La disponibilità d’acqua terrestre è cambiata ed è colpa nostra

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La disponibilità d’acqua terrestre è cambiata ed è colpa nostra

I cambiamenti climatici antropici hanno influenzato la disponibilità d’acqua nei mesi più secchi dell’anno
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Lo studio Observed changes in dry-season water availability attributed to human-induced climate change”, pubblicato su Nature Geoscience da un team internazionale di ricercatori  e al quale ha collaborato la Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Fondazione CMCC), parte dal presupposto che  i  cambiamenti nel ciclo dell’acqua hanno importanti ripercussioni sugli ecosistemi e le attività umane e che «Nel contesto dell’attuale e atteso aumento delle temperature dovuto al riscaldamento globale, risulta fondamentale comprendere l’origine e l’entità di tali cambiamenti».

Lo studio del team di ricerca guidato da Ryan S. Padrón dell’Institut für Atmosphäre und Klima dell’ETH Zürich,  analizza la variazione della disponibilità d’acqua terrestre – definita dalla differenza tra l’acqua in entrata nel sistema tramite le precipitazioni e l’acqua in uscita tramite l’evapotraspirazione – a livello globale nel corso dell’ultimo secolo, eliminando le incertezze ancora esistenti sulla responsabilità umana delle variazioni del ciclo idrologico nella stagione secca osservate nel corso del ventesimo secolo.

Su tratta del primo studio che è stato in grado di correlare il cambiamento climatico di origine antropogenica con il cambiamento della disponibilità d’acqua durante le stagioni secche: negli studi precedenti restava infatti un alto livello di incertezza per l’incapacità di escludere l’influenza della variabilità naturale.

Alla Fondazione CMCC sottolineano che la ricerca si è articolata in due fasi: «Il primo passo è stato quello di realizzare e confrontare, utilizzando modelli di superficie terrestre e modelli statistici guidati da osservazioni, mappe globali della distribuzione dell’acqua disponibile nel suolo dal 1902 al 2014, periodo in cui si è verificato un aumento della temperatura media globale di circa un grado. L’analisi si è focalizzata sulla differenza tra la disponibilità d’acqua media del periodo 1902-1950 e quella del periodo 1985-2014, ponendo a confronto il mese più secco dell’anno. Il team di scienziati ha così verificato una riduzione media della disponibilità d’acqua a livello globale nell’ultimo secolo, con differenze regionali. Il 57-59% della superficie terrestre ha sperimentato un aumento dell’aridità nel mese più secco dell’anno: è il caso delle zone di medie latitudini come l’Europa, il Nord America occidentale, l’Asia settentrionale, il Sud America meridionale, l’Australia e l’Africa orientale. All’opposto, in altre parti del mondo (41-43% dei territori), come l’entroterra cinese, l’Asia sud-orientale e il Sahel, l’umidità è aumentata».

Inoltre, lo studio rivela che «L’intensificarsi delle stagioni secche deriva principalmente da una maggiore evaporazione dell’acqua piuttosto che dalla riduzione delle precipitazioni».

Il secondo passo è stato quello di attribuire la responsabilità di questo cambiamento, per comprendere se e in che termini questo dipenda dal cambiamento climatico di origine antropogenica piuttosto che dalla variabilità naturale.

Uno degli autori dello studio, Daniele Peano, ricercatore della divisione Climate Simulations and Predictions alla Fondazione CMCC, conclude: «Attraverso un’analisi multi-modello, abbiamo paragonato in diversi set di esperimenti la distribuzione nel mondo della disponibilità d’acqua in tre diverse configurazioni: il mondo del 1850 (preindustriale), il mondo come lo osserviamo oggi (influenzato da variabilità naturale e antropogenica) e il mondo che avremmo osservato oggi se la variabilità naturale fosse stata l’unica ad influire sul clima. Con e senza l’attività umana, le simulazioni ci catapultano in un inizio di ventunesimo secolo completamente diverso, mentre il mondo del preindustriale non è così differente da quello che avremmo avuto oggi senza l’influenza dell’uomo sul sistema climatico. Così facendo, abbiamo potuto escludere l’impatto della variabilità naturale, ottenendo l’influenza umana come unica spiegazione della variazione di disponibilità d’acqua terrestre dal periodo preindustriale ad oggi».

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