlo.
Quando ebbero origine le prime piante terrestri (circa 230 milioni di anni più tardi, nell’Ordoviciano), esse iniziarono a formare la biosfera terrestre, sotterrando il carbonio nelle masse continentali ed estraendo dal terreno sostanze nutritive che poi defluivano negli oceani, favorendo anche qui il fiorire della vita. È probabile che questi cambiamenti innescarono l’era glaciale che ebbe inizio circa 445 milioni di anni fa. Più tardi, nel Devoniano, l’evoluzione degli alberi ridusse ulteriormente l’anidride carbonica e le temperature, unendosi alla formazione delle montagne per dare il via all’era glaciale del Paleozoico.
Grandi province ignee
Magnitudine: circa 3-9 °C di riscaldamento
Scala temporale: centinaia di migliaia di anni
Le grandi province ignee, enormi flussi di lava e magma sotterraneo su scala continentale, diedero il via a molte delle estinzioni di massa sulla Terra. Questi eventi vulcanici portavano con sé tutto un armamentario di strumenti mortali (tra cui piogge acide, nebbie acide, avvelenamento da mercurio e distruzione dello strato di ozono e allo stesso tempo causavano il riscaldamento del pianeta rilasciando nell’atmosfera enormi quantità di metano e di anidride carbonica a ritmi più veloci di quelli che il termostato naturale della meteorizzazione avrebbe potuto fronteggiare.
Nell’evento avvenuto alla fine del Permiano, 252 milioni di anni fa, che fece sparire l’81 per cento delle specie marine, il magma sotterraneo incendiò il carbone in Siberia, portò il livello di anidride carbonica nell’atmosfera a 8000 parti per milione e fece aumentare la temperatura di 5-9 °C. Il massimo termico del Paleocene-Eocene, un evento di dimensioni più ridotte avvenuto 56 milioni di anni fa, fece cuocere il metano nei depositi petroliferi dell’Atlantico del Nord e lo iniettò nell’atmosfera, riscaldando il pianeta di 5 °C e acidificando gli oceani; nel periodo seguente alligatori e palme prosperarono sulle coste artiche. Simili rilasci di depositi di carbonio fossile avvennero alla fine del Triassico e all’inizio del Giurassico ed ebbero come conseguenze il riscaldamento globale, la presenza di zone morte negli oceani e l’acidificazione degli oceani stessi.
Se queste cose vi sembrano familiari, è perché l’attività umana oggi ha effetti simili. Come ha scritto in aprile su «Nature Communications» un gruppo di ricerca che studia l’evento alla fine del Triassico: «Le nostre stime suggeriscono che la quantità di CO2 iniettata nell’atmosfera del Triassico da ciascun impulso magmatico sia paragonabile alle emissioni antropogeniche proiettate per il XXI secolo».
(L’originale di questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2020 su QuantaMagazine, una pubblicazione editoriale indipendente online promossa dalla Fondazione Simons per migliorare la comprensione pubblica della scienza. Traduzione di Alfredo Tutino, editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)