Le eruzioni recenti ai Colli Albani? Un “mito” moderno
di Ersilia D’Ambrosio e Fabrizio Marra
tratto da ingvvulcani.com
Fin dal XIX secolo è stato ipotizzato che in tempi storici si fossero verificate eruzioni ai Colli Albani, il distretto vulcanico che sorge 20 km a sud-est di Roma. L’episodio prodigioso riportato dallo storico latino Tito Livio che, nel racconto degli eventi connessi con la vittoria del re Tullo Ostilio sui Sabini (VIII a.C.), riferisce di “piogge di sassi sul monte Albano”, era considerato una chiara testimonianza dei fenomeni eruttivi.
Giuseppe Ponzi, esimio naturalista, estensore della prima cartografia geologica della città di Roma, asserì ad una adunanza della Regia Accademia dei Lincei nell’anno 1848, riportata nel Bollettino dello stesso anno: “Tito Livio non ha mancato di darci notizie di quella attività vulcanica, e mi sembra chiaramente accennare al quarto periodo eruttivo alle eruzioni del Monte Pila, quando sotto Roma reale piovvero pietre sul monte laziale e una gran voce uscì dal bosco”.
Più recentemente, tuttavia, la lava del Monte Pila (attualmente noto come Monte Cavo, Figura 1) è stata datata con il metodo 40Ar/39Ar ed ha rivelato un’età di 265.000 anni (Marra et al., 2003). Non può essere questo, evidentemente, l’edificio vulcanico al quale attribuire l’ipotetica eruzione testimoniata dallo storico latino.
Nello stesso numero del Bullettino della Regia Accademia dei Lincei è pubblicato il resoconto della discussione tra lo studioso Michele Stefano De Rossi e altri accademici a proposito del rinvenimento “più volte avvenuto nella massa del peperino e sotto esso” di antiche monete romane. Riferendosi a studi già pubblicati, “il referente dimostrò constare fenomeni vulcanici esser avvenuti presso il monte albano ai tempi di Roma storica”.
Oggi sappiamo che il “peperino” in questione è il deposito piroclastico formatosi a seguito della penultima eruzione del centro vulcanico di Albano. Le datazioni condotte con il metodo 14C sulle ossa di un uccello fossilizzato all’interno del deposito e quelle del tipo 40Ar/39Ar su singolo cristallo, hanno dimostrato che tale deposito ha un’età di circa 36.000 anni.
Si può facilmente trovare una spiegazione alternativa alla presenza di monete subito al di sotto di esso (come peraltro lo stesso De Rossi aveva riportato), piuttosto che al suo interno, semplicemente analizzando il contesto del rinvenimento. Il De Rossi ne diede infatti notizia contestualmente alla descrizione della scoperta “d’una nuova tomba della necropoli arcaica albana coperta dalle eruzioni del peperino…” Una commissione di accademici, convocata alcuni mesi dopo per analizzare la scoperta, osservò che i loculi della necropoli erano scavati a mo’ di cunicolo nello strato tenero (paleosuolo) al di sotto del deposito vulcanico litoide, come ampiamente rilevato in altri siti sepolcrali etruschi dell’Alto Lazio.
Il tesoretto di monete rinvenuto a poca distanza sarebbe stato, quindi, riposto in un piccolo cunicolo scavato orizzontalmente nella parete affiorante.

Nel 1988, i geocronologi Dario Andretta e Mario Voltaggio pubblicarono su Le Scienze un excursus di dati geocronologici, storico-letterari e geoarcheologici che avvaloravano le ipotesi di eruzioni storiche ai Colli Albani. Un metodo di datazione più moderno e comunemente usato dai vulcanologi (basato sul rapporto fra isotopi dell’Argon, 40Ar/39Ar) ha mostrato, di recente, come i dati geocronologici ottenuti da questi autori (e basati sul metodo U-Th, generalmente usato per datare ossa e conchiglie e poco affidabile per rocce vulcaniche) fossero alquanto imprecisi e fornissero età sistematicamente più giovani. Ad esempio, nel caso dei prodotti del cono di scorie di Monte Fiore (Figura 1), a fronte di un’età U/Th di 11.400 anni (con un intervallo di errore di ± 8000 anni), il metodo degli isotopi dell’Argon diede un’età di 278.000 ± 5000 anni.
Ultimi in ordine di tempo, all’inizio degli anni 2000, i vulcanologi della Terza Università di Roma hanno ritenuto di aver trovato le evidenze delle eruzioni storiche e delle catastrofiche esondazioni del Lago di Albano che, secondo la testimonianza dello storico greco Dionigi di Alicarnasso, si sarebbero verificate nel 398 a.C.
L’ipotesi di questi autori scaturiva però da due datazioni 14C compromesse da un errore metodologico. Gli studiosi, infatti, datarono col metodo del radiocarbonio non legno o osso, ma due campioni di materiale terroso (paleosuolo) sottostante ad un deposito vulcanico, ottenendo età di circa 5000 anni (Figura 2). Già a partire dagli anni ’80, tuttavia, è noto in archeologia che la datazione di campioni “bulk” (ossia sul totale del materiale terroso che contiene anche una parte di materia organica di natura imprecisata) è un procedimento del tutto inappropriato che dà luogo a risultati inattendibili. Tale metodo, infatti, non è più utilizzato dai geocronologi.
In particolare, non potendosi eliminare le contaminazioni recenti poiché un paleosuolo è tutt’altro che un “sistema chiuso”, si ottengono età sistematicamente più giovani di quella reale. A dimostrazione di ciò, il deposito vulcanico soprastante i suoli datati 5.000 anni è stato successivamente datato 36.000 anni col metodo 40Ar/39Ar. E’ stato dimostrato, inoltre, attraverso correlazioni geocronologiche, petrografiche, geochimiche e il rilevamento di terreno su tutto l’areale albano, che questo è il deposito dell’ultima eruzione avvenuta ai Colli Albani (Figura 3).

